250.000 euro di costi stabiliti per un documentario che si preannuncia professionale e ambizioso. The Special Need è il titolo del progetto. Per ora ne esiste solo il teaser – già presentato ai nostri Lettori – ma la produzione è in partenza imminente. L’idea è quella di seguire un giovane ragazzo con autismo in viaggio con un amico fuori dai confini italiani, alla ricerca di una possibile soddisfazione dei propri desideri affettivi, sentimentali e sessuali. Si preannunciano varie avventure durante il viaggio, tutte ancora da creare, mentre la soluzione finale parrebbe già definirsi nell’incontro con un’assistente sessuale, figura ad oggi inesistente in Italia e di cui si è già scritto in Superando: un professionista preparato per gestire con cura un momento di intimità con una persona con disabilità psichica o intellettiva, o in altri casi anche fisica.
Ci sono due case di produzione, una italiana e una tedesca, e un fondo europeo Media per lo sviluppo del progetto che sta dietro all’idea di Carlo Zoratti, regista ventinovenne che dal 2009 si è adoperato per dare concretezza alla propria intuizione. «Ho incontrato Enea ai tempi della mia adolescenza, facendo volontariato in un centro dedicato. Tra tutti i ragazzi che c’erano, per una serie di motivi ho avuto modo di conoscere più a fondo lui e stargli vicino per alcuni anni. Poi ci siamo persi di vista finché, nel 2009, ci siamo incrociati per caso a una fermata dell’autobus. Quello che mi colpì subito fu il nostro cambiamento: Enea me lo ricordavo un ragazzino, invece ora mi trovavo davanti un uomo. Siccome siamo coetanei, mi resi conto che ero diventato uomo anch’io. Continuando le riflessioni e ripensando all’incontro con Enea, cominciai a interrogarmi sulla sua vita affettiva, sentimentale e sessuale. Riconoscendomi uguale a lui, pensai che anche lui doveva avere per forza gli stessi desideri e le stesse pulsioni che provavo io. Così cominciai a esplorare questo tema, per capire come veniva gestito».
Zoratti, un passato nell’interactive design a Fabrica, l’officina creativa di Benetton, una vita nella musica come batterista, una recente partecipazione all’ultimo tour di Jovanotti nella direzione artistica del visual, nel 2009 entra improvvisamente in un mondo che a lui prima era sconosciuto. «Ne ho cominciato a parlare prima con Alex, amico di Enea – quello con cui farà il viaggio nel documentario – e poi con i genitori. La prima volta che ho affrontato l’argomento con la sua terapista mi sono reso conto di aver toccato qualcosa di importante rispetto cui nessuno però si esprimeva apertamente. Ho scoperto che Enea conosce la masturbazione, ma che la ricerca affettiva è un’altra cosa, è un desiderio profondo a causa del quale, essendo lui senza malizia, gli è capitato più volte di esporsi e venire umiliato da ragazzine poco sensibili. Tutti hanno concordato nel dire che la situazione è difficile e l’ideale sarebbe offrirgli delle soluzioni in un ambiente protetto. Enea ha espresso più volte il desiderio di fare coppia con qualcuno, e quando dice “fare coppia” sa a cosa si riferisce, parla chiaramente di esclusività e costruzione di un rapporto».
Sarebbe in grado di sostenerlo?
«No, ma non se ne rende conto. Una volta, c’era una ragazza che gli piaceva. Aveva visto un edificio in costruzione – è letteralmente ossessionato dagli edifici in costruzione, gli piacciono tantissimo – ed è andato nell’agenzia immobiliare che lo aveva in consegna per chiedere delle informazioni. Quelli gli hanno mostrato i dépliant di un appartamento e lui è tornato a casa con tutto il materiale da mostrare ai genitori, spiegando che sarebbe andato a vivere lì insieme a lei».
Come ti stai preparando per realizzare il documentario?
«Tramite un percorso lento. Mi sono informato il più possibile. Ho letto libri sull’argomento, ho incontrato diverse persone, ho fatto una ricerca insomma».
Che cosa vorresti realizzare?
«La mia ambizione più alta è che il film riesca a comunicare anche alle persone che non sanno niente della disabilità. Per uscire dalla nicchia degli stretti interessati all’argomento. Per dire: guardiamo a quello che le persone con disabilità hanno invece che a quello che non hanno».
Il rischio di molte opere visive sulla disabilità è quello di incorrere in una descrizione stereotipata e in particolare nella cosiddetta “sindrome di Lavazza”, fenomeno consistente in una sorta di “elevazione morale” della persona con disabilità che assume quasi il ruolo di “maestra di vita”…
«Con Enea in effetti è facile arrivare alla stereotipia perché è privo di ogni malizia, è buono per davvero. Mi piacerebbe mostrare anche altri casi e in ogni caso evitare il tono patetico. In particolare mi interesserebbe riuscire a costruire il documentario utilizzando le strutture mentali e quindi il linguaggio di Enea».
Cosa intendi?
«Enea è incapace di costruire storie. Il suo modo frammentario di percepire la realtà e mettere in sequenza una serie di informazioni potrebbe venire da me utilizzato nel costruire le strutture narrative del documentario. Ho concepito questo approccio dopo aver letto un libro in cui alcuni medici analizzano una serie di film incentrati sull’autismo. Tra i tanti – spesso giudicati negativamente – viene invece valorizzata la pellicola Ubriaco d’amore di Paul Thomas Anderson, sostenendo che, sebbene il protagonista non venga mai apertamente definito autistico, i suoi comportamenti coincidono con quelli riconosciuti in alcune tipologie autistiche. La cosa più interessante – fanno notare i medici – è che Anderson registicamente si adatta al suo linguaggio, costruendo un’opera geometrica, fredda, semplice e piatta, piatta nel senso che quando la curva drammatica arriva al suo punto di massima tensione e ci si aspetterebbe un’esplosione, il regista invece propone l’implosione tipica dell’approccio di una persona autistica. Quando i due protagonisti si affrontano, uno dei due dice all’altro: “Se mi dici che finisce qui, finisce qui”. L’altro risponde: “finisce qui”. E il film finisce, lasciando coraggiosamente insoddisfatti molti spettatori, ma rispettando perfettamente un procedimento mentale tipico dell’autismo. Vorrei provare a fare una cosa simile».
Hai già in mente qualche idea?
«Ad esempio l’elenco delle ragazze. Enea ripete spesso le stesse frasi, ossessivamente. Mi sono accorto che spesso ripete l’elenco delle ragazze che gli sono piaciute. Allora, nel realizzare il teaser, gli ho chiesto di ripetere l’elenco in luoghi diversi e poi ho montato in modo che si capisse che quello stesso elenco viene da lui ripetuto più volte».
Facendo ricerca ti sei accorto che esistono già diversi approfondimenti sull’argomento della sessualità delle persone con disabilità? Perché secondo te è importante parlarne?
«Ho incontrato una decina di famiglie e una decina di associazioni della zona di Udine. Nessuno era preparato. Chiedono a me cosa poter fare, ma io sono solo un regista. Forse gli approfondimenti sono rimasti troppo nella nicchia e bisogna allora fare “da megafono”, in modo che arrivino a sempre più persone. Fino ad allora si potrebbe parlare di fallimento nella comunicazione. La storia che sto cercando di mettere in piedi con Enea è provocatoria, è fatta per stimolare il dibattito, per far parlare della cosa».
Della figura degli assistenti personali?
«Anche. Germania, Austria, Svizzera. Da loro questa figura esiste ed è molto interessante. Sono persone che seguono una formazione. Anche alle persone con disabilità viene offerta una formazione, per imparare a conoscere il proprio corpo, capire come funziona e anche come funziona quello dell’altro. L’assistente personale è un anello intermedio tra la prostituzione e la relazione. Perché non si tratta di semplice pagamento in cambio di una prestazione sessuale, si tratta invece di pagamento in cambio di una disponibilità all’incontro. Quello che accade nelle due ore a disposizione dipende dalla volontà di entrambi e dal tipo di situazione che si crea. Per dire che un partner non è un oggetto con cui sfogare le proprie pulsioni, ma occorre passare per il dialogo e cercare di immedesimarsi nell’altra persona».
Quando potremo vedere il tuo lavoro?
«L’obiettivo è consegnare il prodotto finito a gennaio del 2013».
Con la promessa di risentirci nel 2013, ringraziamo e salutiamo per ora Carlo Zoratti, augurandogli di poter realizzare un lavoro efficace e ricco di spunti per tutti.
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