I concorsi pubblici e le persone con disabilità cognitiva

di Giuseppe Arconzo*
Portato di recente alla ribalta da una decisione del TAR del Lazio, il tema della partecipazione ai concorsi pubblici da parte delle persone con disabilità, e in particolare con disabilità cognitiva, è particolarmente delicato, anche in ragione di una certa confusione che le norme di tale settore possono determinare. Proviamo a fare “un po’ di luce”, insieme a Giuseppe Arconzo dell’Università di Milano, nella quale è anche Delegato del Rettore alla Disabilità
Partecipanti a un concorso pubblico
Partecipanti a un concorso pubblico

1. Il tema della partecipazione delle persone con disabilità ai concorsi pubblici è stato portato di recente alla ribalta da una decisione del Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Lazio (Sezione Prima Quater, n. 2563 del 6 giugno scorso), con la quale – in ragione della mancata previsione di modalità tali da consentire anche a una persona con disabilità di partecipare al concorso – era stata sospesa l’efficacia del Decreto Ministeriale del 30 ottobre 2013, che aveva previsto lo svolgimento delle prove del concorso per l’accesso in magistratura in tre date consecutive (cfr. G. Virga, Una ordinanza “nobile”, ma non condivisibile, in «LexItalia.it» e in senso contrario, volendo, G. Arconzo, Il Tar blocca concorso: vince l’uguaglianza, in «Vox – Osservatorio Italiano sui Diritti» [quest’ultimo ripreso anche dal nostro giornale», con minimi riadattamenti al diverso contenitore e con una nostra postilla redazionale, N.d.R.]).
Tale decisione è stata poi riformata in appello dal Consiglio di Stato che, con il Decreto Presidenziale n. 2435 del 9 giugno successivo, ha accolto il ricorso del Ministero della Giustizia, autorizzando lo svolgimento del concorso secondo le previsioni originarie.
Come le vivaci reazioni nell’opinione pubblica hanno dimostrato, il tema delle modalità di partecipazione ai concorsi pubblici da parte delle persone con disabilità è particolarmente delicato, anche in ragione di una certa confusione che le norme – che in questo settore si presentano in modo estremamente disorganico – possono determinare.

2. Si prenda, ad esempio, quanto previsto dall’articolo 37 del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, in merito al quale, anche in un recente caso, sono sorte alcune problematiche (se n’è parlato anche su queste pagine, nell’articolo intitolato Inclusione lavorativa nelle strutture di Roma Capitale).
Il primo comma della norma in questione dispone che dal 1° gennaio 2000 i bandi di concorso per l’accesso a tutte le amministrazioni pubbliche debbano prevedere «l’accertamento della conoscenza dell’uso delle apparecchiature e delle applicazioni informatiche più diffuse e di almeno una lingua straniera».
Il comma successivo dispone poi che uno specifico regolamento di esecuzione disciplini i livelli di conoscenza richiesti per i dirigenti e le relative modalità di accertamento, mentre il terzo comma, che qui interessa, prevede che «Per gli altri dipendenti delle amministrazioni dello Stato, con regolamento emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni ed integrazioni, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, sono stabiliti i livelli di conoscenza, anche in relazione alla professionalità cui si riferisce il bando, e le modalità per l’accertamento della conoscenza medesima. Il regolamento stabilisce altresì i casi nei quali il comma 1 non si applica». In realtà, il regolamento previsto dalla norma non è stato mai emanato.
Considerato però che le Pubbliche Amministrazioni fanno frequente ricorso allo strumento concorsuale anche per le assunzioni delle persone con disabilità, è opportuno chiedersi se possano essere i bandi delle Pubbliche Amministrazioni Statali a prevedere direttamente l’esenzione dall’accertamento delle conoscenze informatiche e/o della lingua straniera per le persone con disabilità cognitive.
La ragione di questo interrogativo è facilmente comprensibile, se si considera ad esempio che – pur nell’estrema varietà delle disabilità cognitive -, spesso una persona con una disabilità di questo genere ha notevoli difficoltà nell’apprendimento del linguaggio, ciò che può rendere alquanto improbabile la conoscenza di una lingua straniera.

3. La questione, occorre dirlo subito, non si presenta di facile soluzione: non si rinvengono, infatti, precedenti diretti nella giurisprudenza e, ad un primo esame, sia la tesi positiva che quella negativa paiono trovare argomenti a sostegno.
In generale, va osservato che il problema dell’applicabilità di una legge – in mancanza dell’emanazione della prescritta normativa secondaria di esecuzione o di attuazione – può ricevere risposte diversificate in relazione al tenore testuale delle disposizioni coinvolte e delle esigenze proprie dei singoli settori dell’ordinamento (in questo senso, si veda per tutti TAR del Lazio, Roma, Sezione Seconda Bis, Sentenza 2 febbraio 2012, n. 1135).
Nelle rare circostanze che hanno visto la giurisprudenza confrontarsi con il citato articolo 37 del Decreto Legislativo 165/01, si è evidenziato che la mancata emanazione delle disposizioni regolamentari ivi previste «non pregiudica la possibilità che i bandi dispongano direttamente le modalità di accertamento ed i livelli delle conoscenze in questione» (cfr. Consiglio di Stato, Sezione Quinta, Sentenza 25 agosto 2008, n. 4081 e, in senso analogo, anche TAR del Veneto, Sezione Seconda, Sentenza 7 ottobre 2010, n. 5285).
Anche se nelle decisioni citate nulla si è detto con esplicito riferimento alla possibilità per i bandi di determinare i casi di esonero delle conoscenze di cui al comma 1 dell’articolo 37, tali Sentenze potrebbero costituire il fondamento per argomentare la tesi che consentirebbe direttamente ai bandi di prevedere anche la non applicabilità del primo comma.

4. A favore di quest’ultima interpretazione si potrebbero invocare una serie di norme, internazionali, europee e nazionali, che dimostrano un chiaro e spiccato favor per l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità.
Si consideri ad esempio quanto disposto dall’articolo 27 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che impegna gli Stati aderenti alla Convenzione stessa non soltanto a vietare comportamenti discriminatori nei confronti delle persone disabili, ma anche ad adottare una serie di misure che ne favoriscano l’occupazione, anche nel settore pubblico.
O, ancora, si pensi a quanto previsto dalla Direttiva 78/2000/CE la quale all’articolo 5 dispone che il datore di lavoro debba prendere i provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro.
Inoltre, in questa stessa prospettiva, e fermo restando quanto dispongono gli articoli 2, 3, 4 e 38 della Costituzione, occorre considerare l’articolo 16 della Legge 68/99 [“Norme per il diritto al lavoro dei disabili”, N.d.R.], secondo cui «i disabili possono partecipare a tutti i concorsi per il pubblico impiego, da qualsiasi amministrazione pubblica siano banditi. A tal fine i bandi di concorso prevedono speciali modalità di svolgimento delle prove di esame per consentire ai soggetti suddetti di concorrere in effettive condizioni di parità con gli altri».
Infine, un qualche rilievo sembra assumere anche quanto introdotto dal recente Decreto Legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito nella Legge 11 agosto 2014, n. 114. Qui l’articolo 25, comma 9 ha infatti modificato l’articolo 20 della Legge 104/92 che oggi contiene un comma 2 bis, secondo cui «la persona handicappata affetta da invalidità uguale o superiore all’80% non è tenuta a sostenere la prova preselettiva eventualmente prevista».
Tenuto conto di tutte le norme considerate – e dunque in ragione del principio esistente nel nostro ordinamento che guarda con favore alle misure che favoriscono l’occupazione delle persone disabili – potrebbe dunque ritenersi legittima un’interpretazione sistematica dell’articolo 37 del Decreto Legislativo 165/01 che consentisse alle Pubbliche Amministrazioni Statali di derogare, nella predisposizione dei bandi di concorso, all’obbligo di accertare la conoscenza della lingua straniera e delle competenze informatiche per le persone affette da disabilità cognitive.

5. Non si può tuttavia tacere che la soluzione appena prospettata si presta ad alcune obiezioni delle quali è doveroso dare atto e che fanno in realtà propendere per la soluzione negativa.
La già richiamata Sentenza del TAR del Lazio (Roma, Sezione Seconda Bis, Sentenza 2 febbraio 2012, n. 1135) ha infatti evidenziato che l’applicazione immediata di una legge priva del regolamento attuativo richiede che la stessa legge sia self-executing, ossia che rechi una disciplina non lacunosa e immediatamente applicabile (in tal senso, cfr. già Consiglio di Stato, Sezione Prima, Parere n. 2957 del 29 ottobre 2003). Se dalla legge non può desumersi una disciplina compiuta, la stessa legge non potrà dunque essere applicata.
Nel presente caso, la norma in questione («Il regolamento stabilisce altresì i casi nei quali il comma 1 non si applica») è del tutto generica nel rimettere alla normativa regolamentare le situazioni in cui disporre l’esonero dalle conoscenze informatiche e della lingua straniera.
Si badi, il caso dell’esonero appare diverso da quello della determinazione delle «modalità di accertamento e dei livelli di conoscenza», per i quali, come visto sopra, il Giudice Amministrativo ha invece riconosciuto un margine di intervento per i bandi stessi. La legge effettua un riferimento «alla professionalità cui si riferisce il bando», il che sembraun criterio sufficiente per consentire al bando stesso di individuare il livello di conoscenza richiesto. Non così, invece, per i casi di esonero, per i quali la legge non fornisce alcuna indicazione.
Ne consegue che consentire alle singole Amministrazioni di prevedere l’esonero dall’accertamento delle conoscenze in oggetto può determinare un rischio di discriminazione molto elevato, sia tra persone con disabilità e persone non disabili, sia tra le stesse persone con disabilità.
In secondo luogo, non si può nascondere una sorta di irragionevolezza nell’interpretazione che garantirebbe la possibilità alle Pubbliche Amministrazioni di disporre nei concorsi l’esonero dall’accertamento della lingua straniera o delle competenze informatiche per le disabilità cognitive. Bisogna infatti considerare che l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità (principio di carattere costituzionale, desumibile, come accennato, dagli articoli 2, 3, 4 e 38 della Costituzione) trova una garanzia innanzitutto nel meccanismo delle assunzioni obbligatorie che contemplano la chiamata numerica.
Allo stesso tempo, il concorso pubblico – che nei casi in cui occorra assicurare la copertura delle quote d’obbligo, prevede quote di riserva per le persone con disabilità e deve comunque svolgersi in modo da evitare che il deficit non influenzi lo svolgimento della prova – ha come obiettivo quello di selezionare il personale più idoneo allo svolgimento della funzione richiesta.
Anche quest’ultimo, si badi, è un interesse che assume rilievo costituzionale, secondo quanto previsto dall’articolo 97 della Costituzione e più volte ribadito dalla Corte Costituzionale.
Inoltre, come ben evidenziato in una decisione del Consiglio di Stato (Sezione Sesta, Sentenza 4 dicembre 2009, n. 7635), nel settore pubblico l’obbligo di assumere un determinato contingente di personale con disabilità deve coniugarsi – oltreché con il divieto di richiedere al disabile una prestazione non compatibile con le sue minorazioni -, anche con il principio costituzionale del buon andamento degli uffici pubblici, la cui osservanza impone che le capacità psicofisiche della persona debbano essere compatibili con le mansioni da svolgere.
Delle due, dunque, l’una: o le conoscenze informatiche e della lingua straniera sono necessarie per ricoprire la funzione messa a concorso, oppure esse non lo sono.
Nel primo caso, esonerare dall’accertamento di tali conoscenze le persone con disabilità cognitiva significa consentire di svolgere mansioni per le quali è richiesta una determinata professionalità a coloro che tale professionalità non hanno o non possono avere. Cosa che finisce per contraddire anche il principio del “collocamento mirato” che permea l’intera disciplina in materia di inserimento lavorativo delle persone con disabilità e vuole queste ultime ricoprire le posizioni lavorative più adatte alle proprie caratteristiche soggettive e professionali.
Nel caso in cui tali conoscenze non siano invece indispensabili, francamente non pare necessario differenziare la posizione delle persone con disabilità cognitiva rispetto a quella di tutte le altre persone.

6. Tutto quanto fin qui evidenziato, dunque, sembra far propendere per l’impossibilità di ammettere deroghe da parte delle Pubbliche Amministrazioni Statali alla conoscenza della lingua straniera e delle applicazioni informatiche.
Cosa fare, allora, per garantire anche alle persone con disabilità cognitiva la possibilità di accedere al lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni?
Probabilmente, è la stessa strada del concorso quella non idonea. Un maggiore utilizzo delle convenzioni di cui all’articolo 11 della Legge 68/99 – grazie alle quali la fase dell’inserimento lavorativo, lungi dal rivestire natura coercitiva, è il momento finale di un percorso consensuale improntato a collaborazione, durante il quale è possibile svolgere percorsi di formazione e di accompagnamento nel mondo del lavoro, uniti ad opportune forme di mediazione – potrebbe ad esempio garantire un miglior risultato.
La strada in effetti, è stata già segnata, almeno per le persone con disabilità psichica (si confronti l’articolo 9, comma 4 della Legge 68/99, nonché la Sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, 22 luglio 2013, n. 17785): si tratterebbe quindi, per effettuare un deciso passo in avanti per l’inclusione delle persone con disabilità cognitiva, di riconoscere la necessità delle convenzioni anche per costoro, così come già effettuato per le persone con disabilità psichica.

Ringraziamo Sandro Paramatti per la collaborazione.

Ricercatore in Diritto Costituzionale all’Università di Milano e Delegato del Rettore alle Disabilità nel medesimo Ateneo.

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