In due precedenti note, pubblicate su queste stesse pagine [rintracciabili qui e qui, N.d.R.] si era dato conto di alcune decisioni di Tribunali circa l’obbligo gravante sullo Stato di fornire il corrispettivo per i docenti per il sostegno alle scuole paritarie che accolgono alunni con disabilità.
Ora, con la Sentenza n. 10821 del 16 maggio scorso, espressa a Sezioni Unite, la Corte di Cassazione ha capovolto tale orientamento, rigettando il ricorso con il quale una scuola paritaria, vincitrice in primo grado, ma soccombente in appello, aveva chiesto l’annullamento della stessa Sentenza d’Appello e quindi il rimborso allo Stato per due anni di stipendio ad altrettanti insegnanti per il sostegno, assunti per un alunno con disabilità.
Con le precedenti decisioni, i Tribunali avevano stabilito in sostanza che lo Stato dovesse rimborsare le spese per i docenti per il sostegno, poiché in base all’articolo 33, comma 4 della Costituzione, lo Stato stesso deve assicurare alle scuole paritarie e ai loro allievi un trattamento eguale a quello riservato alle scuole statali e agli studenti di esse. Ne conseguiva che dal momento in cui lo Stato paga il sostegno agli alunni delle scuole statali, avrebbe dovuto pagarlo anche agli studenti delle scuole paritarie; anzi, ove ciò non avvenisse, vi sarebbe discriminazione tra i due tipi di studenti, censurabile ai sensi della Legge 67/06 [“Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni”, N.d.R.] e dell’articolo 3, comma 2 della Costituzione, che vietano appunto la discriminazione tra alunni senza disabilità e alunni con disabilità delle scuole paritarie, i quali dovrebbero pagarsi il docente per il sostegno; vi sarebbe inoltra anche la discriminazione tra gli alunni con disabilità delle scuole statali, che hanno il sostegno pagato dallo Stato, e quelli delle paritarie.
La Cassazione propone un ragionamento più lineare, basato sempre sull’articolo 33 della Costituzione, ma fonda la propria decisione non sul comma 4, bensì sul precedente comma 3, secondo il quale gli enti privati sono liberi di aprire scuole, purché «senza oneri per lo Stato».
In tal senso la Suprema Corte argomenta che in base all’articolo 1, comma 4 della Legge 62/00 sulla parità scolastica, gli istituti paritari – quando chiedono e accettano la parità scolastica – assumono, come condizione pregiudiziale, l’obbligo di accogliere alunni con disabilità. Pertanto essi sono consapevoli che tutte le spese di inclusione di tali alunni debbono essere a loro carico e rientrare nei loro costi di gestione. Né sarebbe legittimo accollare tali spese allo Stato, stante il divieto posto dal citato articolo 33, comma 3 della Costituzione, che proibisce allo Stato stesso di sopportare oneri per il funzionamento delle scuole paritarie.
Queste ultime, afferma in conclusione la Corte di Cassazione, non hanno quindi il diritto soggettivo ad ottenere né il pagamento né il rimborso per le spese dei docenti per il sostegno.
Come detto, la decisione della Corte di Cassazione, presa a Sezioni Unite, si fonda sostanzialmente sull’articolo 33, comma 3 della Costituzione, che ha già fatto scorrere fiumi di inchiostro, sin dall’approvazione della Costituzione stessa.
Nella prassi politica, tradotta in atti legislativi, lo Stato – con il voto contrario minoritario dei partiti laici – ha sempre erogato ed eroga fondi alle scuole paritarie: direttamente a quelle primarie parificate in base alla convenzione con la quale esse ricevono la concessione di gestire corsi per conto dello Stato ricevendone il compenso (se ne legga anche in una nota pubblicata da chi scrive in un’altra testata), sia indirettamente, tramite bonus e voucher agli alunni.
Quanto poi agli alunni con disabilità, l’articolo 1, comma 14 della citata Legge 62/00 sulla parità scolastica stanzia un finanziamento apposito, che però, ovviamente, non copre il costo dello stipendio annuale di un docente per il sostegno.
A questo punto è probabile che le scuole paritarie invochino la violazione dell’articolo 33, comma 4 della Costituzione. E tuttavia, nel ricorso rigettato, questa eccezione di costituzionalità non è stata sollevata e quindi, per il caso specifico, la decisione della Cassazione è ormai passata in giudicato, anche se non è detto che essa non possa essere sollevata in altre eventuali cause, dal momento che – com’è ben noto – le decisioni della Suprema Corte valgono solo per la causa trattata e hanno esclusivamente valore di precedente giurisprudenziale per i casi futuri.
Le scuole private potrebbero forse sollevare questione di costituzionalità pure rispetto all’articolo 118, comma 4 della Costituzione (introdotto con le modifiche al Titolo V del 2001), secondo cui lo Stato e gli altri Enti territoriali «favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà». La formula della norma costituzionale, invero, non sembra assicurare un diritto soggettivo, essendo stato usato il termine «favoriscono».
Lascia infine perplessi l’affermazione della Corte di Cassazione secondo la quale lo Stato effettua una «concessione amministrativa» ai privati per la gestione di scuole. Qualificare infatti come “concessione amministrativa” l’esercizio di un’attività didattica sembra contrastare con l’articolo 33, comma 3 della Costituzione, secondo cui i privati hanno avuto direttamente da quest’ultima il riconoscimento della libertà di aprire proprie scuole.
Forse il concetto di “concessione amministrativa” potrebbe applicarsi solo alle scuole primarie paritarie che fossero anche parificate in base a un’apposita convenzione, in forza della quale lo Stato pagasse ad esse tutti i docenti, e quindi anche quelli per il sostegno. Però, in questa ipotesi, il concetto di “concessione amministrativa” sembra effettivamente piuttosto antiquato.
In dottrina è stata avanzata invece l’ipotesi di un «contratto a favore di terzi», di cui agli articoli 1414 e seguenti del Codice Civile, tramite il quale lo Stato, che ha l’obbligo di garantire l’istruzione ai cittadini, si avvarrebbe di terzi (scuole primarie parificate) per adempiere a questo suo obbligo.
In ogni caso, comunque si qualifichi il rapporto tra Stato e scuole private, resta il fatto che l’articolo 1, comma 1 della Legge 62/00 fa rientrare nel sistema nazionale di istruzione le scuole private paritarie, le quali acquistano certamente una connotazione pubblicistica, se non altro al fine della realizzazione del servizio nazionale d’istruzione (articolo 41, comma 3 della Costituzione).
Qui, per altro, è appena il caso di ricordare che prima della Legge 62/00, la giurisprudenza era orientata nel senso di affermare l’obbligo per le scuole private di accettare alunni con disabilità nel solo caso in cui lo Stato pagasse gli insegnanti per il sostegno, come ad esempio per le scuole primarie parificate. Con l’articolo 1, comma 4 di quella norma, invece, l’obbligo è diventato generale, in considerazione del principio costituzionalmente affermatosi dell’inclusione scolastica. A chi affermasse poi, secondo la vecchia giurisprudenza, che lo Stato non può imporre obblighi senza fornire i mezzi per il loro adempimento, alla luce della presente Sentenza della Corte di Cassazione si potrebbe replicare che i privati assumono tali obblighi nell’àmbito del “rischio d’impresa” e provvedono a coprire i maggiori costi aumentando le rette.
La questione è comunque assai dibattuta, come dimostra il fatto che questo pronunciamento è stato espresso a Sezioni Unite, poiché si erano determinati orientamenti contrastanti in diverse Sezioni della Suprema Corte.
In conclusione, sarà interessante vedere come il problema verrà affrontato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, specie dalla Corte Costituzionale, in caso di eventuale ricorso alla stessa, circa il conflitto apparente tra i commi 3 e 4 dell’articolo 33 della Carta, anche alla luce dei finanziamenti fin qui legalmente erogati dallo Stato alle scuole paritarie, pure per l’inclusione degli alunni con disabilità.
Potrebbe dunque riaprirsi l’annoso dibattito tra scuola statale e privata, proprio a causa dell’inclusione degli alunni con disabilità? E con quali risvolti politici?