Si succedono, a ritmo sempre più incalzante, le drammatiche testimonianze e denunce di molti familiari con figli autistici, preoccupati – innanzitutto – di cosa potrà accadere ai loro figli quando essi, non fosse che per l’implacabile legge del tempo che ci governa, non ci saranno più. Il “dopo di noi” rappresenta, con tutta evidenza, una preoccupazione largamente presente in molte famiglie, alle cui incertezze e insicurezze purtroppo si risponde quasi sempre con generiche rassicurazioni che mancano – o per lo meno mancano al momento – di un serio e concreto approdo strategico.
Una conferma di quanto drammatica sia la situazione arriva, ad esempio, dall’ultimo numero della rivista «Vanity Fair» che riporta, in particolare, le testimonianze di alcuni genitori facenti capo al Centro per Autistici di Novara. Racconta, tra le altre, Angela, una mamma che sta combattendo il cancro, 55 anni, un figlio autistico di 20: «Prima un’operazione al seno, poi due anni fa mi hanno trovato metastasi al fegato e alle ossa. Purtroppo è il quarto stadio, non ci sono tante speranze. Non posso non pensare al dopo». Quante “Angela” ci sono nel nostro Paese?
Io credo che a Lei, e a tantissime altre Persone come Lei, debbano essere date risposte serie. Al contrario ho l’impressione che le proposte eccentriche di cui si legge in questi giorni, su network, giornali ecc., siano più un’operazione di cosmesi editoriale che altro.
Mi chiedo come valutare, in questo contesto, il silenzio assordante dell’ANGSA (Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici), cioè dell’Associazione che maggiormente dovrebbe essere in prima linea nel rappresentare i bisogni e i diritti di tanti genitori e dei loro figli autistici. Come mai, potremmo dire “autisticamente”, l’Associazione si sottrae a un confronto a tutto campo, esponendosi a “curiose” iniziative esterne? A che punto è la definizione di un progetto sul “dopo di noi”, commisurato alla difficile sfida che abbiamo davanti?
Recentemente, anche su queste pagine, sono state pubblicate alcune mie riflessioni, sul tema del “dopo di noi”, in cui non solo mi sono sforzato di segnalare le contraddizioni e gli errori insiti in certi progetti che girano sulla rete e sui media, ma anche di indicare contenuti e priorità che potrebbero rappresentare una seria base di discussione per l’avvio di scelte il più possibile coerenti con la complessità dell’autismo.
Eh sì, perché di questo si tratta: l’autismo non è una barzelletta ma tutt’altro. È un problema dannatamente difficile che non possiamo permettere ad alcuno di banalizzare. Sono infatti sempre più convinto che non di “Disneyland”, o di altri fantasiosi mondi etichettati con nomi improbabili, abbiano oggi bisogno i nostri figli, ma di mura più modeste, dislocate in città con nomi normali, dove si applichi – in primis – un serio ed efficace progetto fondato su interventi abilitativi capaci di esaltare quell’autonomia possibile che appartiene ad ogni persona autistica. E per realizzare questo obiettivo servono – solo e unicamente – qualificati tecnici dell’autismo, altro che (cito testualmente il giornalista e scrittore Gianluca Nicoletti, artefice di un progetto che sta avendo larga eco) «qualche amico di consumata esperienza giuridica, qualche altro che s’intenda d’ingegneria dell’organizzazione aziendale e d’informatica e altri ancora esperti in autocostruzione di ambienti ecorilassanti, menti eccelse di un progetto “dadaista” sul dopo di noi […]».
Quella che ho testé riportato è un’idea – pur sicuramente legittima – lontana anni luce dalla mia impostazione culturale di padre di un soggetto autistico di trentatré anni, che credeva, e crede, che la patologia di cui soffre suo figlio sia cosa molto seria per affidarla a esperti di domotica, a demiurghi o a cultori del dadaismo: trovo quindi che un’Associazione come l’ANGSA debba dire con chiarezza da che parte sta, svincolandosi pubblicamente, e in fretta, da posizioni che consideri (eventualmente) incompatibili con la sua impostazione.
Non possiamo essere ambigui con le famiglie: o si dice che “Disneyland è un sogno possibile” o invece si spiega – più correttamente e realisticamente – che bisogna andare verso un’altra direzione, sicuramente più impervia e difficile, ma che in compenso ha la capacità di non rendere il risveglio di tante persone ancora più triste e doloroso di quanto già sia.
Bisogna osare presentando proposte possibili, è necessario recuperare il senso del “normale”, abbandonando il ridondante, l’illusorio e lo “straordinario”, mantenere i piedi per terra: le complessità dell’autismo non consentono di viaggiare con la fantasia, ma di misurare passo dopo passo la concreta realizzazione di obiettivi alla nostra portata.
La mia impressione è che a volte, sotto questo profilo, non si osi abbastanza, con l’abusato pretesto che le cose sono complesse. In tal modo, però, non si comprende che rischiano di diventarlo ancora di più, se le si nasconde con artifici mediatici di dubbia fattibilità.
Non possiamo rassegnarci all’ineluttabilità di quanto accade intorno a noi, limitarci a leggere o ad ascoltare testimonianze che ci commuovono e indignano, ma che poi scivolano sopra le teste di chi le ascolta, senza toccare la mente.
Ciò che intendo dire è che va recuperata, a ogni costo, la capacità di ognuno di pensare, di essere critici, propositivi… In assenza di ciò non si va da nessuna parte, anzi il rischio è di andare alla deriva!
Ecco perché mi permetto sommessamente di auspicare, innanzitutto, una rinnovata capacità da parte di ognuno di pensare: poi – solo poi – di dire o fare. Non è di facili, emotive quintalate di “mi piace”, di facebookiana attualità, che si avverte il bisogno, né di un protagonismo esasperato, quanto di una reale informazione e conoscenza di temi che consentano di emanciparci dal ruolo di passivi fruitori di idee e proposte surreali, propinate ogni giorno in quantità industriale sulla rete e non solo.
Dopo l’“annuncite renziana”, trovo che siamo davanti a una soffocante “presenzialite” di altri personaggi, che rischiano seriamente – ma questo è solo il mio punto di vista – di fare molta confusione e di seminare, come dicevo, facili illusioni, in gente, ahimè, provata da mille fatiche. Gente che non ha il tempo di “annoiarsi troppo” (come invece scrive testualmente Gianluca Nicoletti, nell’annunciare il suo progetto), visto che deve accudire ventiquattr’ore al giorno, tutti i giorni, sgomitando e cristonando, i propri cari; gente che i figli autistici li ha in casa o presso strutture diurne e residenziali in cui consiglio di entrare almeno una volta l’anno per capire meglio, e di più, cosa significhi, in concreto, quel “dopo di noi” di cui non sempre si parla e si scrive a proposito.
Lancio dunque un appello accorato all’ANGSA, ma anche alle tante intelligenze esterne all’Associazione, affinché tutti si convincano che il tempo dell’attesa sta definitivamente scadendo e che occorre al più presto presentare e sostenere una proposta forte e credibile, che cammini sulle gambe della concretezza anziché delle facili illusioni, che sia il più possibile unitaria e condivisa.
Ho ricevuto in questi giorni una e-mail dalla Vannini Scientifica, la casa editrice che lo scorso anno ha pubblicato il mio ultimo libro. Diceva tra l’altro: «La ricordiamo sempre con grande affetto e ci teniamo ad informarla che portiamo spesso ad esempio il suo testo e la sua esperienza ai genitori che si rivolgono a noi in cerca di punti di appoggio per il rapporto con i figli autistici». Ringrazio la Vannini, che per altro stimo e apprezzo molto, ma ci tengo a ribadire, anche dalle colonne di questo modesto articolo, che non mi sento affatto di rappresentare un punto di riferimento per alcuno: ho il senso dei miei limiti e per questo dico che ho molto da imparare e poco da offrire.
Mi ispiro ad altre realtà, ad Angela, per esempio, con la quale la mia riflessione era iniziata e con la quale ora si conclude. È una persona che mi piacerebbe molto conoscere (qualcuno di Novara è in grado di farglielo sapere?), per la sobrietà del suo messaggio, per le parole che sembrano essere sussurrate invece che urlate, per il calore e la tenerezza che esprime, per il contegno dignitoso che assume pur dentro una dimensione certamente drammatica.
Dio solo sa quanto bisogno abbiamo di non rendere plateale ogni cosa: perché non provare a portare avanti un’iniziativa (seria) in silenzio, a fari spenti, senza il clamore urticante di una pubblicità ossessiva e fastidiosa che ci piomba inesorabilmente addosso? Consiglio vivamente di provarci… Angela è una madre che ogni giorno combatte una tremenda battaglia senza che giornali, televisioni, siti web, ne conoscano neppure lontanamente la storia…
Spesso le home page di Facebook si aprono con il titolo “amici di…” (quasi sempre personaggi delle Istituzioni, o pubblici in senso lato, naturalmente in grado di assicurare – si può dire? – un certo ritorno). Da qualche giorno nel mio sito appare la dicitura: «Questo sito è amico di Angela»!
Forza Angela! E… (spero) “a presto”!