Credo si possa dire che il tema legato alla condizione di vita delle persone adulte con autismo sia stato “scoperto” abbastanza di recente, da parte delle Associazioni numericamente e qualitativamente più rappresentative. Ciò ha comportato, e comporta, da parte loro, frequenti oscillazioni di contenuti e strategie, tanto più incomprensibili, a parere di chi scrive, se talvolta lasciano spazio a soluzioni “bizzarre” di dubbia efficacia.
La drammaticità della situazione delle persone autistiche adulte è figlia (anche) – perché nasconderlo? – di politiche finora falsamente ritenute del tutto coerenti con il soddisfacimento dei bisogni dei bambini e degli adolescenti autistici, la cui presa in carico, non di rado, è invece tutt’altro che esente da imperfezioni. Il vizio probabilmente sta nell’antica abitudine di confondere le eccezioni con lo standard: bene faremmo a non dimenticarcene.
Se ciò è vero, è chiaro anche che a 18 anni il disagio e il malessere dei nostri figli diventano addirittura drammatici e ciò accade – non smetterò mai di sottolinearlo – soprattutto a causa dell’insipienza della psichiatria italiana. Se infatti fino ai 18 anni un intervento, pur certamente migliorabile, era (bene o male) assicurato ai nostri cari, è facile comprendere quanto allarmante diventi il contesto nel momento in cui, al compimento della maggiore età, si “trasformano” gli autistici in veri e propri “insufficienti mentali”, “schizofrenici”, “psicotici” ecc. Da qui la necessità di affrontare urgentemente questa complessa realtà facendone una priorità assoluta.
Io penso che quando l’ANGSA [Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici, N.d.R.] presenta alla Commissione Affari Sociali della Camera una sua proposta, ciò sia assolutamente da apprezzare [se ne legga ampiamente su queste stesse colonne, N.d.R.]. Se una critica va mossa, è semmai sul perché questo processo sia stato avviato con colpevole ritardo.
Affrontare il tema del cosiddetto “dopo di noi” è, a mio parere, niente affatto in contraddizione con il “durante noi”. Mi chiedo, infatti, come sarebbe possibile mantenere separati i due momenti: non può esistere un dopo sganciato dal prima o, se si preferisce, un “dopo” che prescinda dal “mentre”. È necessario preparare il futuro, nostro e dei nostri figli, partendo dal presente, lavorando per far sì che le condizioni oggettive e personali non divengano talmente drammatiche da favorire scenari imprevedibili (o paradossalmente fin troppo prevedibili).
Io non credo sia giusto attribuire alla Legge in discussione presso la Commissione Affari Sociali della camera virtù salvifiche: da sola non basta. Sono però convinto che a un’opzione legislativa non si possa e non si debba rinunciare. Troppa la confusione, troppa la discrezionalità, troppi gli abusi, per non capire che lo strumento legislativo deve diventare lo spartiacque di un agire che abbia al centro il riconoscimento dei diritti dei nostri figli.
Si parla spesso, per lo più in modo retorico, di diritti esigibili, dimenticando che quasi sempre essi sono tali solo sulla carta (e certo non per colpa delle famiglie…). Ecco perché mi interessa molto avere a disposizione uno strumento che rappresenti un argine allo strapotere di tanti ignoranti che poco o nulla sanno di autismo, ma che continuano imperterriti a umiliare e a calpestare la dignità di persone indifese. Mi interessa una Legge che – una volta definiti gli indirizzi generali – rappresenti uno strumento concreto a disposizione di chi ogni giorno non sa dove sbattere letteralmente la testa, confuso da una moltitudine di interpretazioni spesso in antitesi tra loro.
Penso a una Legge sull’autismo in grado di fare scaturire progetti che abbiano una ricaduta immediata sulle famiglie e sui soggetti autistici. Entrambi, infatti, vanno aiutati con strumenti capaci di fare avanzare realtà altrimenti stagnanti.
Giova per altro ricordare che in questa direzione andavano sia la Linea Guida n. 21 [“Trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e adolescenti”, N.d.R.] dell’Istituto Superiore di Sanità, sia le Linee di Indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità e dell’appropriatezza degli interventi assistenziali nel settore dei Disturbi pervasivi dello sviluppo (DPS), con particolare riferimento ai disturbi dello spettro autistico, approvate il 22 novembre 2012 dalla Conferenza Stato-Regioni. Ma l’Italia è un Paese assai originale: probabilmente, infatti, la nostra legislazione sulla disabilità è la più avanzata al mondo, basti pensare alla Legge 68/99 [“Norme per il diritto al lavoro dei disabili”, N.d.R.]… Peccato che quasi nessuna di queste Leggi sia effettivamente applicata…
Da qui, dunque, l’esigenza di mantenere alta la vigilanza e il livello di mobilitazione perché, diciamolo francamente, una Legge sull’autismo fondata solo su enunciazioni teoriche e di principio non sposterebbero di un centimetro la nostra difficile condizione. Servono soprattutto risorse e strumenti concreti, programmi e progetti in grado di realizzare un vero ribaltamento della situazione presente. E questo processo dev’essere favorito e sostenuto dalle Associazioni più rappresentative, attraverso la garanzia di un confronto plurale al loro interno, che – vorrei ribadirlo – è assolutamente altro rispetto a un finto coinvolgimento, a una sterile melina che non serve a niente e a nessuno.
In altre parole, occorre evitare il rischio che larghe fasce di familiari siano sostanzialmente emarginate dal dibattito, laddove, al contrario, potrebbero offrire un importante contributo, sia in termini di elaborazione che di sostegno a iniziative che si rendessero necessarie.
Le famiglie non possono essere lasciate sole, come troppo spesso è avvenuto e/o avviene. Sono indispensabili progetti di sostegno in grado di realizzare, da una parte, un miglioramento visibile e concreto di abilità e acquisizioni dei soggetti autistici e – dall’altra – capaci di sgravare i genitori da oneri talvolta insostenibili.
Nessuna Legge, nemmeno la più sofisticata, potrà, insomma, fare in modo da sola che i soggetti autistici (e le loro famiglie) vivano appieno un’esistenza all’altezza dei loro bisogni e aspettative. Per questo è indispensabile tornare a essere protagonisti e artefici del cambiamento, a partire dal superamento di ogni ipotesi di delega. Senza questo cambio di passo, direi senza questo nuovo approccio culturale, temo che potrebbe rivelarsi impossibile uscire dalla palude in cui rischiamo di ritrovarci tutti, compresi gli adulti di oggi e quelli di domani.