Ma ha senso parlare di turismo accessibile oggi, mentre le carrozzine scendono in piazza a chiedere il rispetto dei diritti, tra cui quello all’autonomia e alla sopravvivenza stessa? Mentre i tagli al settore sociale colpiscono nel profondo le persone con disabilità?
È una delle tante domande che mi sono posto mentre preparavo la relazione di apertura per la Prima Conferenza Europea OMT sul Turismo Accessibile, organizzata appunto dall’OMT (Organizzazione Mondiale del Turismo), in collaborazione con la Repubblica di San Marino, San Marino per Tutti, il Consorzio San Marino 2000, l’Unesco, Village for all (V4A®), Fundación ONCE e l’Ente Cassa di Faetano [se ne legga la presentazione nel nostro giornale, N.d.R.].
Sì, ha senso, ma a patto che vengano rispettate alcune “regole”, la prima delle quali è che il turismo accessibile e l’intera filiera, dopo la fase di lancio, siano capaci di autosostenersi e non tolgano risorse al settore sociale. Le Istituzioni italiane ed europee devono indicare il percorso politico, etico e sociale di questo settore e poi lasciare che il mercato faccia il resto, intervenendo solo e per breve tempo, per raddrizzare eventuali storture.
Il turismo accessibile (settore che ha visto la luce nei primi Anni Novanta ed è entrato a far parte delle strategie di sviluppo economico che la Commissione Europea adotterà nel prossimo quinquennio) è impresa e non assistenza sociale. Perché la persona con disabilità è un turista, un ospite e un cliente esattamente come gli altri.
E i dati economici presentati alla Conferenza di San Marino (qui i riassunti degli interventi, in inglese), riportati anche durante un convegno organizzato dalla Regione Veneto ad Asiago (Vicenza) il 21 novembre scorso (Turismo accessibile: un nuovo modello di business per le imprese in Europa), mi fanno dire che il mercato c’è, ma mancano gli imprenditori (e i pochi italiani, coraggiosi, che ci sono faticano a “farsi capire dai possibili partner”).
Nel 2012, infatti, il mercato del turismo accessibile valeva ben 800 miliardi di euro (considerando anche l’indotto) e occupava oltre 9 milioni di persone, tra cui migliaia con disabilità. «A Bruxelles – ha dichiarato ad Asiago Antonella Correra, responsabile del Turismo alla Direzione Generale Impresa e Industria della Commissione Europea – abbiamo condotto numerose ricerche sul tema e abbiamo immaginato tre scenari futuri di abbattimento di barriere architettoniche e culturali a favore del turismo accessibile. Anche poi nel caso in cui l’impegno fosse minore, solo cioè con interventi di messa a norma o con una leggera formazione del personale, si otterrebbe un incremento del fatturato europeo del 18% equivalente a 140 miliardi. Un mercato che non conosce saturazione: più si migliora più cresce. E offre un ritorno dell’investimento in circa un anno».
Il “non fare”, ovvero non attuare nessuna politica di miglioramento dell’accessibilità, secondo i dati europei costa 420 miliardi di mancati guadagni, la metà dell’operazione di salvataggio della Grecia!
«Nella ricerca che stiamo presentando – ha aggiunto Correra, durante l’incontro promosso dalla Regione Veneto – abbiamo chiesto agli imprenditori cosa li frena e la risposta è stata: “Non sappiamo come fare, abbiamo paura di sbagliare”». E nel dubbio non si fa! Mentre chi ha scelto la via dell’inclusione, lo ha fatto, ha concluso Correra, «per rispondere a precise richieste del mercato, che vale in Europa tra gli 80 e i 120 milioni di persone [le misurazioni statistiche sono differenti da Paese a Paese e non permettono un dato preciso, N.d.R.]».
Qui non ci vuole un economista per capire come questo dato sia in forte crescita, non foss’altro per l’invecchiamento continuo della popolazione, come sottolinea Francesca Barracciu, sottosegretario del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo: «Il turismo accessibile riguarda mamme con bambini, over 65, persone con disabilità. Una fascia di turisti che nel 2011 ha rappresentato il 20,3% del totale, nel 2013 il 26,5%, e nel 2050 si prospetta che arrivi al 31,8%».
Si tratta, quindi, di una fetta di mercato da catturare, e per questo, secondo Barracciu, «va ripensata tutta la filiera turistica, dai trasporti alla sanità, dagli svaghi all’ospitalità. Si deve riaffermare l’equivalenza: ricchezza per l’economia uguale benessere per chi viaggia».
La seconda regola è poi quella di fare sistema e creare informazione reale. Ci sta provando ad esempio NECSTouR, la rete che lega tra loro una ventina di Regioni europee e che si occupa di sostenibilità e competitività nel turismo. Mentre le migliaia d’iniziative che portano accessibilità in Europa faticano a trovare un unico interlocutore.
Si moltiplicano tuttavia singoli esempi positivi, proprio come quello di San Marino, che ha studiato percorsi dedicati per rendere più facile la visita della piccola Repubblica abbarbicata sul Monte Titano. E anche l’Unesco si sforza di rendere fruibile il proprio patrimonio artistico (tra i percorsi accessibili più recenti, quelli di Lucca, Avila in Spagna e Sozosol in Bulgaria). Né il Sud Italia resta a guardare: ad esempio, il Comune di Castellana Grotte (Bari) (Ba) ha reso accessibili le grotte nel suo territorio, mentre Bernadette Lo Bianco, esperta e docente di turismo, ha aperto al mondo delle disabilità sensoriali le bellezze di Noto e Siracusa in Sicilia. E ancora, al Nord l’iniziativa del Castello di Rivoli (Torino), che dopo avere attivato percorsi di visita in LIS (Lingua Italiana dei Segni), sarà anche il primo Museo di Arte Contemporanea ad affidare a storici dell’arte sordi la conduzione di attività in LIS, a partire dal 29 novembre.
Tutte buone pratiche che si perdono nel mare del “chiacchiericcio da social” e arrivano frammentate ai destinatari. Quindi, ha spiegato a San Marino Roberto Vitali, fondatore e presidente della già citata Village for all (V4A®), la nota rete che conferisce il marchio internazionale dell’ospitalità accessibile, «l’informazione deve arrivare chiara, comprensibile e oggettiva. Non siamo noi a dare consigli all’utente con necessità speciali, è lui che deve scegliere se quel luogo è adatto o meno alle sue esigenze». E in questo gli enti pubblici devono facilitare e non ostacolare.
E ancora – e siamo alla terza regola – parliamo di turismo realmente per tutti e non per pochi.
Chi scrive è paraplegico e ha girato un terzo di mondo, raramente, però, riuscendo a individuare situazioni che includessero le tante tipologie di disabilità. La disabilità, infatti, è un “poligono dalle migliaia di sfaccettature”, non esiste un disabile uguale a un altro, ma ancora troppo spesso, anche da parte degli “esperti”, si tende ad assimilare il concetto di disabilità con la persona in sedia a rotelle, ancora parlando frequentemente di luoghi accessibili, solo perché è presente una rampa o un ascensore. E le persone con disabilità sensoriale? Quanti musei sono attrezzati per loro? E chi porta con sé un disagio intellettivo? Ogni estate leggiamo di persone con disabilità intellettiva cacciate dagli alberghi o relegate in un angolo “per non disturbare gli altri clienti”, fatte mangiare in camera per non creare scompiglio nella sala ristorante… Ebbene, nel 2014, con un’Expo alle porte, è ora dire basta a queste barbarie, a questo ledere la dignità umana (consiglierei a tal proposito di rileggere l’articolo 3 della Costituzione).
Troppo semplicistica, insomma, l’equazione turismo accessibile uguale abbattimento delle barriere architettoniche. Sono ben altre le barriere da abbattere, le paure, irrazionali e ingiustificate, da sconfiggere, le conoscenze da acquisire.
La stessa persona con disabilità, però, deve imparare a diventare un viaggiatore o meglio un Consum-Attore. Sì, perché sarebbe troppo facile scaricare la colpa e l’onere del turismo accessibile solo sul settore del turismo. Le persone con disabilità non sanno viaggiare, spesso non sono informate o non hanno l’accortezza di fornire a chi li ospiterà tutte le informazioni che possono fare la differenza tra un incubo e un sogno. Il viaggio è scambio anche umano, di conoscenze reciproche.
E infine, gli operatori devono tornare a regalare emozioni. Con il rispetto pedissequo delle norme e delle leggi si costruiscono meravigliose “scatole vuote”. Si devono cioè riempire le strutture con “cose da fare”, esperienze da vivere, sport da praticare. Non si potrà mai prendersi una vacanza dalla propria disabilità, ma si possono vivere momenti in cui la disabilità può apparire qualcosa di esterno a noi, di lontano. Difficile sì, impossibile no.