L’età reale di un caregiver familiare

Secondo Elizabeth Blackburn, Premio Nobel per la Medicina, l’età reale dei caregiver familiari – ovvero di coloro che si prendono cura di una persona con importanti necessità di assistenza – è ben superiore a quella anagrafica. E ora che tale figura sembra balzare sempre più agli onori delle cronache, Giorgio Genta, che si definisce «vecchio caregiver “co-primario”, dai miracoli mancati», si dimostra scettico su eventuali leggi riguardanti il settore

Mulo che trasporta dei computer, affiancato da due uomini

Spesso, anche su queste pagine, Giorgio Genta ha paragonato il lavoro del caregiver familiare a quello di un mulo da soma

Da un paio di anni a questa parte la figura del caregiver familiare (assistente di cura familiare) è balzata prepotentemente agli onori delle cronache specialistiche, con sporadiche puntate sui media generalisti. A tutt’oggi i risultati non sono ancora paragonabili all’impegno profuso da associazioni e singoli caregiver, ma nell’opinione pubblica – almeno in quella più attenta – e in quella politica, si fa strada l’idea che tale fondamentale figura assistenziale debba essere “normata”.
Forte di una venticinquennale esperienza da caregiver “co-primario” e da una quasi tripla esperienza come essere umano “normato” dalla legislazione italiana, tremo al sol pensiero di ciò che potrà produrre l’atto legislativo in fieri.
A sconfortante supporto dei miei timori, porto, per gli increduli, quello che secondo un bel lavoro di qualche tempo fa delle ricercatrici Cecilia Maria Marchisio e Natascia Curto è il primo desiderio dei caregiver: non essere ostacolati dalla burocrazia.

Di questi tempi è poi un vivace dibattito sul cosiddetto “dopo di noi”, sull’assistenza indiretta (bellissimo, in tal senso, l’articolo assai tecnico di Carlo Giacobini e Daniela Bucci, pubblicato da questa testata), sulla vita indipendente e sulle altre tematiche della disabilità protratta nel tempo. Le molte proposte tendono a dare una base di certezza all’esigibilità del diritto, alla sostenibilità economica e all’individuazione dei soggetti fruitori del diritto stesso.
I risultati, a tutt’oggi, appaiono ancora problematici e futuribili. Anche perché il “privato sociale” – qui inteso nella sua accezione più “perversa” – ha fiutato l’affare: cooperative fintamente sociali, compagnie assicuratrici, prestanome di Parlamentari vari, nonché loro amanti e parenti, stanno affilando denti e coltelli per spartirsi la torta che, data la ristrettezza dei tempi, molto ricca non potrà però essere.
Un primo risultato, comunque, è stato raggiunto: più di un politico (di ambo i generi) si è “rifatto una verginità” in materia. Sono perfido? Non credo. Sono solo un vecchio caregiver “co-primario” dall’esistenza faticosamente spesa, dalla fine annunciata da tempo (conoscete la formuletta della dottoressa Elizabeth Blackburn, Premio Nobel per la Medicina nel 2009, utile a calcolare l’età reale del caregiver? Data quest’ultima come X, essa è uguale a Y + 17, ove 17 sono gli anni da aggiungere all’età anagrafica Y) e dai miracoli mancati, nel senso che anni di faticoso lavoro sul tema (convegni, scritti, scontri ecc. ecc.) hanno prodotto pochissimo.
Unica nota lieta: il soggetto della prestazione assistenziale venticinquennale si dichiara soddisfatto del trattamento e gode di salute compatibilmente buona.

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