Di buono, si fa per dire, c’è solo che la notizia arriva dalla Francia. Così la smettiamo di dire che… «certe cose, solo in Italia» o che «in questo Paese ormai è tutto un derby calcistico, una rissa tra tifoserie». Accade anche Oltralpe, ma è davvero una magra consolazione.
La notizia è che il Consiglio Superiore per l’Audiovisivo (CSA) francese, equivalente della nostra Agcom, il 26 luglio scorso è intervenuto contro alcuni canali televisivi che avevano trasmesso lo spot lanciato il 21 marzo di quest’anno in occasione della Giornata Mondiale delle Persone con Sindrome di Down, intitolato Dear Future Mom (“Cara futura mamma”) e progettato in Italia dal CoorDown (Coordinamento Nazionale Associazioni delle Persone con Sindrome di Down), con la realizzazione della nota agenzia pubblicitaria Saatchi&Saatchi.
Di quel filmato e del suo grande successo mediatico, si era parlato a lungo anche su queste pagine. Per chi non lo ricordasse, l’idea nasceva da una lettera, realmente ricevuta dal CoorDown, in cui una donna incinta, dopo aver saputo che il figlio che aveva in grembo sarebbe stato affetto da quella sindrome, chiedeva consigli e informazioni. L’idea dei creativi era stata quella di prendere spunto dalla missiva, per far rispondere alla futura mamma da tante persone con la trisomia 21 [altro nome con cui è nota la sindrome di Down, N.d.R.] di otto nazionalità diverse. Otto testimonianze, tutte positive, per dire che anche con la sindrome di Down si può andare a scuola, lavorare, avere amici, ci si può divertire e si può perfino essere felici. «Non devi avere paura – dicono quei ragazzi alla futura mamma – perché possiamo avere una vita piena e anche tu, nonostante le tante difficoltà, ti accorgerai che è valsa la pena di metterci al mondo».
Lo spot, come detto, ha avuto un grande successo: milioni di visite in YouTube, tantissimi commenti entusiastici e vari premi a Cannes, durante il Festival Internazionale della Creatività.
Ma se a Cannes, qualche mese fa, Dear Future Mom era stato premiato, a Parigi, evidentemente, deve avere dato fastidio a qualcuno. Da qui lo stop del CSA, con la conseguente reazione delle Associazioni cattoliche e di quelle che si occupano di sindrome di Down.
La motivazione del Consiglio Superiore per l’Audiovisivo transalpino è stata che il filmato, «benché diffuso a titolo gratuito, non può essere guardato come un messaggio d’interesse generale. Indirizzandosi a una futura madre sembra avere una finalità ambigua e può non suscitare un’adesione spontanea».
In seguito poi al polverone politico sollevato dalla messa al bando del video, l’Authority francese ha portato ulteriori spiegazioni sulla sua “bocciatura”. E ha definito «sconveniente disturbare le coscienze delle donne che nel rispetto della legge hanno fatto scelte diverse di vita personale».
Detto che in Francia il 96 per cento delle gravidanze con sindrome di Down si conclude con l’aborto e ribadito – come hanno fatto anche i responsabili del CoorDown -, che non era nelle intenzioni degli ideatori della campagna mettere in dubbio il diritto della donna a interrompere volontariamente la gravidanza, ci si chiede se sia così difficile conciliare le due posizioni. Se sia cioè davvero impossibile amare e far conoscere le persone con sindrome di Down senza turbare le donne che hanno abortito e, al contempo, se non si possa garantire il diritto all’interruzione della gravidanza senza essere accusati di omicidio. Non esiste una via di mezzo tra l’eugenetica e l’antiabortismo? Possibile che sia così difficile rispettare la scelta altrui, anche quando è diversa dalla propria? È così difficile essere tolleranti?