Ancora una strage pazzesca, in famiglia. Una decina di giorni fa un padre ha preso una pistola e ha sparato a moglie e figli, poi si è tolto la vita. È accaduto a San Fele, in provincia di Potenza, durante un periodo di vacanza. La famiglia, in realtà, viveva a Lastra a Signa, vicino a Firenze.
La notizia ha fatto il giro del web, dei telegiornali, delle cronache. Sempre con lo stesso taglio: all’origine del gesto ci sarebbe stata la «non sopportabilità della condizione del figlio disabile».
Si guardino ora le foto qui pubblicate: sono rispettivamente il fratello e la sorella, entrambi uccisi dal padre. La ragazza è giovane e bella, il ragazzo denota, stando alla foto, forse un ritardo mentale, ma appare assolutamente una persona in grado di vivere in modo largamente autonomo. Altre foto, infatti, documentano, almeno a una prima visione, la medesima sensazione di non gravità.
E dunque in base a cosa dovremmo immediatamente trovare questa come unica spiegazione plausibile di un gesto assurdo, criminale, tragico? Perché il suicidio finale del padre non cancella gli omicidi precedenti. Che sono semplicemente dei delitti a sangue freddo, premeditati, orrendi, incomprensibili e non giustificabili in alcun modo.
Fra le righe delle cronache è trapelata l’ipotesi degli investigatori che il padre temesse per la propria salute, dopo alcuni controlli medici. Dunque il passaggio logico, anzi illogico, successivo, è il seguente: pensava di non poter più badare alla vita del figlio, riteneva evidentemente di essere l’unico in grado di tutelarlo in vita.
Stiamo parlando di illazioni del tutto arbitrarie, a meno che non ci sia qualche messaggio scritto, a meno che non ci siano ben altri elementi a suffragare questa debolissima interpretazione dei fatti. Il ragazzo disabile aveva infatti una mamma e una sorella, e sicuramente, vivendo in Toscana, sarà stato seguito da servizi pubblici che assai difficilmente trascurano almeno una parte di presa in carico di un ragazzo così. Ma di questo non vi era traccia, né nelle note di agenzia, né nella prima titolazione dei fatti. Anzi, in genere, si applica automaticamente questo luogo comune, questo stigma, alimentato periodicamente da episodi di cronaca che sembrano ripetitivi e simili, anche se spesso siamo in presenza di situazioni assai complesse e differenti.
Possibile che la disabilità faccia ancora così paura? Possibile davvero che solo la morte violenta possa essere ritenuta una soluzione per terminare di tribolare? Non possiamo accettare neanche per un attimo questo rassegnato e scorretto cliché informativo. È doveroso andare a fondo, a questo punto, e capire, casomai, che cosa sia scattato davvero nella testa dell’omicida-suicida. Era lui, eventualmente, la persona con un grave handicap. Non il figlio.