Disabili “prigionieri”, barriere architettoniche, Comuni inadempienti: e se fosse arrivata l’ora della riscossa? Sembrerebbe proprio così, almeno a leggere quanto scrive l’Associazione Luca Coscioni, che la scorsa settimana, a Roma, ha convocato una conferenza stampa per annunciare che per la prima volta un Tribunale ha condannato in solido un Comune (quello di Roma, appunto) e un’azienda municipalizzata di trasporto (l’ATAC), per avere discriminato un ragazzo con disabilità, impedendogli di accedere alla metropolitana.
I fatti da cui parte il ricorso risalgono al 5 gennaio 2013. Quel giorno la signora Laura Fois, madre di Pietro, 13 anni, affetto da una grave malattia rara che gli impedisce di camminare, organizza una gita con il figlio e due suoi nipoti presso gli studi di Cinecittà. Dà un’occhiata al sito dell’ATAC e vedendo che sia la stazione vicino a casa sua (Cipro) sia quella di arrivo (Cinecittà) risultano essere accessibili, sceglie la metropolitana come mezzo di trasporto.
La sgradita sorpresa, però, arriva nella stazione di Cinecittà. Qui la signora non riesce a trovare l’ascensore. Chiede aiuto, gridando, per attirare l’attenzione di qualcuno. Poi, visto che il figlio si stava spaventando, decide di chiamare il 113 che le risponde di cercare bene, perché l’ascensore esiste. Nessuno, intanto, interviene in suo aiuto. La signora si accorge allora che c’è un ascensore, ma che questo è fuori uso e sbarrato da una transenna. Disperata, telefona al marito, che arriva a Cinecittà, prende in braccio il figlio e riesce a salire le due rampe di scale (in tutto quarantacinque scalini), notando anche un montascale fuori uso.
Tornata a casa dopo la “gita” a Cinecittà, che comunque, grazie al “sacrificio” del marito, è stata regolarmente portata a termine, Laura Fois si rivolge al centralino del Comune di Roma, che le dice di segnalare il disservizio sul sito dell’ATAC, cosa che fa, senza ottenere alcun riscontro.
Decisa a non subire il sopruso, la signora si organizza e quattro mesi dopo, il 14 aprile 2013, rifà il percorso insieme a una giornalista del TG3 e a una telecamera. Stavolta si parte di domenica, alle 15, dalla stazione Cipro. E ci si ferma subito, perché l’ascensore, che esiste, non può funzionare per mancanza di personale. È dunque di nuovo il padre a “caricarsi” Pietro per le scale e lo stesso fa alla stazione di Cinecittà, dove i due ascensori e il servoscala sono disattivati. Al ritorno il “miracolo”: grazie alla provvidenziale telefonata della signora Fois alla polizia, l’ATAC convoca il suo personale e gli ascensori delle due fermate vengono messi in funzione.
Una settimana dopo, il 22 aprile, il TG3 manda in onda il servizio nell’edizione delle 19. Quasi contestualmente parte il ricorso al Tribunale, con il patrocinio gratuito dell’avvocato Alessandro Gerardi, consigliere generale dell’Associazione Coscioni.
Ci si appella agli articoli 3 e 4 dell’importante, ma ancora poco nota, Legge 67/06 (Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni) e in un anno circa (tempo record per la giustizia romana, se si pensa che la media per una causa civile è di cinque anni!), il Tribunale di Roma accoglie la domanda dei ricorrenti e ordina che vengano immediatamente rimossi gli ostacoli che impediscono l’accesso delle persone con disabilità nelle stazioni della metropolitana di Cipro e Cinecittà.
Poi condanna Roma Capitale (il Comune di Roma) e la Società ATAC al risarcimento del danno nella misura di 2.500 euro, oltre alle spese processuali. E stabilisce che la Sentenza dovrà essere pubblicata su un quotidiano a tiratura nazionale.
E adesso, chiediamo all’avvocato Gerardi, cosa succede? «Succede che se l’ATAC e il Comune non ottempereranno alla Sentenza, li potremo denunciare, ai sensi dell’articolo 388 del Codice di Procedura Penale. A quel punto il Sindaco e l’Amministratore Delegato dell’ATAC rischierebbero una condanna penale».
Domandiamo allora se questa Sentenza potrà fare giurisprudenza e servire da riferimento per tanti altri casi simili. «Sicuramente sì», ci risponde, spiegando anche che l’Associazione Coscioni sta seguendo numerosi casi del genere, in Lombardia, Emilia Romagna, Marche, Veneto e ancora a Roma, e ha perfino creato un’applicazione nel proprio sito a disposizione di chiunque voglia denunciare una situazione simile [se ne legga, su questo stesso giornale, all’articolo intitolato “Un click contro le barriere”, N.d.R.].
«La Legge 67/06 – precisa ancora Gerardi – è uno strumento molto efficace che fino ad oggi è stato utilizzato pochissimo. Si pensi che al Tribunale di Roma, dal 2006 ad oggi, avranno ricevuto in tutto tre, quattro ricorsi. Evidentemente la gente non ha fiducia nella giustizia, pensa che fare causa al Comune sia un’impresa impossibile e molto costosa. Invece non è così, i costi sono ridotti e i tempi sono rapidi, perché il Tribunale è molto collaborativo», e anche perché – aggiungiamo – l’Associazione Coscioni si è offerta di seguire le cause gratuitamente.
Testo apparso anche in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “Barriere e Comuni, una sentenza che fa storia”). Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.
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