Il programma RAI Ballando con le Stelle, con Giusy Versace che alza la coppa della vittoria, nasce nel regno del paradosso. Quello dove una donna senza gambe, tranciate da un guardrail su un’autostrada, può danzare, correre e saltare, facendolo così bene da vincere una gara che ha i piedi in primo piano. Perché a ballare contano quelli, le caviglie, i polpacci. E Giusy non li ha. Ma mentre si muove sulla musica, insieme al suo maestro e compagno Raimondo Todaro, va oltre questo. Dice: si può fare.
Il grande messaggio sta qui. Giusy lo porta con la naturalezza del sorriso. Arriva immediato, senza bisogno di spiegazioni. Parola chiave: emozione. Ecco perché quando il pubblico votava sceglieva lei: non vedeva la disabilità, capiva le abilità.
Non era più solo una gara di ballo. Danzare è diventato un pretesto per andare oltre. A casa, davanti alla TV, si era capito fin dalla prima sera. Quella scelta del pubblico nasceva dalla storia di Giusy, ma prima ancora dal suo viverla così: «Ho avuto una seconda possibilità, sarebbe un peccato davanti a Dio sprecarla», come scriveva in InVisibili, blog del «Corriere della Sera.it», poche ore prima della finale.
Non tutto facile: se fosse facile, poi, dove sarebbe la passione? Giusy ha portato quella che mette in ogni cosa che fa, dalla corsa verso la Paralimpiade [Giusy Versace è anche una nota sportiva paralimpica dell’atletica leggera, N.d.R.] al volontariato con la sua Associazione Disabili No Limits, alla Fede mai nascosta.
Altra parola: tenerezza. Sguardi, carezze, baci: Raimondo Todaro (superfidanzata lei, supersposato con figlia lui, giusto per evitare sciocchezze da gossip di quart’ordine) è stato per Giusy maestro come dovrebbe essere chi insegna. Anzi, qui il concetto è forse ancora più alto. Ha capito che quelle gambe che mancavano erano diventate idealmente le sue e che lei si sarebbe affidata completamente a lui, come ha fatto. Nel piccolissimo di un rapporto a due, ha fatto quello che nel grandissimo dovrebbe fare la società. Grazie a loro, a Giusy che sopportava e superava il dolore di una protesi che ti segna quel che resta lì sotto, sorridendo ed emozionando, in tutti questi sabato sera, milioni di persone hanno visto e si sono detti: sì, si può fare.
Ecco, semplicemente, perché è stato giusto che ad alzare quella coppa fosse lei, la donna senza gambe che danza, corre e salta. Con un sorriso.