Questa estate abbiamo visto migliaia di persone, famose e non, gettarsi acqua ghiacciata in testa per aumentare la consapevolezza sulla sclerosi laterale amiotrofica, detta più comunemente SLA. Tra queste anche il presidente del Consiglio Matteo Renzi, al quale lancio il mio appello: le docce gelate non bastano, devi portare il Fondo per la Non Autosufficienza ad almeno un miliardo di euro!
Sono felicemente sposato da 39 anni e da circa dieci ho un’“amante” di nome SLA. Mia moglie non gradiva, ma dopo ci ha fatto l’abitudine. La malattia è una costante certezza che accompagna l’umanità. Negli ultimi decenni la medicina ha fatto passi da gigante, soprattutto grazie allo sviluppo dell’elettronica e dell’informatica, che hanno dato un determinante sviluppo alla prevenzione e alla diagnosi. Purtroppo esistono malattie analizzate e descritte da più di cento anni delle quali ancora si sa troppo poco e chi ha la sfortuna di averle risulta al momento inguaribile.
Le malattie in questione sono prettamente neurologiche e le più devastanti sono sicuramente quelle neuromuscolari. Io ho l’“onore” di essere il prescelto da una delle più infide, la SLA. Dico “onore” perché nella vita si ha una sola certezza, la morte. Ebbene, se devo morire prima o poi, considero un’esperienza umana ed emotiva e di riscoperta dei valori della vita convivere con la SLA.
La convivenza con una malattia quale la SLA presuppone una serie di problematiche di difficile soluzione. Pur essendo infatti una malattia inguaribile, essa è chiaramente curabile sotto molti punti di vista. Bisogna adeguare il decadimento fisico, rafforzando quello psicologico: cosa non semplice, ma fattibile, se si riesce a trovare una rete assistenziale di supporto.
In questi casi è indispensabile il controllo vigile di una persona ventiquattr’ore al giorno che garantisca la verifica di parametri vitali, il controllo della stomia e delle apparecchiature di supporto. Queste operazioni sono riservate a medici e infermieri di rianimazione che hanno la professionalità e l’esperienza indispensabili. La cura e il supporto domiciliare sono la soluzione ideale, in quanto il contorno familiare è la panacea a molti dei problemi che possono minare una minima qualità della vita.
Questa è la mia storia, che mi consente di vivere con serenità, tranquillità – e direi anche gratificazione – la mia seconda vita. Il mio cruccio è che non tutte le situazioni in Italia sono rosee come la mia: ci sono troppe differenze tra le varie ASL, che non consentono un’uguale presa in carico; ci sono malati e famiglie che soffrono per mancanza totale di un supporto logistico che consenta loro di fruire di quei diritti consolidati; molti Comuni vivono in una realtà di ignoranza più totale delle norme e delle leggi.
Bisogna quindi lavorare ancora tanto perché domani la voglia di vivere prevalga sulla disperazione con un ritorno anche economico e sociale di grande rilevanza. Le lungodegenze in rianimazione, invece che a casa del malato, costano alla collettività in termini economici e riducono i malati alla stregua di “animali in gabbia”. Le cure a domicilio, dunque, sono la soluzione, ma per renderle accessibili a tutti i malati in condizioni di non autosufficienza è fondamentale aumentare i fondi a disposizione.
Caro Matteo Renzi, spero che questo mio appello la aiuti a farla passare dalle parole ai fatti. I disabili gravi e gravissimi hanno bisogno degli affetti familiari, hanno bisogno di assistenza indiretta per restare a casa. Sblocchi subito i 350 milioni del Fondo per la Non Autosufficienza e lo porti a un miliardo di euro.
La nostra opulenta società non può non mettere in cima alle priorità l’essere umano con la sua dignità, le sue debolezze e i suoi bisogni, curando le giuste esigenze dei bilanci, senza trascurare i livelli minimi di assistenza fisica e psicologica.