Cosa spinge ancora Alex Zanardi?

di Claudio Arrigoni*
«Ha fatto più lui per il mondo della disabilità - scrive Claudio Arrigoni - che anni di convegni, e ancor più ha fatto per lo sport paralimpico». E ora, dopo i recenti, nuovi successi ai Campionati Mondiali di Paraciclismo negli Stati Uniti, potrebbe anche fermarsi, ma non ci pensa minimamente. Che cosa lo spinge ancora? Prova a dare una risposta lo stesso Arrigoni
Alex Zanardi
Una bella immagine di Alex Zanardi in azione, durante i recenti Campionati Mondiali di Paraciclismo, svoltisi a Grenville negli Stati Uniti

C’è quella canzone di Ligabue: «Ho perso le parole». Perderle o trovarne troppe. Per Alex Zanardi è così. “Leggenda” quando è ancora nella storia. Sempre più, ancora di più.
In pochi giorni ha vinto recentemente due medaglie d’oro e una d’argento ai Campionati Mondiali di Paraciclismo di Grenville, negli Stati Uniti, prima nella staffetta insieme a Vittorio Podestà e Luca Mazzone (con dedica sul podio ad Alfredo Martini, lo storico commissario tecnico del ciclismo appena scomparso), poi in quella individuale a cronometro e infine arrivando secondo nella gara in linea, preceduto allo sprint solo dal sudafricano Ernst Van Dyck.
Ha 47 anni: «Ho trovato avversari – racconta – nati nell’anno in cui debuttavo in Formula Uno, nel ’91». È un simbolo dello sport mondiale: lui a terra ad alzare sopra la testa l’handbike, la bicicletta che si pedala con le mani e che ha saputo sublimare, dopo aver vinto l’oro a Londra 2012, è diventata l’immagine icona di quella Paralimpiade. Potrebbe fermarsi. «E perché?». Già: perché? Partiamo dalla risposta forse più semplice: è lo sport. Basta quello?

Dice al figlio Nicolò: «Sii curioso». Torna quella parola: «Mi spinge la curiosità». Bella forma di motivazione. Vale per ogni obiettivo. O sogno. O tentativo. Ad Alex Zanardi piace rimettersi in gioco. Era il 15 settembre del 2001 e quell’incidente al Lausitzring è nella memoria collettiva: «Una delle più grandi opportunità della mia vita». Parole che suonano straordinarie, ma poi lo si incontra, ci si parla, lo si conosce e non lo sono più. Quel giorno gli era rimasto solo un litro di sangue in corpo, con i medici che ancora si chiedono come abbia potuto sopravvivere. «Poi solo cose belle».
C’è chi confonde queste parole: “elogio della disabilità”. No, solo il dire: sappi cogliere le occasioni, trasforma la tua vita, non fermarti a ciò che appare negativo.

Sulla disabilità ci sono parole che lo spiegano. Una è resilienza, ovvero essere capaci di “non piegarsi” e, anzi, superare difficoltà e ostacoli. Riduttivo. Nello sport paralimpico non ci si ferma lì. Vale per i campioni, come Alex, e per chi suda e fatica senza vincere. Lì c’è qualcosa di più. C’è quella parola del primo capoverso: sport. Altrimenti non si spiega non solo Zanardi, ma le migliaia di persone – per fortuna sempre più – che usano una handbike o una carrozzina o lo scivolo della boccia e sono appassionati e si divertono e conoscono persone e insieme sudano e faticano.

Così si torna ad Alex e alle sue medaglie di Grenville. Pure lo scorso anno ne aveva vinte tre, tutte d’oro, campione del mondo in ogni gara disputata, e “cinguettò”: «A 47 anni non vorrei fosse l’ultima volta, ma lasciatemi divertire». Non è stata l’ultima. E non si ferma. Un uomo che sembra di ferro. Sarà la prossima sfida: l’Ironman, il triathlon più duro e difficile (a Kona, nelle Hawaii, in ottobre: 3,8 chilometri nell’oceano, 180 chilometri pedalando, una maratona per chiudere…). In mezzo ci saranno le gare automobilistiche, amore mai lasciato, nel Campionato GT Blancpain che sta correndo con la BMW. Il circuito di Grenville è uno di quelli di prova proprio della BMW. Così ne ha approfittato per visitare la fabbrica di Spartanburg, in South Carolina: «Per me è come essere un bambino in un negozio di caramelle, un’esperienza emozionante». Sono i suoi occhi, quelli di un fanciullo.

Alex è un vanto italiano nel mondo. I social, da Twitter a Facebook, amplificano la sua grandezza. L’esempio che ha dato a coloro che sono in difficoltà è straordinario. Ha fatto più lui per il mondo della disabilità che anni di convegni. E vale ancor più per lo sport paralimpico.
Ora “handbike” non è una parola sconosciuta, è la disciplina paralimpica con il trend di crescita maggiore. Il commissario tecnico Mario Valentini vale per il paraciclismo quello che Alfredo Martini era nel ciclismo: con quelle di Grenville, sono cinquantadue (52!) medaglie d’oro nella sua gestione azzurra. Zanardi è solo quello che ha più visibilità. Luca Mazzone e Vittorio Podestà, anche loro con l’handbike perché paraplegici, compagni nell’oro della staffetta. Ci hanno aggiunto un argento individuale nella crono. E poi ci sono i fratelli Pizzi, Luca e Ivano, in tandem, uno guida e l’altro cieco: i migliori del mondo, oro nella cronometro, due fenomeni sbocciati a Londra, meno titoli sui giornali, ma così bravi. Gli Azzurri hanno raggiunto tredici medaglie, risultando terzi nel conteggio totale, grazie anche all’argento nella crono di Giancarlo Masini e ai bronzi di Fabio Anobile e Giorgio Farroni.
Sempre e solo resilienza? Eh no, non vale per lo sport, qui contano le stesse motivazioni che spingono un Totti a essere il migliore nella Roma con chi potrebbe essere suo figlio o una Pellegrini a sudare ogni giorno in piscina. Qui non è la disabilità che fa la differenza. Sono le persone: Alex, Luca, Vittorio o i mille altri nomi sconosciuti di chi ama lo sport.

Testo apparso anche in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “Alex Zanardi, ancora Campione del Mondo. Cosa lo spinge?”) . Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti e aggiornamenti, motivati rispettivamente dal diverso contesto e dal differente momento di pubblicazione, per gentile concessione.

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