Amy Purdy è una bellissima atleta che ha vinto una medaglia di bronzo nello snowboard alle Paralimpiadi Invernali di Sochi, svoltesi in Russia all’inizio di quest’anno, e che vive negli Stati Uniti (Utah). A 19 anni sopravvisse alla meningite, ma perse la milza, i reni, l’udito dall’orecchio sinistro e le vennero amputate le gambe. Non per questo Amy ha smesso di essere bella, di coltivare la passione per lo sport, o di aver voglia di ballare.
Nei mesi scorsi il giornalista Claudio Arrigoni, firma spesso presente anche su queste pagine, le ha dedicato due interessanti testi in InVisibili, il blog del «Corriere della Sera.it», intitolati rispettivamente Amy e Adrianne, danza senza limiti. Sulle protesi, in cui parla della sua partecipazione a Dancing with The Stars (versione USA del programma televisivo Ballando con le Stelle, trasmessa dall’ABC) e Il corpo nudo di Amy e Stephen che lo sapeva già, dove racconta dei nudi artistici realizzati da Amy e da altri/e campioni e campionesse dello sport per l’edizione estiva di «The Body Issue», magazine dell’ESPN (Entertainment & Sports Programming Network), emittente televisiva statunitense dedicata allo sport).
Nel suo secondo testo, Arrigoni ha anche ricordato le parole pronunciate nel 2012 da Stephen Hawking, l’astrofisico di fama mondiale interessato da una grave disabilità, in occasione della cerimonia di apertura della Paralimpiade di Londra: «Cambieremo la nostra percezione del mondo». In tale occasione Hawking non si riferiva alla fisica o all’astrofisica, ma alla capacità dello sport paralimpico di mostrare le persone con disabilità in una diversa luce, mettendone in risalto le abilità e la bellezza. Ed è vero, magnificamente vero, che l’attività sportiva e i corpi degli/lle atleti/e disabili incrinano una visione della disabilità intesa come mancanza o difetto.
Guardando il corpo scultoreo di Amy, o quello di Aimee Mullins – atleta, attivista, modella e attrice che mostra con fierezza le sue dodici paia di protesi alle gambe, adatte alle più diverse occasioni -, o ancora, sul versante maschile, quello di Oscar Pistorius, qualsiasi corpo mediamente abile risulta in qualche modo “deficitario”. E tuttavia dobbiamo osservare che le imprese e i corpi degli atleti paralimpici sono percepiti come “eccezionali” – nel senso di non comuni – e inarrivabili, la qual cosa rende improbabile che il ribaltamento di prospettiva, e il cambiamento di sguardo che essa comporta, si applichi automaticamente a qualsiasi persona con disabilità. Se infatti l’ammirazione del corpo disabile scaturisce dalla sua capacità di approssimarsi a un modello di corpo atletico, plastico, modellabile, perfettibile, e straordinariamente potenziabile con l’ausilio della tecnologia, tutti i corpi non omologati e non omologabili a tale stereotipo ben difficilmente avranno la stessa attenzione. Si può insomma guardare il corpo di Amy con ammirazione, senza per questo modificare l’atteggiamento e lo sguardo nei confronti della “normalissima e comunissima” vicina di casa disabile.
Posto dunque che lo sport è certamente importante, e che ha la potenzialità di modificare una parte dell’immaginario che riguarda la disabilità, per raggiungere l’altra parte è necessario utilizzare altre strategie, altre rappresentazioni.
Viene in mente, ad esempio, la campagna denominata Nessuno è perfetto. Avvicinatevi, realizzata il 3 dicembre dello scorso anno dalla Pro Infirmis, un’organizzazione svizzera che si occupa di disabilità. Sulla Bahnhofstrasse di Zurigo, in alcune vetrine di abbigliamento, accanto agli abituali manichini perfetti, ne sono stati esposti altri dalle forme inconsuete, con la colonna vertebrale curvata, con arti corti e deformati, seduti in sedia a rotelle ecc. Questi manichini riproducono le sembianze di alcuni personaggi pubblici, tutti interessati da diverse disabilità fisiche, che hanno aderito all’iniziativa e un video di circa 4 minuti e mezzo documenta l’esperienza.
I corpi riprodotti da quei manichini hanno il merito di non volersi approssimare ad alcun modello o ideale estetico. Si limitano a proporre una realtà e ad offrirla come data. È come se dicessero: «Io sono così, anche il mio corpo merita di essere rappresentato e di stare in vetrina».
Se pertanto le stelle dello sport, con il loro corpo e con la loro condotta, grazie alla visibilità mediatica di cui godono, possono fare molto per cambiare la percezione del mondo, e anche in negativo – pensiamo, ad esempio, alla vicenda giudiziaria non ancora conclusa, che vede Oscar Pistorius imputato per aver ucciso la fidanzata Reeva Steenkamp, la notte del 13 febbraio 2013 – è tuttavia necessario rappresentare e proporre anche modelli di corpi disabili “arrivabili”.
Le stelle sono belle e, stando in alto, le possono vedere in tanti/e, ma sono e rimangono lontane. Le vetrine, giusto per riagganciarci all’iniziativa citata, sono invece a portata di chiunque, e se uno dei manichini esposti dovesse somigliare alla “normalissima e comunissima” vicina di casa disabile, qualcuno o qualcuna potrebbe iniziare a posare anche su di lei uno sguardo diverso. Quello sguardo che restituisce dignità, e fa guardare con rispetto anche alle persone comuni, anche a quelle che non eccelleranno mai in niente.
Il presente testo è già apparsa nel sito del Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), con il titolo “Stelle in cielo, corpi in terra”, e viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contesto, per gentile concessione.
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