Ci sono cose, a volte, che più di altre rimangono impresse nella mente e toccano l’anima. All’improvviso, poi, risvegliate inconsciamente da nuove sensazioni, riaffiorano e si impongono con fermezza, muovendo volontà e azioni.
Questo è successo anche per un ragazzo con disabilità intellettiva che, venuto a conoscenza di una nostra iniziativa, ha voluto partecipare proponendo una sua variante. Un giovane la cui disabilità intellettiva ne preclude alcune abilità e facoltà, ma di certo non ne limita la capacità di riconoscere le emozioni e di valorizzare le esperienze positive animate da uno spirito di fratellanza e solidarietà.
Ecco, la storia che vogliamo oggi portare alla luce è molto semplice, a tratti banale, se inserita nel contesto affettivo, relazionale e sociale in cui si muove oggi la maggior parte degli adolescenti, ma posso assicurare che vista con i nostri occhi di genitori, essa ha per noi un valore assoluta, specie se rapportata alla scarsa partecipazione sociale, adattiva e comunicativa propria di quasi tutti i nostri ragazzi, all’incapacità di relazionarsi con i giusti modi e temi, ciò che condiziona di fatto moltissime delle loro attività.
A questo punto è necessaria una premessa. Nel dicembre dello scorso anno, l’ANGSA della Spezia (Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici) e la Fondazione Il Domani dell’Autismo della città ligure, avvalendosi della preziosissima collaborazione del Ristorante all’Inferno, avevano dato vita all’iniziativa denominata Con chi vado a cena stasera, consistente nell’accompagnare appunto a cena un ragazzo con disturbi autistici, da parte di un potenziale “amico volontario” estraneo all’Associazione [se ne legga anche in questo giornale, N.d.R.]. Quell’iniziativa, legata all’inclusione e all’ adattabilità ambientale e sociale, aveva riscosso un successo inaspettato, regalando gioia e speranza a tutte le persone coinvolte.
Ora, quindi, a distanza di qualche mese, che cosa è accaduto? Semplicemente che l’eco di quel bellissimo esempio non si è spenta affatto e soprattutto è ancora viva nei nostri ragazzi la certezza che anche loro, come i propri pari, abbiano il diritto a vivere le proprie scelte, da soddisfare anche solo concretizzando un invito a cena diretto alla persona che in un dato momento sentono più vicina e che suscita in loro il desiderio di stare assieme e di condividere le piccole cose quotidiane, con dolcezza, responsabilità e rispetto.
E così, tra accettazione adattiva e speranze di emancipazione, si è realizzato un sogno, ovvero l’invito a cena da parte di un ragazzo con disabilità, poco più che adolescente, verso una ragazzina anche lei con disabilità intellettiva. Un gesto semplice, come dicevo prima, e apparentemente normale tra adolescenti, che assume per noi genitori un valore assoluto, mettendoci ancora una volta di fronte ad atteggiamenti sconosciuti, liberatori e inaspettati dei nostri figli, i quali improvvisamente, memori di situazioni precedenti, esternano pensieri che si tramutano in volontà, sorprendendoci.
La tenerezza, che talvolta è frutto dell’ingenuità, ha toccato la nostra sensibilità e ci ha portato ad associare a questo episodio molteplici significati; uno fra i tanti è che i nostri figli hanno delle aspettative da noi genitori e dalla società, che ripongono in noi la loro fiducia, che ci chiedono continuamente di aiutarli a crescere e a diventare indipendenti. Ed è per questo che ogni giorno cerchiamo per loro il giusto cammino, il giusto contesto dentro il quale muoversi per ottenere il massimo degli stimoli emozionali, verbali e intellettivi, in modo tale da portarli ad arricchire le proprie conoscenze, che sapranno ritrovare e mettere in pratica ogniqualvolta lo riterranno necessario, per vivere intensamente e con serenità la propria vita.
Nuovi giorni, nuove speranze arricchiranno dunque la vita dei nostri ragazzi, se riusciremo a fare in modo che il loro desiderio di vivere un’esistenza piena e appagante dissolva le loro paure. I nostri sforzi, le nostre battaglie, la nostra ricerca di normalità racchiude una speranza che alfine si tramuta in gratitudine, di fronte ad esperienze belle come quella che ha visto protagonisti i nostri ragazzi, cosicché ci sentiamo appagati e il sacrificio si fa gioia.
«Dormivo e sognavo che la vita era gioia. Mi svegliai e vidi che la vita era servizio. Volli servire e vidi che servire era gioia» (Rabindranath Tagore).