Come abbiamo potuto leggere recentemente sul quotidiano «La Stampa», è scoppiato in Piemonte un nuovo caso di controversia legale sulle scuole private rispetto a quelle pubbliche.
Di recente mi ero occupato, su queste stesse pagine, di una Sentenza della Cassazione [Sentenza n. 10821 del 16 maggio 2014, N.d.R.] che aveva imposto alle scuole paritarie l’obbligo di pagare con i propri fondi l’insegnante per il sostegno agli alunni con disabilità che la Legge 62/00 sulla parità scolastica obbliga loro ad accettare. Quella Sentenza, a mio parere, aveva dato rilevanza eccessiva al comma 3 dell’articolo 33 della Costituzione, che proclama la libertà per i privati di aprire scuole, purché «senza oneri per lo Stato».
Quello scoppiato in Piemonte, invece, mi sembra un caso opposto: infatti, il Comune di Bibiana (Torino) ha approntato una scuola paritaria per consentire a tutti i cittadini di accedere gratuitamente alla scuola dell’infanzia, ma una recente Legge Regionale stabilisce che non si possano aprire scuole dell’infanzia pubbliche se queste costringono alla chiusura scuole paritarie private già operanti e che comunque per l’apertura di una scuola paritaria pubblica sia necessario il parere favorevole dei rappresentanti delle scuole paritarie private. E così è avvenuto che – a spesa comunale già attuata, per la predisposizione della scuola -, la Regione, a seguito del parere negativo dei rappresentanti delle scuole paritarie private, abbia vietato a quel Comune l’apertura della scuola.
Il parere dei rappresentanti delle scuole paritarie private si è fondato sul comma 4 dello stesso articolo 33 della Costituzione, secondo il quale alle scuole private che ottengano dallo Stato il riconoscimento della parità dev’essere riservato lo stesso trattamento che a quelle statali.
Come si sarà potuto notare, ho sempre usato il termine scuole paritarie, sia per gli istituti privati che per quello comunale. Qui, infatti, non si tratta di una contrapposizione tra scuole private e statali, come nella citata Sentenza della Corte di Cassazione, ma tra scuole tutte non statali e dichiarate paritarie, siano esse private o siano istituite da un ente pubblico non statale, come appunto è il Comune. La vertenza, quindi, si pone qui nell’ambito dell’applicazione della legge sulla parità scolastica e non all’interno dell’eventuale conflitto tra scuole statali e non statali. Si tratta perciò di un problema di interpretazione della citata Legge 62/00 sulla parità.
Ma su un altro piano ci si deve chiedere: è concepibile che una Legge Regionale possa attribuire un diritto di veto alle scuole paritarie private circa l’apertura di una scuola comunale paritaria? A chi scrive sembra proprio di no, in forza del rango costituzionale attribuito ai Comuni, come enti istituzionalmente preposti alla tutela degli interessi della comunità dei propri cittadini.
In altre parole, se la Costituzione e tutta la legislazione primaria norma i Comuni come enti esponenziali, democraticamente rappresentati, ovvero come interpreti politici e decisori degli interessi della comunità dei propri abitanti, sembra realmente inconcepibile che la valutazione di quegli interessi – effettuata dai rappresentanti della stessa comunità generale -, possa essere annullata dalla decisione di un organismo privato, portatore solamente degli interessi dei soggetti da esso rappresentati, pur trattandosi di soggetti culturalmente qualificati.
Sotto questo profilo, quindi, mi sembra corretta la denuncia di incostituzionalità di quella Legge Regionale piemontese, non tanto perché violerebbe l’articolo 33 della Costituzione, quanto perché sovvertirebbe la stessa logica costituzionale globale.
In conclusione, non si confondano le due ipotesi: a mio parere, infatti, mentre la citata decisione della Cassazione è discutibile, quella Legge Regionale del Piemonte è invece costituzionalmente inammissibile.