Un’imprecazione, una maledizione, un urlo di rabbia e di dolore: questa potrebbe essere la spiegazione del titolo scelto per il presente articolo, che intende trattare, con le dovute cautele, del rapporto tra farmaci e disabilità e dei farmaci che hanno causato e che almeno potenzialmente possono causare disabilità, oltreché di quei farmaci che vengono usati nel vasto campo delle disabilità, senza che esistano evidenze della loro necessità o utilità.
Forse sarebbe più corretto partire da un principio etico oggi molto discusso: i farmaci devono “far bene” al paziente o è prevalente l’interesse economico delle grandi case farmaceutiche? La domanda non è peregrina. Basti pensare che, secondo la legislazione degli Stati Uniti, la mission delle grandi corporazioni è l’interesse dei soci. Che poi quest’ultimo prevalga su quello della comunità ne è una triste conseguenza.
L’argomento ha ispirato numerosi film, da The constant gardener (“La cospirazione”) al più recente e celebrato Il venditore di medicine, fino ad ADHD Rush Hour, ispirato al trattamento con anfetamine nei ragazzi con deficit dell’attenzione e iperattività.
Dai tempi del thalidomide (chi scrive presentò quarant’anni fa una tesi sperimentale sui controlli radiologici di farmaci teratogeni nel ratto), molti farmaci sono passati nei prontuari e oggi, facendo tesoro degli errori del passato, le varie legislazioni si sono fatte carico dei necessari controlli che hanno permesso di evitare almeno tragedie di tali dimensioni. La stessa thadomide è oggi utilizzata nel trattamento della lebbra, ben tenendo presenti le sue controindicazioni [sulla vicenda della thalidomide, pubblichiamo una specifica scheda in calce, N.d.R.].
Più insidioso resta il settore dei farmaci “per la disabilità”, cioè di quei medicinali utilizzati per attenuare o eliminare, se possibile, le cause di disabilità o le loro conseguenze primarie e secondarie: antiepilettici, miorilassanti, farmaci psicotropi a vario titolo, broncodilatatori, antinfiammatori, antidolorifici sono solo alcune delle categorie dei farmaci più usati. E ognuno di essi, oltre all’effetto terapeutico, ha anche un “effetto-danno” di variabile entità.
Tale, dunque, è il “rovescio della medaglia”. E il “diritto”? Molti farmaci sono davvero assai utili a lenire gli effetti della disabilità. Uno per tutti, la tossina botulinica, utilizzata con profitto nelle spasticità acute, che in molti casi permette davvero un miglioramento della qualità della vita del paziente.
Quindi, per la maggior giustizia possibile, dovremmo dire benedetti oppure maledetti farmaci? Questo è il dilemma!
Il più grande scandalo farmaceutico del dopoguerra
«I Thalidomidici – si legge nel sito di TAI ONLUS – sono persone con varie disabilità soprattutto agli arti (dismelie, amelìe ecc.), causate dall’assunzione durante la gravidanza delle madri del principio attivo talidomide (o thalidomide), venduto in Italia ufficialmente dal 1959 al 1962. Nel nostro Paese non siamo mai stati censiti e alla nostra Associazione partecipano, per ovvi motivi di interessi comuni (protesi, ausili), anche amelici e dismelici per altre cause».
Anche il nostro giornale ha seguito ampiamente la lunga “battaglia di cinquant’anni” per il riconoscimento dei danni provocati da quel farmaco, che aveva portato all’approvazione del Decreto del Ministero della Salute n. 163 del 2 ottobre 2009, pubblicato dalla Gazzetta Ufficiale n. 265 del 13 novembre 2009 (si legga, nella nostra testata, il percorso legislativo avviato dalla Legge 27/06, che all’articolo 3 aveva per la prima volta riconosciuto la patologia «sindrome da talidomide», passando poi per la Legge 244/07, articolo 2, comma 363 – la Finanziaria per il 2008 – che aveva riconosciuto la necessità dell’erogazione dell’indennizzo alle vittime italiane del farmaco).
La medicina incriminata – prodotta dalla ditta tedesca Chemie-Grünenthal e utilizzata come sedativo, antiemetico e ipnotico, rivolgendosi in particolar modo alle donne in gravidanza – portò a migliaia di casi di malformazioni neonatali (embriopatia talidomidica o thalidomidica) e morte perinatale in tutto il mondo. Si stima in tal senso che oltre 20.000 bambini nel mondo, di cui migliaia in Europa, siano nati affetti da focomelia, un raro difetto che impedisce la crescita delle ossa lunghe. Il farmaco fu pertanto bandito – pur con grave ritardo nel nostro Paese – all’inizio degli anni Sessanta.
Dal 2004 l’Associazione TAI ONLUS lavora per il riconoscimento dei diritti dei Talidomidici, oltreché per coadiuvare la farmacovigilanza, affinché non si ripeta più la “strage” dei bambini focomelici. (S.B.)