Il mantra delle malattie mentali

di Rosa Mauro
«È una vergogna - scrive Rosa Mauro - che si parli di malattie mentali per giustificare ciò che giustificabile non è, dimenticando quanto statisticamente predominanti siano gli omicidi, i femminicidi, gli stupri e le violenze commessi da persone che non sono per nulla affette da malattie mentali. E invece è quanto accade quasi sempre, a mo’ di mantra, nel dare notizie di cronaca nera»

Ombra di uomo curvo, con una mano sulla testaOrmai ho perso il conto, davvero, di tutte le notizie di cronaca nera in cui vengono citate, a mo’ di mantra, le parole depressione o problemi psichici. A volte accade a proposito, ma a volte – molte volte – a sproposito, quasi a voler giustificare sempre, ad ogni costo, ogni aberrazione, con le parole “malattia mentale”. Femminicidi e omicidi legati alla deliberata crudeltà di chi considera una donna, dei figli, degli uomini al suo servizio, perché anche le morti sul lavoro sono omicidi, con le persone “usate come proprietà”, da poter gettare e distruggere se non ci piacciono più.
Poco importa se poi – alla luce almeno di interviste a vicini e affini – si scopre che per tre quarti dei casi, quegli omicidi sono commessi da persone percepite appunto come normali, addirittura buone, gentili, affidabili. Sono le persone che vediamo nel supermercato e con cui intavoliamo una conversazione sul tempo o sulla squadra di calcio, questi assassini, e non quelli che seguono un cammino terapeutico per un disturbo che – solo perché l’organo colpito si chiama cervello – vengono stigmatizzati e giudicati diversamente da un qualunque altro malato.
Questi delitti non hanno niente a che fare con la patologia mentale, quella vera, che i malati combattono ogni giorno, non hanno nulla a che fare con quell’individualità, originalità di un cervello, che risulta tanto intollerabile ai cosiddetti “normali”.

Qualche mese fa, ormai, è morto Robin Williams, immenso attore dai personaggi indimenticabili, con un’intelligenza e una sensibilità rara. Era affetto da psicosi maniaco-depressiva, ma la causa della morte, il suicidio, è stato attribuito alla scoperta di essere affetto dal morbo di Parkinson.
Con quanta fretta è stata accettata quella spiegazione! Quanto sollievo ha dato a tutti l’idea che Williams non potesse sopportare di passare il calvario di molti per questa malattia neurologica e che quindi non fosse preda di una crisi depressiva! Non era possibile, per la gente, concepire che egli potesse morire perché la sua malattia aveva prodotto in lui una crisi che non era riuscito a gestire, malgrado la combattesse. Perché Williams si curava, era entrato in una clinica per disintossicazione, e assumeva pillole antidepressive. Ma lo si è voluto fino all’ultimo – e anche dopo – assimilare alla “parte normale” della popolazione, banalizzarne la morte, attribuendola a una causa reale, piuttosto che a un “demone della mente”.
Perché tra gli psicotici bipolari bisogna includere gli assassini, ma non i geni della comicità, come tra gli schizofrenici bisogna includere chi dà in escandescenze con un coltello, ma non i geni matematici!
Vogliamo dirlo chiaro e tondo e senza tema di smentita, che le persone straordinarie sono tali anche perché il loro cervello esce, esula dalla cosiddetta “normalità”? La depressione, l’ansia, le psicosi e i problemi relazionali non costruiscono assassini e pazzi furiosi, se non in minima parte. E gli altri sono esseri umani, che vivono con maggiore intensità e maggiore coraggio le fragilità di tutti gli esseri umani, nessuno escluso. Vivono intensamente le emozioni positive e negative, e possono trasmetterle attraverso l’arte, come Dalí, la scrittura, come Hemingway, la poesia, come Campana, la musica, come Schumann. O semplicemente è il vivere quotidiano di centinaia di migliaia di persone.

È una vergogna che si parli di malattie mentali per giustificare ciò che giustificabile non è, dimenticando quanto statisticamente predominanti siano gli omicidi, i femminicidi, gli stupri e le violenze commessi da persone che non sono per nulla affette da malattie mentali. E ciò che invece le persone “diverse” regalano?
Possibile che una convenzione nata per creare società più stabili, come il concetto di normalità, venga usata per stigmatizzare e sottovalutare alcuni individui rispetto ad altri?
Perché esiste un PEI [Piano Educativo Individualizzato, N.d.R.] per i ragazzi o gli studenti affetti da disturbi neurologici e non esistono invece metodologie alternative per chi soffre, ad esempio, di crisi di panico? Chi è colpito da ansia intensa durante un esame o un colloquio di lavoro viene semplicemente giudicato negativamente, pur avendo a tutti gli effetti una preparazione adeguata a quella degli altri. E la sottoscritta – come cieca parziale – ha diritto ad eseguire un esame scritto con il computer, ma come sofferente di una grave forma di ansia situazionale, durante gli esami orali, non può ottenere una serie di agevolazioni, quali esserne esentata, cioè eseguire l’esame in forma scritta o svolgerlo in assenza di pubblico – ciò che aumenta l’ansia – o attraverso un monitor, che potrebbe costituire un’alternativa migliore a una presenza fisica.
Credo che a una persona con una gamba rotta non si chieda di saltare e andare a canestro, ma ho visto chiedere più volte ad amici depressi o con problemi ossessivo-compulsivi di “metterci un po’ più di volontà”…

Per non parlare del cosiddetto “dopo di noi”, la dura battaglia perché chi ha una disabilità fisica possa scegliere un’assistenza in casa propria, con personale scelto dal disabile stesso. Ebbene, non mi pare che si stia estendendo alle categorie relazionali, cognitive e mentali. Eppure non credo ci siano pochi studi che dimostrino come un malato mentale tragga un enorme beneficio dal mantenimento di un habitat conosciuto ed emotivamente soddisfacente, come la propria casa, la propria famiglia, le persone che può ritenere amiche.
Che c’entri anche il modo con cui i media dipingono questa categoria di malati? Pensiamoci, bene. E pensiamo anche che la vita può diventare sopravvivenza, pur respirando con i propri polmoni.

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