Isabella Steffan, architetto ed ergonomo, ha da poco pubblicato due volumi per la Collana “Ergonomia” di Maggioli Editore, che compongono l’opera Design for All – Il progetto per tutti. Metodi, strumenti, applicazioni, dove propone una progettazione multidisciplinare centrata sulla persona. L’abbiamo intervistata.
Cosa significa “ergonomia”?
«Agli inizi degli anni Quaranta, in seguito alle necessità di comprendere gli errori dei radaristi nei sottomarini, è cominciato – soprattutto in Gran Bretagna – lo studio scientifico delle relazioni tra l’uomo e il lavoro. A questo campo di ricerca multidisciplinare è stato dato il nome di ergonomia, facendolo derivare da due termini greci che significano rispettivamente “lavoro” (ergon) e “legge” o “norma” (nomos). Gli sviluppi recenti della ricerca hanno allargato questo concetto a tutto l’ambiente costruito, dove gli esseri umani svolgono una qualsiasi attività: di lavoro, di studio, di riposo, sportiva, ricreativa; e riguarda l’ambiente costruito, ma anche i materiali, gli utensili, i mezzi di lavoro e la sua organizzazione. L’obiettivo è di migliorare l’efficienza e l’affidabilità dei sistemi, verificandoli nel confronto con le attività umane».
Come può avvantaggiare una persona con disabilità l’avvalersi di competenze di ergonomia?
«Fra le discipline che pongono l’essere umano al centro dei loro interessi, l’ergonomia è quella che persegue compatibilità tra il mondo che ci circonda – oggetti, servizi, ambienti di vita e di lavoro – e le esigenze di natura psicofisica e sociale. Per raggiungere una situazione di comfort, per il maggior numero di persone possibile – comprese le persone con disabilità – nell’interazione con l’intorno costruito, bisognerebbe quindi riferirsi ad abilità, esigenze, aspirazioni umane che possono essere molto diverse. L’ergonomia fornisce metodi e strumenti idonei a questo scopo».
Cosa la rende una specialista di questa materia?
«In Italia vi sono diversi ergonomi, molti dei quali iscritti alla SIE (Società Italiana di Ergonomia), che ne verifica la competenza; la certificazione europea Eur.Erg., di cui sono in possesso, è un riconoscimento ufficiale che attesta la presenza di requisiti professionali di alto livello, nell’ambito della valutazione e della progettazione ergonomica di processi, prodotti e sistemi negli ambienti di lavoro e di vita. I criteri per candidarsi alla certificazione professionale prevedono sia requisiti formativi che esperienze professionali nell’ambito dell’ergonomia fisica, cognitiva e organizzativa. La procedura di valutazione della candidatura prevede una prima verifica a cura del National Assessment Board, struttura tecnica nominata dal Direttivo SIE. Se il candidato presenta i requisiti per il rilascio della certificazione, la candidatura viene approvata e sottoposta al Comitato Direttivo del CREE (Centre for the Registration of the European Ergonomists). Il titolo ha validità di cinque anni, al termine dei quali il Socio certificato può chiedere il rinnovo. Il CREE è un organismo di certificazione professionale sostenuto dalle associazioni di ergonomia europee e riconosciuto dalla IEA (International Ergonomics Association); pertanto il titolo di Eur. Erg. consente di esercitare la professione dell’ergonomo con l’approvazione della IEA nei quarantasette Paesi in cui sono presenti società ad essa federate».
Quali sono le ultime frontiere del Design for All (“Progettazione per Tutti”) e quali i principali argomenti attorno ai quali c’è discussione?
«La discussione a livello internazionale verte sostanzialmente su alcuni nodi critici: fruibilità di edifici e luoghi storici di elevata importanza culturale-artistica (generalmente tutelati da norme statali apposite); filiera del turismo (tra cui spicca il settore alberghiero e museale); formazione a livello universitario».
Cos’è la progettazione multidisciplinare “centrata sulla persona” e quali sono le professionalità che si incrociano nel Design for All?
«La multidisciplinarietà, presupposto dell’approccio ergonomico e del Design for All, è l’integrazione di conoscenze e strumenti di intervento provenienti da differenti settori disciplinari (in particolare la fisiologia, l’antropometria, la biomeccanica, la psicologia, le discipline politecniche), rivolti allo studio e alla valutazione delle caratteristiche e delle capacità fisiche, sensoriali e psico-percettive dell’uomo.
L’UCD (User-Centered Design) è la pratica di progettare prodotti-ambienti-sistemi che possano essere utilizzati dagli utenti per gli obiettivi e l’uso richiesti, con la massima efficienza, la massima soddisfazione e il minimo stress fisico e mentale. Esso pone al centro dell’interesse e dell’obiettivo specifico dell’intervento il ruolo dell’individuo-utilizzatore, al fine di garantire la massima soddisfazione e il minimo stress fisico e mentale, rispetto alle soglie umane, che secondo il Design for All possono essere molto diverse da individuo a individuo. È fondamentale non classificare e stigmatizzare le persone in base a categorie (le persone in carrozzina, gli anziani, gli immigrati ecc.), ma indagare le reali aspettative e bisogni degli utenti, avvalendosi di conoscenze multidisciplinari (mediche, psicologiche, sociali ecc.).
Oggigiorno, In Italia e all’estero, il termine Design for All appare essere sempre più diffuso, anche fuori dagli àmbiti associativo-istituzionali in cui è nato; sta entrando nella didattica e nelle pubblicazioni con maggiore frequenza, e anche nel linguaggio comune. Tuttavia questa diffusione è caratterizzata da una certa confusione nell’utilizzo di diversi termini nelle differenti aree di ricerca e applicazione – barriere architettoniche, accessibilità, accesso, Universal Design, Inclusive Design, Design for All – ma soprattutto sui loro contenuti e obiettivi, sui quali sarebbe bene fare chiarezza e gettare le basi per una condivisione a livello istituzionale e scientifico. Infatti, il Design for All o il “Progettare per Tutti” va oltre l’eliminazione delle barriere architettoniche, oltre l’accessibilità dell’ambiente costruito da parte delle persone con difficoltà motorie. È innovativo, è un approccio progettuale condiviso, trasversale e multidisciplinare, applicabile a sistemi di comunicazione, ambienti, servizi pubblici e prodotti di largo consumo, così che questi possano essere fruiti dalla più ampia gamma di popolazione possibile».
Com’è stata concepita la sua recente pubblicazione, qual è il suo sviluppo concettuale e quale il suo obiettivo?
«La recente pubblicazione da me realizzata cerca di mettere in evidenza i diversi campi applicativi, con differenti esperienze professionali e di ricerca. Il primo volume riguarda alcuni tra i principali settori di ricerca e alcuni esempi a scala urbana; il secondo raccoglie alcune testimonianze relative alla progettazione architettonica, di prodotto, di servizi, e all’attualissimo tema della formazione universitaria. Il dialogo dovrebbe aprirsi sia a livello scientifico sia con i cosiddetti “decisori” (stakeholder)».
Dal punto di vista della progettazione in Italia, cosa manca affinché il Design for All sia l’approccio prescelto in tutte le circostanze? E che tipo di interventi sono utili per far sì che questo accada?
«Perché diventi sempre più condiviso l’obiettivo e la prassi per la realizzazione di interventi compatibili con le esigenze del maggior numero di cittadini possibile, manca la conoscenza del metodo e delle finalità Design for All presso i cosiddetti “decisori”, ma anche un’adeguata formazione primaria, comune a tutti».
Può dirci qualcosa a proposito della progettazione universitaria su queste materie?
«Sono di grande attualità i cinque libri editi dalla spagnola Fundación ONCE sulla formazione curriculare in varie discipline universitarie, secondo l’Accordo di Bologna (Dichiarazione Congiunta dei Ministri Europei dell’Istruzione Superiore, intervenuti al Convegno di Bologna il 19 giugno 1999), per l’armonizzazione dei programmi universitari negli Stati Membri dell’Unione Europea. Se ne parla nella mia pubblicazione e ne abbiamo parlato nella recente riunione e dibattito al Parlamento Europeo di Bruxelles, con il gruppo di lavoro Architecture for All dell’Unione Internazionale Architetti di cui faccio parte. In Italia non mi risulta esista attualmente un corso con specializzazione in Design for All per architetti».
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