Ho da poco finito di leggere Il bambino che parlava con la luce. Quattro storie di autismo, libro di Maurizio Arduino [responsabile del Centro Autismo e Sindrome di Asperger-CASA dell’ASL CN 1 di Mondovì, in provincia di Cuneo, N.d.R.], edito da Einaudi.
Questa mia nota non vuole assolutamente essere una recensione, quanto meno nel senso classico del termine: trovo giusto, infatti, affidarla, semmai, a persone più autorevoli e competenti. Mi accontenterò dunque, in questa sede, di enunciare alcune modeste riflessioni e Maurizio Arduino spero perdonerà la scelta di attestarmi su un profilo più basso, che per altro non riduce affatto la mia partecipazione emotiva alla (anzi “alle”) storia che ha raccontato.
Dovessi riassumere in una sola parola il senso del libro, sceglierei, quasi sicuramente, di utilizzare il termine “utile”. Dopo infatti le chiassose “sbornie editoriali” degli ultimi tempi, in cui una questione delicata come il “dopo di noi” è stata ricondotta all’approdo di “fantastiche Disneyland”, allestite da esperti di architettura e domotica (notoriamente tra i massimi conoscitori di autismo…), cessa finalmente il frastuono e si abbassano le luci. Si torna con i piedi per terra, non c’è più spazio per l’astrazione: i protagonisti sono gli autistici in carne e ossa, che conosciamo quotidianamente, con il loro carico di problematicità, con la difficoltà di trovare soluzioni in grado di attenuare, nei limiti del possibile, l’ansia e la sofferenza di cui soffrono. Le stesse dei propri cari.
La drammatica sequenza di eventi che segna fin da subito la vita delle persone autistiche pone (impone?) ai soggetti che entrano in relazione con loro – familiari, insegnanti, operatori – inquietanti interrogativi sul “che fare?”, a fronte di una sfida certamente complessa.
Il libro di Arduino si sforza di dare a ognuno risposte il più possibile efficaci e fruibili, muovendo innanzitutto dalla ricerca delle cause legate all’insorgere e allo svilupparsi di alcuni comportamenti, nella consapevolezza che anche quelli più problematici abbiano motivazioni riconoscibili e indagabili.
Si lavora a una formazione in itinere, e lo si fa permanentemente: un processo irrinunciabile, se solo si riflette sul fatto che i nostri figli sono autistici ventiquattr’ore al giorno, tutti i giorni. Che senso avrebbe, allora, restituirli a un contesto inadeguato, magari dopo ore in cui hanno ricevuto un approccio efficace e rispondente ai loro bisogni? Famiglia, scuola, operatori devono rappresentare un unicum inscindibile.
È in questa capacità di rispondere – concretamente e non in astratto – a una serie di situazioni difficili che possono verificarsi a casa come a scuola (per esempio), che il libro acquista i maggiori meriti e diventa, come detto, “utile”, ai genitori, agli insegnanti e a quanti sono coinvolti a vario titolo in storie di autismo. Rappresenta insomma una sorta di guida che è importante conoscere e approfondire e sono questi i motivi per i quali ne consiglio vivamente la lettura
Naturalmente le risposte variano, e varieranno sempre, caso per caso, ma il sottile filo che le collega rimane un riferimento che sarebbe importante non smarrire. Da “laico dell’autismo” (e mi scuso per la definizione), so che non esiste il “modello perfetto”: trovo però sterile, improduttivo e inutile entrare strumentalmente nel merito del TEACCH [Treatment and Education of Autistic and Related Communication Handicapped Children, N.d.R.] che, nel caso specifico, è il metodo largamente suggerito e impiegato. Non me ne sfuggono i limiti (ne ho parlato e scritto in abbondanza), ma credo che in certi casi esso possa rappresentare una risposta efficace (tanto più se ne viene esaltata la flessibilità), così come in altri può rivelarsi utile, e talvolta necessario, l’adozione di un approccio educativo diverso.
Il libro, per fortuna, non è un saggio noioso, ma è la testimonianza, scritta in modo facilmente comprensibile anche ai non addetti ai lavori (altro merito innegabile e tutt’altro che scontato), della difficile ricerca di un percorso tutto da costruire.
È importante, nell’approccio all’autismo, non dimenticare mai che le certezze di ieri potranno, purtroppo, essere demolite domani… Mantenersi umili, nutrirsi, perché no? anche di dubbi, sapere che tutti – nessuno escluso – abbiamo molto da imparare dagli altri (a partire proprio da ciò che ci dicono le persone autistiche, con i loro sguardi e le loro parole): sono queste le indispensabili premesse per un lavoro serio e produttivo, e la formazione e la continuità di intervento sono le costanti che Arduino si sforza di sottolineare con competenza e puntualità.
Rimane, ahimè, un grosso “buco nero” che si apre al compimento della maggiore età, rischiando seriamente di cancellare o compromettere molte delle conquiste raggiunte a prezzo di enormi sacrifici, negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza. La speranza è che ci si ricordi che l’autismo è un disturbo long life, destinato cioè a durare per l’intero arco della vita, e, per conseguenza, si ponga fine a questa incredibile vergogna.