Per restare alla sola Toscana, secondo la Settima Relazione sullo stato di attuazione della Legge recante norme per il diritto al lavoro dei disabili (anni 2012 e 2013) [Legge 68/99, N.d.R.], le persone con disabilità iscritte alle liste di collocamento sono 38.631. Nel 2013 se ne sono iscritti 4.479 e coloro che sono stati inseriti nel mondo del lavoro sono stati 1.229, contro i 1.375 del 2012. Come accade poi anche a livello nazionale, sono moltissimi i posti di lavoro che per legge dovrebbero essere assegnati a persone con disabilità e che invece rimangono “scoperti”, sia nel settore pubblico che in quello privato.
Sempre in Toscana, si parla di 1.171 aziende e i posti “scoperti” sono 353; le Pubbliche Amministrazioni sono invece 80 per 556 posti scoperti. A ciò si aggiungono gli esoneri, ovvero chi richiede di non rispettare la legge e quindi di non essere obbligato ad assumere persone con disabilità. Nel 2013 le richieste in tal senso sono state 183, per 426 posti complessivi.
I dati dunque parlano chiaro. La situazione è drammatica. Non si capisce perché non applicando la Legge non si ricevano sanzioni, perché si possa chiedere l’esonero pagando, perché il settore pubblico abbia anch’esso dati tanto sconfortanti eccetera eccetera.
E in ogni caso, per una migliore applicazione della legge serve anche un modo nuovo di affrontare la questione, attivando cioè processi di integrazione lavorativa e sociale e non solo azioni di avviamento al lavoro.
Nel report intitolato Le parole del lavoro, realizzato dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), si sottolinea ad esempio che mantenere «un approccio difensivo verso i lavoratori con disabilità porta alla crescita delle richieste di esenzione da parte delle aziende o alla scelta di pagare sanzioni piuttosto che procedere alle assunzioni».
È per questo che volontariato e cooperazione sociale possono insegnare molto su come facilitare l’incontro fra lavoratore disabile e azienda. Troppo spesso, infatti, è la mancanza di conoscenza reciproca a rendere l’impresa impossibile. In altre parole, manca un lavoro di matching [“incontro”, N.,d.R.], che fatto con il metodo e le procedure giuste possa essere, in ogni territorio, un presidio di conoscenze dei bisogni aziendali e di approfondimenti circa le caratteristiche delle persone con disabilità (capacità, competenze, risorse, obiettivi e aspirazioni).
Certo è che mentre si tenta di migliorare l’attuazione di una legge ancora poco conosciuta e spesso non applicata, bisogna anche fare attenzione alle manovre di arretramento. Che sono sempre in agguato. C’è infatti chi vorrebbe rimettere mano alla Legge 68/99, facendola rientrare all’interno delle politiche sociali e non più in quelle del lavoro [se ne legga già anche nel nostro giornale, N.d.R.]. Si tornerebbe così al pregiudizio per cui il lavoro ai disabili è un atto di assistenza sociale.
Responsabile Ufficio Stampa del Cesvot (Centro Servizi Volontariato Toscana). Il presente articolo è già apparso in «Pluraliweb. Storie di associazioni e volontari», mensile online del Cesvot, con il titolo “Il diritto al lavoro delle persone disabili”. Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contesto, per gentile concessione dell’Autrice e della testata.
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