Quando la situazione economica e sociale volge al peggio, solitamente il Governo in carica – indipendentemente dal colore politico -, cerca di mitigare la cattiva impressione generata da tanti provvedimenti fiscali “avversi”, con annunci roboanti di miracolosi stanziamenti di fondi a favore di alcune categorie ritenute particolarmente svantaggiate.
Qui parliamo di una “goccia nel mare” – sperando che anche questa volta non sia “salata” -, ma è pur necessario ogni tanto avere una buona notizia per non disperare totalmente. E la “goccia” è rappresentata dall’unificazione delle proposte di legge a favore dei cosiddetti “dopo di noi” e “durante noi”.
Senza entrare nel merito specifico delle varie proposte e neppure del testo unificato che è in discussione, bisogna tuttavia registrare alcune prese di posizione negative basate sul possibile spostamento di fondi dal pubblico al privato e sulla mancanza di riferimenti ai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Inoltre, una piccola beffa: la possibilità di ritagliare dal “leggendario” 5 per mille (sempre il solito) un’ulteriore fettina, con la conseguenza di rendere più piccole tutte le altre fette. E tuttavia bisogna dare atto che esiste nel documento unificato una previsione di stanziamento di 300 milioni di euro per il primo anno, pur restando la notevole alea della copertura di questa spesa e delle risorse per gli anni successivi.
Quale sarebbe allora la buona notizia? Che finalmente le forze politiche sembrano aver preso coscienza del problema in sé e l’unificazione delle varie proposte sul tema è un primo timido passo nella giusta direzione. Senza però uno sforzo, anche di fantasia, non si farà molta strada. Bisognerà infatti avere il coraggio di proporre soluzioni praticabili, finanziabili, credibili, che dovranno essere costruite assieme alle famiglie.
Innanzitutto incentivando assai più di come si è fatto sinora la permanenza e il ritorno delle persone con disabilità anche gravissima nelle loro famiglie, ciò che significa più assistenza domiciliare – diretta o indiretta poco importa -, meno burocrazia e miglior utilizzo dei fondi dedicati. Esistono infatti virtuosi esempi in materia, ad esempio in Sardegna, con i progetti personalizzati.
Per quanto poi riguarda i vantaggi fiscali a favore del “dopo di noi”, essi dovranno indubbiamente essere potenziati e le famiglie poter disporre di adeguati strumenti finanziari, come ad esempio la detraibilità dall’imposta di una quota annua utilizzabile a tal fine, per costituire fondi destinati al concorso nelle spese di mantenimento.
Facciamo un esempio pratico: se la famiglia in presenza di una persona con grave disabilità potesse detrarre dall’imposta 1.000-2.000 euro all’anno, in venti-trent’anni potrebbe costituire il capitale necessario a compartecipare a un serio “dopo di noi”.
Da parte mia, vedo l’ostacolo più grave nella mentalità fortemente burocratica che di solito nel Bel Paese regola queste innovazioni: sovente, infatti, sono innovazioni che “nascono vecchie”, tavoli di concertazione, commissioni ministeriali di politici, esperti, rappresentanti delle grandi cooperative e poco o nulla di famiglie.
I mille delittuosi esempi di reati a danno delle persone con disabilità ospiti di strutture – l’ultimo caso di una lunga serie si è avuto nei giorni scorsi in provincia di Rovigo – hanno finora prodotto solo sdegno unanime, ma ancor nulla di concreto nel miglioramento almeno della sorveglianza e del controllo del rispetto degli ospiti e delle loro esigenze assistenziali.
Credo, in conclusione, che il problema sia fondamentalmente culturale: è necessario, cioè, tornare a una visione compartecipata della disabilità oppure costruirla ex-novo, se si ritiene che non sia mai esistita in forma adeguata e pensare al “dopo di noi” come a un “per noi”, “per noi tutti”, un diritto davvero esigibile a una vita dignitosa, anche in assenza o in carenza della famiglia.