Caro Lone, ti scrivo questa lettera soprattutto per farmi perdonare di non averti portato qui a Rimini. Non credere che non mi sia costato! Quando vedevo i tuoi “fratelli” sfrecciare per le strade, avevo una grande nostalgia di te… Purtroppo, però, eravamo già in cinque più i bagagli e, credimi, tu non ci entravi. Che ci vuoi fare, del resto nemmeno tu, come me, sei proprio una silfide…
Questo e stato il mio primo anno sulla riviera romagnola. Tante cose ne avevo saputo prima, dalla tele e dagli amici e devo dire che erano testimonianze molto diverse. La tele mostra in genere soltanto l’aspetto della “movida”, al massimo quello degli amori estivi, mentre gli amici mi avevano parlato anche della maggiore accessibilità di Rimini e dintorni. E devo dire che non avevano esagerato.
Quando sono uscita la prima sera, mi è sembrato che improvvisamente il numero delle persone in carrozzina fosse lievitato, e me lo ha confermato mio marito che ha molta più vista di me. Erano tutti in giro, con ogni tipo di locomozione assistita, dalle stampelle alla carrozzina ai tipi come te, tutti a godersi il fresco del mare. Infatti, oltre ad essere interamente isola pedonale, Rimini – o meglio Viserbella dov’ero – ha una bellissima pista ciclabile e quasi tutti i negozi sono correttamente forniti di scivoli. Anche l’albergo che mi ha ospitato era quasi tutto accessibile, tranne la piscina che, come al solito, non era dotata di sollevatore. Mi sono dunque goduta alcuni momenti di libertà e di esplorazione senza aver bisogno dell’accompagnatore.
Quanto a Giovanni [il figlio di Rosa Mauro, giovane con disturbi dello spettro autistico, N.d.R.], l’albergo in cui eravamo era dotato di personale che aveva frequentato un corso apposito per l’autismo presso un’Associazione. Hanno rispettato i suoi tempi e in alcuni casi gli sono andati incontro, come durante la serata musicale in cui lui ha voluto mangiare fuori in giardino. Sono stati discreti e non sono intervenuti tutte le volte in cui magari lui mangiava le cose in maniera diversa. E hanno adeguato il menù alle sue esigenze quando serviva.
Tutto perfetto, quindi? Dal punto di vista dell’accessibilità, siamo decisamente molto avanti. Lo stabilimento vicino a me era anche dotato della Sedia JOB, che permette, con l’aiuto di un accompagnatore, di farsi il bagno in tutta tranquillità e anche di muoversi sulla spiaggia molto più agevolmente che non con la carrozzina tradizionale. Io sono entrata in acqua assieme a mio marito che mi portava e a mio figlio, e abbiamo fatto il bagno tutti e tre insieme: è stata un’esperienza al tempo stesso inaspettata e impagabile.
Ho visitato poi anche l’Acquario di Cattolica e la nota Italia in miniatura di Viserbella e in entrambi i casi – nel secondo con l’aiuto delle guide – ho potuto girare ovunque, senza incontrare barriere architettoniche, anche se a Cattolica significava dover attraversare spazi aperti il che, intorno all’ora di pranzo, non è esattamente piacevole.
C’è per altro un problema legato alla tutela dei beni culturali che impedisce delle modifiche utili a chi è carrozzato per accedere ad alcuni luoghi passando dall’interno, come i normali utenti. Però, onestamente, devo dire che ho potuto visitare tutto e che mio padre – stanco – ha potuto usufruire di una sedia di cortesia.
Ma ritorniamo alla domanda che sicuramente ti continui a fare: tutto perfetto? Beh, io credo che il livello materiale di accessibilità non sia l’unico parametro per giudicare. Fin dal primo giorno, ad esempio – e me l’hanno confermato occhi migliori dei miei – ho visto disabili insieme o con uno o due accompagnatori, ma mai in un gruppo cosiddetto “misto”. Voglio dire che, per quanto possa aver notato, non c’erano gruppi numerosi in cui i disabili fossero “in comitive”.
Ho percepito poi, e in alcuni casi notato, una separazione impercettibile ma reale tra mondo e mondo… Per dirne una, nelle feste di strada, i balli di gruppo erano la regola, ma, a quel che so, non c’erano “danze carrozzate”. Che dici, Lone? Le “importo” io? Potrebbe anche essere un’idea… Un karaoke, invece, cui partecipava un nutrito gruppo di carrozzati l’ho effettivamente visto, c’erano però solo loro e il cantante…
Insomma, quello che non ho visto è una reale inclusione. Sia io che Giovanni, altro esempio, venivamo trattati con i guanti bianchi, ma essere trattati in un modo o in un altro a prescindere dal proprio comportamento, non è comunque una discriminazione? In altre parole, avevo la netta impressione che qualunque cosa avessi detto o fatto il tipo di cortesia non sarebbe cambiato. E se alla mattina andavo a prendermi i cornetti, c’era sempre un cameriere o più di uno che si offriva di portarmeli, pur essendo io perfettamente in grado di farlo da sola, mettendomi il piattino sulle ginocchia…
La sensazione, cioè, era che invece di un mondo ce ne fossero due e che, peggio, non si sentisse la necessità di ripristinare un’unità. Inoltre, la cortesia con cui tutti si comportavano con me e Giovanni era accompagnata da un senso di separazione che non ho avvertito solo io, come se ci fosse in ogni caso un’invisibile etichetta che ci impediva di essere visti prima come individui, come persone.
Mio figlio, che di solito impara almeno un nome delle persone che si occupano di lui, in questo caso non ne ha imparato nemmeno uno, perché anche se tutti parlavano con lui e – come ho detto – erano disponibili alle sue esigenze, nessuno di loro gli ha comunicato il proprio nome e glielo ha ripetuto, per costruire un legame che andasse al di là del mero servizio.
Cara Rimini, gli scivoli, le isole pedonali, i biglietti gratuiti per il parco e gli alberghi accessibili sono certamente e ovviamente un’ottima cosa, ma la prossima volta vorrei ascoltare Giovanni pronunciare i nomi delle persone che incontrerà e anch’io vorrei averne qualcuna da citare. Vorrei cioè poter dire, la prossima volta, che anche quei “muri invisibili” si stanno sgretolando!
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