Quel brutto copione da cambiare

di Rosa Mauro
«Nessuno - scrive Rosa Mauro, riflettendo sull’ennesimo recente caso di maltrattamenti nei confronti di persone ricoverate in una RSA (Residenza Sanitaria Assistenziale) - può costringere a diventare inumani, nemmeno la crisi, nemmeno la carenza di personale, nulla!». E rivolgendosi a medici, infermieri e inservienti di quella e tante altre strutture, aggiunge: «Peggio della crisi, c’è solo il lasciare che essa vi (ci) trasformi in qualcosa che non siamo»

Foto in bianco e nero di donna anziana con le mani sugli occhiÈ successo di nuovo, qualche giorno fa, a Villa Flora di Montaquila, in provincia di Isernia, struttura della quale sono stati arrestati il proprietario – Sindaco, tra l’altro, di Montaquila – e dodici dipendenti, accusati di sequestro e maltrattamento dei pazienti. E, come da copione, per poco più di un giorno c’è stato lo scontato finale dei vari servizi informativi, con le interviste alla polizia e gli immancabili commenti.
È un film che si ripete, cambiando solo pochi luoghi, come nei b-movie [“film di Serie B, N.d.R.] a basso costo, quelle pellicole che si realizzano con quattro soldi e tanto, tanto succo di pomodoro al posto del sangue. E come in quei film, lo spettatore esce vagamente divertito, un po’ infastidito, e forse colpito – se è un tipo impressionabile – odiando o amando gli attori professionisti che per qualche ora hanno fatto finta di essere cacciatori o zombie, buoni o cattivi.
Solo che quello che è accaduto, e di cui sto parlando, non è un film, ma l’ennesimo brutto copione della realtà, in una RSA [Residenza Sanitaria Assistenziale, N.d.R.] che si dovrebbe occupare di persone con disabilità, e gli attori non recitano un copione, sono gente normale, che poi se ne va a casa, finisce il turno, si rilassa con i suoi bambini e se ne va a fare shopping o più semplicemente la spesa per preparare pranzo e cena.
Nessuno li costringe a trattare come bestie quelle persone affidate alle loro cure, nessuno li obbliga a portarli al bagno nudi. Qualcuno potrebbe dire: ma è il loro lavoro, è stato detto loro di fare così. Non regge, ripeto, non stiamo parlando di attori i quali sanno che dopo l’ultimo ciak, la vittima si alzerà in piedi, si asciugherà il viso con un fazzoletto e tutti se ne andranno insieme ridendo e scherzando uno con l’altro. Ognuno di loro, dall’inserviente all’infermiera, per finire con il “regista”, quel medico cioè che ha giurato di aiutare e curare gli ammalati, sa che ciò che sta facendo sta distruggendo la vita di quelle persone e a questo punto mi viene solo in mente che i più fortunati siano proprio i più anziani, che magari possono sottrarsi prima degli altri a questi lager, grazie alla morte, mentre i più giovani, quanti secondi, quante ore dovranno vedersi sopravvivere?

Potrei continuare a indignarmi, ma comincio a chiedermi a cosa, a chi servirebbe. Perché forse quello che serve davvero è ricordare come vada trattato un essere umano, forse serve per cambiare un copione, che si torni a vedere questa come realtà, e non come un film.
Cari infermieri, portantini, ma soprattutto cari medici che siete direttori sanitari di questi istituti, senza nemmeno mettervi piede. Forse, invece di darvi addosso per la vostra mancanza di umanità, bisognerebbe tornare a rendere umani, visibilmente umani, i vostri pazienti.
Non è facile, però, come il nazismo insegna. Togli a un uomo il suo passato, la sua casa e gli oggetti e le persone che ne hanno memoria, sostituisci i suoi vestiti con camici o addirittura obbligalo ogni giorno a toglierseli, con la scusa di rendere più semplice il tuo lavoro. Dona a ognuno di questi uomini un numero, obbligali a mangiare, bere, dormire solo quando e dove vuoi tu e rapidamente perderanno le loro caratteristiche umane, diverranno come “animali da allevamento”, come astrazioni sulle quali tutto può essere fatto.
Allora facciamo il percorso inverso, prendiamo una signora Maria, e rivestiamola. Maria è una professoressa, o una casalinga, ha trascorso la vita insegnando o accudendo figli che ora sono andati via da lei. Ha una predilezione per alcuni programmi televisivi, ha insegnato ai suoi alunni che la “vita è matrigna”, oppure ha insegnato loro il teorema di Pitagora.
Maria sapeva tante cose e ha avuto il suo ruolo nella società, ma ora ha una definizione che per la società vuol dire, invisibile, sacrificabile: ha la malattia di Alzheimer.
I suoi figli lavorano e non possono occuparsene, oppure è rimasta sola. Guardatela negli occhi, questa “combattente del quotidiano”, in un mondo che cambia continuamente, senza più i punti fermi dei ricordi, senza la sicurezza delle definizioni. I suoi occhi sono ancora umani, il suo corpo è come il vostro, e i suoi bisogni sono semplici: essere curata, sentire amore intorno a sé, poter fare affidamento su semplici e piacevoli realtà quotidiane, come essere pulita e nutrita. Magari le piacciono i cartoni animati o le trasmissioni musicali, oppure ama solo sentire il suono della televisione.
Di sicuro Maria, come ognuno di noi, non ama sentire urlare, vedere il suo corpo nudo e tremante sotto la doccia, essere strattonata. Amerà le carezze, anche se non sono di mani conosciute, ma che siano di mani che lei può considerare amiche. Amerà una voce dal tono calmo, gentile, che le ricorda che giorno è, che le prende le mani dicendole che è ora di mangiare, o di andare al bagno. Sarà terrorizzata, come tutti noi, di essere rinchiusa in una stanza per un’intera giornata.

Cari infermieri, inservienti, e anche voi medici, Maria siete voi, e il modo con cui ve ne prendete cura rappresenta il vostro grado reale di umanità. La mattina potete svegliarla come si fa con i bambini, con un tono di sorriso nella voce, perché, anche se siete stanchi, voi avete il compito di ricordarle che è ancora nella vita, e che la vita ancora la ama. Potete portarle la colazione e farla mangiare senza spazientirvi, il puro piacere sensoriale è forse tra le poche cose che le può restare, e quando non potrà più mangiare, magari anche solo per un minuto, fermatevi a tenerle solo la mano, fatele sentire che c’è qualcuno cui importa che lei sia ancora qui. Perché lei è importante, lei non è un oggetto, non è un “copione brutto” che dovete vivere ogni giorno, è la nostra scelta di come vivere l’umanità.
E se non sapete com’è ad esempio il sorriso di un ragazzo, di un uomo con autismo, una persona che comprende di essere importante nel mondo, che c’è posto anche per lui, non avete visto niente!
Nessuno può costringere a diventare inumani, nemmeno la crisi, nemmeno la carenza di personale, nulla! Peggio della crisi, c’è solo il lasciare che essa vi (ci) trasformi in qualcosa che non siamo. E quindi, invece di trasformare quelle strutture in lager, scendete in piazza, da oggi, al fianco di quegli uomini e di quelle donne di cui non siete i carcerieri, ma gli angeli custodi, a domandare per loro e per voi rispetto, dignità e civiltà!

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