La nostra Associazione Viva la Vita non è contro la beneficenza. Se riusciamo infatti a sostenere i malati di SLA (sclerosi laterale amiotrofica), lo possiamo fare soltanto grazie alla generosità e alla sensibilità di chi dona, anche soltanto un euro. Oggi, però, nelle settimane in cui si sta realizzando il nostro sogno di far parlare di SLA in tutto il mondo, grazie alla diffusione dell’iniziativa americana Ice Bucket Challenge, il secchio di acqua gelata che tanto successo sta avendo anche nel nostro Paese, si impone una riflessione: nessuna riforma del sistema di finanziamento alla ricerca può soddisfare il bisogno di un rivoluzione rapida e radicale.
La donazione per la ricerca sta passando per le Associazioni alle quali si sta trasferendo di fatto il compito istituzionale di finalizzare quei fondi verso azioni che siano rigorosamente scientifiche e affidate a ricercatori seri e preparati. Scegliere il progetto, finanziarlo, seguirlo, raccoglierne e utilizzarne i risultati è un lavoro assai complesso e soprattutto molto delicato. Non dico certo che le Associazioni che si occupano di SLA non siano in grado di farlo, ma dico – e spero di argomentarlo adeguatamente – che quel lavoro spetti esclusivamente allo Stato e alle sue Istituzioni.
Prima argomentazione: le Associazioni sono fatte di persone che volontariamente mettono a disposizione dei loro rappresentati il proprio impegno e il proprio entusiasmo, ma che non sono state reclutate con un meccanismo che ne valuti la competenza, la preparazione, l’informazione specifica in merito alla ricerca scientifica e ai suoi progressi. Di contro, il Ministero della Salute, l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), e in generale le Università e i Centri di Ricerca istituzionali sono fatti di persone preparate e competenti, selezionate per meriti e competenze. E sono pagati da noi cittadini, sono la nostra estensione, la migliore espressione della capacità necessaria per svolgere adeguatamente il compito loro affidato.
Seconda argomentazione: affidare alla beneficenza il compito di finanziare la ricerca è fare un salto nel buio. Pensiamo per un attimo al noto “Caso Vannoni” e ai suoi controversi esiti. Se l’Ice Bucket Challenge avesse con tutto il suo entusiasmo finanziato una pseudoricerca come quella della Fondazione Stamina, a chi avremmo dovuto poi imputarne il danno?
Terza argomentazione: nel mondo in questi giorni si stanno donando somme ingentissime. Passano tutte per banche e organismi finanziari privati ai quali è concessa – sottolineo giustamente -, una commissione che spesso arriva al 4 per cento per l’accreditamento dei fondi. Un esempio. Se un donatore invia 50 euro al sito di Viva la Vita, lo fa attraverso un istituto bancario che (ripeto giustamente) si trattiene 2,05 euro. Ora facciamo un rapido calcolo di quanto degli importi donati nel mondo non è arrivato alle Associazioni e dunque alla ricerca. Siamo sull’ordine di diversi milioni di euro.
Un altro esempio. Se un donatore offre del denaro a fronte di un evento di beneficenza quale un concerto o una partita di calcio, una parte cospicua (talvolta addirittura la metà) della sua donazione non arriva alla ricerca alla quale doveva essere destinata, poiché serve per pagare i costi vivi dell’organizzazione dell’evento. E così via. Se i fondi per la ricerca fosse lo Stato a erogarli, andrebbero per intero destinati ai loro destinatari, cioè ai ricercatori.
Quarta e ultima argomentazione: in Italia abbiamo il problema dello scarso numero di brevetti che la ricerca riesce ogni anno a realizzare. Questo è imputabile senz’altro alla scarsità di fondi che la ricerca ha a disposizione, d’accordo, ma qualora un’Associazione o un’agenzia privata mettesse a disposizione fondi per la ricerca, scegliendo secondo il proprio arbitrio il progetto da realizzare, di chi sarebbe poi la proprietà del brevetto che auspicabilmente ne potrebbe essere realizzato? Non dello Stato.
Ancora un esempio: Quando Steve Jobs buonanima inventò Apple, poté avvalersi dei risultati della ricerca che gli Stati Uniti d’America avevano finanziato, mettendo a disposizione di quel genio le invenzioni statali dalle quali poté realizzare le tecnologie che oggi tutti portiamo in tasca. Se lo Stato americano non avesse investito in ricerca, Steve Jobs non sarebbe stato quello che abbiamo conosciuto e non avrebbe potuto dare il suo contributo al mondo.
Conclusione: quale Presidente di Viva la Vita, una delle Associazioni di riferimento in Italia per la lotta alla SLA, sostengo che grazie all’Ice Bucket Challenge e al suo straordinario successo planetario, si debba rivedere, sin dalla prossima Legge di Stabilità, e in generale nella politica economica e finanziaria dello Stato italiano, la quantità di fondi da destinare alla ricerca, le modalità di definizione dei progetti a cui destinarli, i meccanismi di valutazione e controllo dei risultati ottenuti e, non ultimo di importanza, il patrimonio di brevetti statali che possono essere messi a disposizione della scienza e del progresso comune.