Ci ha fatto letteralmente saltare sulla sedia l’intervista in esclusiva di «la Repubblica» a Luigi Preiti, l’attentatore che il 28 aprile dello scorso anno, proprio in coincidenza con il giuramento del Governo Letta, sparò davanti a Palazzo Chigi al brigadiere Giuseppe Giangrande, riducendolo dapprima in fin di vita e successivamente una persona con grave disabilità.
Qui l’argine della professione di giornalista sembra completamente saltato! Dare infatti risalto con una pagina intera a chi ha compiuto un’azione che ha provocato tanto dolore a chi ne è stato vittima e ai suoi familiari, sconvolgendo l’opinione pubblica, ritengo sia un fatto gravissimo.
Se la televisione ci ha abituato a guardare “dal buco della serratura” fatti delittuosi con un gusto che alimenta il lato peggiore dell’uomo, i giornali non possono andare verso questa deriva. E «la Repubblica», che è un giornale seguitissimo, proprio non può farlo, cominciando a creare un personaggio partendo dalla sua disperazione.
Nell’intervista si dice che Preiti ha ricevuto lettere di solidarietà da ogni parte d’Italia e questo non fa che esaltare ancor di più la persona che andrebbe invece seguita, in silenzio, nel suo percorso di cura.
Trovo poi che alcune domande siano davvero imbarazzanti: «Era drogato?», «Perché tirava cocaina?». Fino all’ultima, che apre forse una futura occasione di “opinionista” per l’intervistato: «Che cosa pensa oggi dei politici?».
Mi chiedo invece cosa pensi la figlia di Giuseppe Giangrande e se per lei basti sentirgli dire «che se potesse si sostituirebbe alla persona che ha ferito e si farebbe carico della sua sofferenza».
Fermiamoci, fermiamoci! Cerchiamo di discutere non per riempire pagine di giornali, ma per dare un senso alla nostra vita, alle nostre azioni. Ci sono tante sofferenze da raccontare. Una pagina su Luigi Preiti è una pagina sottratta ad altre sofferenze. Sofferenze non volute, altre storie da raccontare e che rimangono sistematicamente invisibili. La gente non le cerca? Non le legge? Sono i mass-media che non educano. Un giornale deve educare e quella di oggi non è una pagina di cronaca nera, ma una pagina nera nella storia della nostra comunicazione.
Direttore del Centro Studi per la Ricerca sul Coma dell’Associazione Gli Amici di Luca di Bologna.
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