Al buio sulla Via Francigena

di Claudio Arrigoni*
Lo zaino sulle spalle, la compagnia di altri viandanti e anche degli asini, per fare tra i venti e i trenta chilometri al giorno sulla Via Francigena, in un cammino spirituale, religioso o laico, secondo ciò che ognuno vive. E a percorrerlo ci sono anche alcuni “camminatori ciechi”, per la prima volta organizzatisi in gruppo
Camminatori con zaini e asini, sulla Via Francigena
Camminatori con zaini e asini, sulla Via Francigena

Viaggiare con lentezza. Sembra assurdo in un mondo dove un tema centrale è l’alta velocità. C’è chi ci crede ed è consapevole di far parte di una illuminata élite, il Cammino di Santiago de Compostela o la Via Francigena come luoghi di culto. Qualcosa più che una passione. Uno stile di vita. E c’è un evento a celebrarlo, tre giorni da oggi, 31 maggio, fino al 2 giugno, a Monteriggioni (Siena), nel tratto toscano della Via Francigena, per il Festival della Viandanza.
È per tutti, perché fra chi cammina c’è anche chi lo fa al buio: sono “camminatori ciechi”, che capita si muovano a livello individuale e si possano incontrare per queste strade. Per la prima volta, però, un gruppo si è organizzato su queste vie, dove si cerca non solo spiritualità.

«Si tratta di un’esperienza nata per caso, come capita alle cose belle. Da tempo facciamo trekking con la nostra Associazione, l’ADV di Roma (Associazione Disabili Visivi), insieme a guide, assolutamente volontarie, di Vigili del Fuoco e Guardie Forestali. Lo scorso anno uno degli “ospitaleri”, coloro che danno appunto ospitalità e rifugio ai viandanti, della Via Francigena, ebbe l’idea di questo esperimento con “ospitaleri” che ci facessero da guide. Siamo partiti da Lucca, sul cammino toscano della Via»: Stefania Leone non vede da 22 anni, metà della sua vita, la retinite pigmentosa che nel tempo aggrava la situazione di una ragazza che ha fra le passioni la danza e fra gli impegni l’università.
«All’inizio – dice – non fu semplicissimo. Avevo un muro davanti e due possibilità: fermarmi o andare avanti». È andata avanti, questa volta con meno lentezza, e, fra le altre cose, si è laureata in Informatica ed è andata a vivere con il suo compagno dall’Abruzzo a Roma.

Stefania è fra quella decina di persone fra i 37 e i 55 anni che hanno preso in mano il bastone del viandante, dopo avere usato insieme quello da trekking per tanto tempo. «Sono due cose diverse. Questo è un cammino spirituale, religioso o laico secondo quello che ognuno vive».
Una settimana di cammino, nel puro spirito del viandante: zaino, fra i venti e i trenta chilometri al giorno, rifugi e ospitalità dove si trovano. La Via Francigena è – come il Cammino di Santiago in Spagna – un percorso intriso di significato. Da Canterbury, in Inghilterra, porta a Roma e poi ancora più giù, in un itinerario percorso nei secoli da migliaia di pellegrini. È in particolare dall’inizio del secondo millennio che l’Europa ha visto un’enorme moltitudine di persone andare verso uno dei tre luoghi simbolo di questo tipo di pellegrinaggio con Santiago, appunto, e naturalmente Gerusalemme.
Il cammino è fatto prevalentemente in silenzio, con una riflessione anche legata ai luoghi che si passano. Ci sono paesaggi bellissimi, specie sulla Via Francigena, e in particolare proprio nel territorio toscano. Anche il “camminatore cieco” sa goderne, come spiega Stefania. «Una persona non vedente non può ammirare il panorama con gli occhi, è chiaro, ma può avere magari – pur se generalizzare è sempre sbagliato – un’introspezione diversa da chi vede e anche una grande attenzione alla fatica. Si percepiscono particolari, il sole, il vento, le ombre, una vallata chiusa o uno spazio aperto. La spiritualità è personale, ma chi si mette in gioco in un cammino di questo tipo non può essere arido dentro».
Fra i problemi, oltre a quelli di natura fisica («Mal di schiena, a ginocchia, caviglie, misto a momenti dove freddo, pioggia e vento sono stati i nostri compagni: ma questo capita»), anche il peso degli zaini e alcuni rifugi non attrezzati: «Da mettere in conto, sappiamo che ciechi che girano ce ne sono pochi, ma in questo sopperiscono le splendide persone che incontriamo».

E non solo persone: «I miei asini saranno lì, ad accompagnarli nell’ultimo tratto di strada e a portare per loro zaini e pesi vari. Non ci sarà da aver paura o timore, gli asini sanno mettere a proprio agio». Massimo Montanari sarà un altro dei protagonisti del Festival della Viandanza. Ha un’asineria didattica a Reggio Emilia, Aria Aperta, con quattordici asini: «Sono animali straordinari e di grande utilità sociale. Accompagnamo anche persone con disabilità a fare la spesa. Certo, un po’ di stupore c’è al parcheggio quando vedono qualche asino invece delle auto…».
I “camminatori ciechi”, quindi, avranno anche compagni di viaggio un po’ diversi in quel tratto di strada fino a Monteriggioni, dove si elogerà la lentezza.

Al Festival della Viandanza ci saranno più di cento ospiti (l’uomo di teatro Moni Ovadia, Sergio Staino, straordinario vignettista e disegnatore divenuto anche lui ormai cieco, lo scrittore Gianni Biondillo, quelli del gruppo musicale Têtes de Bois, Anna Rastello a raccontare il suo bellissimo libro Il cammino di Marcella). Il movimento lento è per tutti, non solo sulla Via Francigena.

Il presente testo è stato pubblicato da “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “Fra zaini e asini, la viandanza al buio sulla via Francigena” e viene qui riproposto – con alcuni riadattamenti al diverso contenitore – per gentile concessione.

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