Assistenti sessuali: parliamone

a cura di Crizia Narduzzo
E’ attivo da alcuni mesi in Svizzera un progetto che fa discutere: quello degli assistenti sessuali per persone con disabilità. In una realtà in cui il concetto di integrazione della persona disabile si concretizza ancora spesso in manifestazioni di emarginazione o in una sterile retorica, l’esigenza di affrontare in modo chiaro e aperto un argomento come quello della sessualità è molto sentita. Diamo dunque la parola ai protagonisti dell’iniziativa

Se si considera quale presupposto incontrovertibile che la soddisfazione delle pulsioni sessuali ed emotive è per tutti gli esseri umani un complesso bisogno primario (fisico e affettivo) – che come tale dev’essere tenuto in considerazione – allora è importante discutere di come poter raggiungere tale appagamento, soprattutto in riferimento alla disabilità, psichica ma non solo.
In questo senso, il progetto degli assistenti sessuali per persone disabili recentemente avviato in Svizzera può essere considerato insufficiente, non abbastanza attento a certi aspetti della dinamica affettivo/sessuale, ma ciò non significa che possa essere giudicato a priori, come ha fatto Peter Wehrli, del Centre for Independent Living, in una nota diffusa dall’agenzia Swissinfo ancor prima che l’iniziativa si sviluppasse completamente: «Ciò che serve è migliorare le condizioni affinché le persone disabili possano liberamente determinare se e che tipo di esperienza sessuale avere, aumentando quindi le possibilità di accesso a strutture che favoriscano principalmente gli incontri, non certo soluzioni particolari che rendono il disabile più dipendente e incapace di agire secondo la sua volontà».
Ma fino a quando questa condizione – ideale e auspicabile – non sarà reale, fruibile, perché non valutare alternative, parziali, ma che comunque potrebbero creare i presupposti per sviluppi più consoni? E nel caso di gravi disabilità psichiche? E’ giusto ignorare il problema o, magari sbagliando, tentare di alleviarlo, offrendo un piccolo supporto per vivere almeno in parte un aspetto così fondamentale per la vita di ogni persona?Apriamo le porte della discussione

Il progetto
E’ proprio da questi presupposti che si sviluppa l’iniziativa svizzera, come ci ha confermato Mark Zumbühl, dell’associazione elvetica Pro Infirmis: «La forte necessità di queste figure è stata trasmessa allo staff direttamente dagli utenti dell’associazione e dai loro familiari e proprio per questo, nonostante l’abbandono del progetto, la posizione di Pro Infirmis sulla sua utilità è invariata, ma con essa anche la consapevolezza che solo un’associazione non dipendente da sostegni privati possa portarlo avanti».
Far discutere ma anche fornire un contributo di chiarezza: questo vorremmo, dando la parola alle principali figure coinvolte nel progetto, come Aiha Zemp, ricercatrice e psicoterapeuta, presidente dell’associazione FaBS (Fachstelle Behinderung und Sexualität), ora responsabile dell’iniziativa; Nina de Vries, olandese che però pratica da molti anni in Germania – in particolare con disabili psichici – l’attività di sexualbegleiterin (“compagna”, “assistente sessuale”), che ha scelto e formato gli assistenti; Franco Ginni, uno dei dieci assistenti in attività; e il già citato Mark Zumbühl.
Maturato in un contesto legato sia alla disabilità fisica che psichica, il progetto vede ora gli assistenti sessuali attivi da alcuni mesi, con echi che hanno suscitato interesse e clamore anche in Italia, talora insinuando serie perplessità sul reale ruolo di alcune persone all’interno dell’iniziativa e quindi sugli stessi scopi di essa.

I coordinatori
E’ Aiha Zemp dell’Associazione FaBS – che ha raccolto circa un anno fa l’eredità del progetto da Pro Infirmis – a precisare che l’iniziativa è nata per favorire lo sviluppo di una maggiore autoconsapevolezza nel disabile, oltre che per offrire a quest’ultimo migliori possibilità di relazionarsi con il mondo esterno. E questo alla luce di una diminuzione della frustrazione e dell’aggressività conseguente alla gratificazione di una parte così importante del proprio essere uomo o donna.
Dal canto suo, Nina de Vries porta la sua esperienza personale a sostegno di questo concetto: «Talvolta accade che persone – principalmente con disabilità psichica – attirino l’attenzione su di sé, per comunicare bisogni di tipo sessuale, dimostrando aggressività, autolesionismo, generando situazioni estreme in cui genitori e assistenti non sanno più come comportarsi. Allora mi contattano e assieme cerchiamo di trovare una soluzione al problema. Di solito si tratta di persone con le quali devo instaurare uno speciale approccio dialettico, in quanto hanno delle esigenze sessuali che non sono in grado di gestire».

Storia di un assistente
Anche uno degli assistenti, Franco Ginni, afferma che «attraverso il nostro servizio la persona disabile può provare con più sicurezza a rapportarsi con qualcuno, instaurando magari una relazione anche in termini affettivi».
Lo stesso Ginni si sofferma sulle modalità iniziali di selezione degli assistenti: «Come altre 150 persone, ho risposto per iscritto ad un annuncio apparso su un giornale di Zurigo nel marzo del 2003. Solo 45 sono stati poi invitati ad un colloquio cui sono seguite altre due valutazioni tramite test scritti e orali».
Come spiega de Vries, «la scelta delle persone ha richiesto molto tempo e numerosi test psicologici anche finalizzati a capire eventuali disagi mentali dei candidati, oltre a lunghi dialoghi con diverse figure professionali. Per le dieci persone che hanno deciso di portare a termine il percorso formativo, era chiaro quale sarebbe stato il loro compito: investigare su se stessi, sulla propria “maturazione sessuale” e naturalmente sulla motivazione più profonda a fare questo lavoro».

Un percorso impegnativo
Rispetto alla sue motivazioni, Ginni ci ha raccontato: «Mi ritengo una persona fortunata e ho deciso di impegnarmi a far stare bene anche chi per certi aspetti ha avuto meno fortuna di me. Inoltre, per me, questi incontri sono spesso una fonte di grande arricchimento, perché mi danno la possibilità di mettere in risalto i miei limiti. Credo però che percepire un compenso per il mio lavoro sia importante, poiché serve soprattutto al cliente per avere sempre presente la natura della relazione, che non può dare vita ad un rapporto sentimentale. Il periodo di formazione è stato positivo, anche se è molto impegnativo lavorare sull’esperienza e sulla conoscenza di se stessi».
Impegnativo certo, ma fondamentale, secondo de Vries, per la quale la cosa più importante in questo lavoro è proprio «conoscere se stessi, in quanto solo così puoi veramente essere d’aiuto ad un’altra persona, senza rischiare di arrecare danno ad alcuno». Ma come è maturata da questo punto di vista la sua sensibilità nel corso degli anni? «Con un profondo lavoro su me stessa, oltre che tenendo molti seminari per assistenti di persone disabili e mantenendo un costante dialogo e scambio di opinioni direttamente con loro o con i genitori che mi invitano dai loro ragazzi, per capire l’utilità e i benefici del mio lavoro».
Aiha Zemp e Mark Zumbühl, persone di riferimento della FaBS e di Pro Infirmis, hanno voluto infine ricordare altri aspetti positivi del progetto, evidenziando che un servizio di questo genere, se correttamente svolto, può ostacolare la diffusione della violenza verso le persone disabili, oltre che quella di diverse malattie sessualmente trasmissibili.

Non è prostituzione
«Certo – ha concluso De Vries – se si considera prostituzione ogni prestazione sessuale a pagamento, allora anche la mia attività lo è, ma se si pensa che la prostituzione sia sfruttamento delle persone per averne un guadagno economico, allora quello che faccio non ha nulla a che vedere con tutto ciò. Infatti, se riusciamo a sospendere il giudizio e ci fermiamo a riflettere, vediamo in modo diverso il lavoro di chi con cuore e rispetto si dedica ad uno scambio di dolcezza e di cure. Inoltre, diversamente da una prostituta, io non offro rapporti sessuali completi, e mentre una prostituta considera il denaro che guadagna la cosa più importante, per me al primo posto ci sono le persone e il tipo di interazione e di atmosfera che con esse riesco ad instaurare».
E Ginni: «Il nostro servizio è profondamente diverso dalla prostituzione, in quanto siamo professionalmente e umanamente preparati ad un approccio differente, profondo, molto attento dal punto di vista psicologico alle reali esigenze della persona che si ha di fronte. L’assistente sessuale si presenta, ascolta, cerca di capire, e anche solo con una carezza, o con prestazioni più prettamente sessuali, cerca di soddisfare, dare piacere, gioia alla persona con la quale interagisce, senza timori, disagi né modalità brusche o umilianti, degradanti. Aiuta cioè la persona disabile a spogliarsi – spogliandosi egli stesso – mettendola completamente a proprio agio».

Oggi un primo bilancio del progetto svizzero è ancora difficile: solo prossimamente, infatti, potremo chiedere un aggiornamento ai responsabili. Finora, in Italia, le reazioni all’iniziativa sono state tra le più diverse, anche tra coloro i quali potrebbero essere direttamente coinvolti: chi ha espresso disappunto, chi approvazione, chi persino sostegno.
Cercheremo senz’altro in futuro di dare spazio a quante più voci e opinioni possibili.

Per saperne di più, in Internet: www.sexualassistenz.ch (sul percorso e l’attività degli assistenti sessuali); www.aiha-zemp.com e nina_devries@web.de

Testo tratto da DM 153 (ottobre 2004), periodico della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare).

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