Da un paio di anni a questa parte la figura del caregiver familiare (assistente di cura familiare) è balzata prepotentemente agli onori delle cronache specialistiche, con sporadiche puntate sui media generalisti. A tutt’oggi i risultati non sono ancora paragonabili all’impegno profuso da associazioni e singoli caregiver, ma nell’opinione pubblica – almeno in quella più attenta – e in quella politica, si fa strada l’idea che tale fondamentale figura assistenziale debba essere “normata”.
Forte di una venticinquennale esperienza da caregiver “co-primario” e da una quasi tripla esperienza come essere umano “normato” dalla legislazione italiana, tremo al sol pensiero di ciò che potrà produrre l’atto legislativo in fieri.
A sconfortante supporto dei miei timori, porto, per gli increduli, quello che secondo un bel lavoro di qualche tempo fa delle ricercatrici Cecilia Maria Marchisio e Natascia Curto è il primo desiderio dei caregiver: non essere ostacolati dalla burocrazia.
Di questi tempi è poi un vivace dibattito sul cosiddetto “dopo di noi”, sull’assistenza indiretta (bellissimo, in tal senso, l’articolo assai tecnico di Carlo Giacobini e Daniela Bucci, pubblicato da questa testata), sulla vita indipendente e sulle altre tematiche della disabilità protratta nel tempo. Le molte proposte tendono a dare una base di certezza all’esigibilità del diritto, alla sostenibilità economica e all’individuazione dei soggetti fruitori del diritto stesso.
I risultati, a tutt’oggi, appaiono ancora problematici e futuribili. Anche perché il “privato sociale” – qui inteso nella sua accezione più “perversa” – ha fiutato l’affare: cooperative fintamente sociali, compagnie assicuratrici, prestanome di Parlamentari vari, nonché loro amanti e parenti, stanno affilando denti e coltelli per spartirsi la torta che, data la ristrettezza dei tempi, molto ricca non potrà però essere.
Un primo risultato, comunque, è stato raggiunto: più di un politico (di ambo i generi) si è “rifatto una verginità” in materia. Sono perfido? Non credo. Sono solo un vecchio caregiver “co-primario” dall’esistenza faticosamente spesa, dalla fine annunciata da tempo (conoscete la formuletta della dottoressa Elizabeth Blackburn, Premio Nobel per la Medicina nel 2009, utile a calcolare l’età reale del caregiver? Data quest’ultima come X, essa è uguale a Y + 17, ove 17 sono gli anni da aggiungere all’età anagrafica Y) e dai miracoli mancati, nel senso che anni di faticoso lavoro sul tema (convegni, scritti, scontri ecc. ecc.) hanno prodotto pochissimo.
Unica nota lieta: il soggetto della prestazione assistenziale venticinquennale si dichiara soddisfatto del trattamento e gode di salute compatibilmente buona.