I got it, parole pronunciate quasi a rassicurare la madre, ovvero «Ho capito», come dice Kayden Elijah Kinckle, 2 anni, mentre, tutto impegnato, impugna il “girello” e muove i primi passi.
Il video sta facendo il giro del mondo attraverso i social network e via YouTube, conquistando 500.000 “visitatori” in poche ore. Smuove l’anima, commuove e, forse, fa riflettere.
La madre Nikky scrive la storia di Kayden, un’avventura segnata dal destino ancor prima del suo arrivo al mondo. Secondo i medici non avrebbe dovuto nascere. Terminate è il verbo che usa Nikky nello spiegare che i medici le consigliarono di abortire. Ma si termina un’azione, e non una vita.
Il difetto, così forse la pensavano i medici americani, è una malattia rara di nome onfalocele, dovuta a un arresto di sviluppo della parete addominale in corrispondenza della regione ombelicale. Non sarebbe riuscito a sopravvivere, le dissero, e invece eccolo muovere il primo passo.
Sorride come farebbe qualunque bambino alle prese con la difficile arte del cammino. Barcolla insicuro su quella gamba artificiale, uno dei tanti interventi a cui è stato sottoposto questo piccolo del New Jersey. E noi lo guardiamo commuovendoci.
È un bambino con disabilità, ed è già, a suo modo, un vincente. Ha vinto solo una tappa di quella corsa a ostacoli che sarà la vita. Ostacoli che ogni giorno anche noi contribuiamo a creare. Con la nostra diffidenza verso l’altro in difficoltà, con la nostra distrazione, con il nostro egoismo (come il parcheggiare su un posto per disabili anche solo per cinque minuti, il tempo di andare a prendere un caffè…).
Guardiamo il video e poi torniamo alla nostra routine, mentalmente pensando «ho visto, mi sono commosso, ho schiacciato mi piace, forse ho anche condiviso… ho fatto il mio dovere». E poi? Poi forse c’è da capire il fine che ha spinto quella madre a condividere la sua gioia con il mondo intero, il suo orgoglio di mamma – o ancestralmente di ogni madre -, nel festeggiare con suo figlio il primo passo. Non le importa che sia un disabile. Non le interessa cosa dice la gente.
Questo filmato è la sfida di una donna nel dire «è mio figlio!». E forse noi, dall’altra parte del video, dovremmo fermarci a pensare alle querule lamentele quotidiane, ai capricci per il cellulare nuovo, a quell’egoismo nel guardare a noi stessi senza alzare gli occhi sugli altri.
Guardatelo ancora mentre malfermo tende a cadere, ma si rialza. Una, dieci volte… Noi siamo altrettanto capaci di cadere sotto i colpi della vita e rialzarci come ha fatto Kayden?
Il presente testo è già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “Kayden: il bimbo che ci insegna a camminare nel mondo”). Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.
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