Sono le decine di messaggi di apprezzamento e affetto per Franco Bomprezzi, il nostro direttore responsabile scomparso il 18 dicembre scorso – tutti messaggi di sostanza e mai di circostanza – che ci danno la forza, in queste tristi giornate, per riprendere il filo del nostro “discorso”, per continuare con le sue e le nostre battaglie. Non finiremo mai di ringraziare tutti quelli che ci hanno scritto e che continuano a farlo.
Anche oggi abbiamo scelto di dare spazio ad alcuni contributi, vale a dire quelli inviatici in redazione da parte di Mario Barbuto, presidente nazionale dell’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti) e Carlo Romeo, per lungo tempo responsabile del Segretariato Sociale RAI e attualmente direttore generale di San Marino RTV (Radiortelevisione di Stato della repubblica di San Marino).
Chiudiamo poi con un mirabile ricordo del giornalista Valentino Pesci, apparso sul «Mattino di Padova» del 19 dicembre (qui ripreso per gentile concessione), la testata di cui Franco fu caposervizio per molti anni. (Stefano Borgato)
«Con la scomparsa di Franco Bomprezzi, perdo un caro amico personale con il quale ho condiviso tante battaglie di tutela dei diritti delle persone con disabilità, oltre alla passione calcistica per la stessa squadra.
Il movimento dei diritti sociali e civili perde uno dei suoi migliori rappresentanti, che ricorderemo sempre per la fermezza, la sobrietà e l’onestà intellettuale.
Il giornalismo perde uno dei suoi interpreti migliori: lontano dai facili sensazionalismi, sempre votato alla ricerca delle verità da spiegare.
Ciao Franco! Con te se ne va un frammento del mondo buono.
Mario Barbuto (presidente nazionale dell’UICI)».
«Mancherà a tutti il sorridente rigore, la lucida razionalità, lo spessore umano di Franco. Mancherà a tutti quelli che fanno quel che possono perché il mondo delle disabilità possa avere quella dignità, quel diritto di esistere per quel che si è, che Franco sopratutto ha rappresentato.
In trent’anni molte cose sono cambiate e già la generazione di Franco era diversa da quella di Pietro [Barbieri, presidente per molti anni della FISH-Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, attuale portavoce del Forum Nazionale del Terzo Settore, N.d.R.] o di Luca [Pancalli, presidente nazionale del CIP-Comitato Italiano Paralimpico, N.d.R.], arrivati dopo, ma forti di quel che avevano fatto e vissuto i loro fratelli maggiori, a partire da Franco.
Abbiamo lavorato insieme tanto e a lungo in un contesto non facile come può essere il servizio pubblico radiotelevisivo. Appena arrivato al Segretariato Sociale della RAI, quindici anni fa, cercai Franco insieme a Luigi Ciotti, Enzo Cucco e pochi altri. Insieme abbiamo combattuto duramente – e Franco Dio sa se sapeva combattere – per fare spesso pochi centimetri nella direzione giusta, ma erano centimetri importanti, vitali.
Le regole di comportamento per gli operatori dei media in merito alle disabilità sono una delle cose più belle che ha fatto la RAI nella sua storia e le si devono in massima parte a lui nel 2003, l’Anno Europeo delle Disabilità, il periodo forse in cui ci siamo visti più spesso.
Ci mancherà, ma molte delle cose che ha scritto, che ha detto, restano. Sarebbe bello e utile raccoglierle per memoria di chi continua e continuerà la strada.
Carlo Romeo (direttore generale di San Marino TV – Radiotelevisione di Stato della Repubblica di San Marino)».
«Una volontà di ferro issata su un corpo fragile, unita a un’intelligenza fuori dall’ordinario. Ma Franco Bomprezzi è stato soprattutto un lottatore a tempo pieno, più per aiutare gli altri che per gratificare se stesso. Per lui i diritti dei più deboli – diceva – “sono importanti come le pietre per edificare una casa”. “Non mi arrenderò mai di fronte alla sfiducia”, affermava Franco, “perché ognuno di noi deve gettare il cuore oltre l’ostacolo, metterci anima, cuore e cervello”. Lo scoramento non era una parola del suo vocabolario. Anzi, lui “voleva rottamare la sfiducia”, perché un “handicap che ci frena ci costringe a chiuderci nella certezza delle corporazioni, a essere rinunciatari in partenza e quindi a diventare emarginati e sconfitti”. “In quale modo si può cambiare il mondo se non partecipi al cambiamento?” insisteva. Un coraggio, quello di Franco Bomprezzi, incrementato con il trascorrere degli anni, convinto più che mai che la disabilità non fosse un peso. “Siamo persone, non fardelli”, gridava con forza, invocando una cultura della normalità in grado di favorire vera integrazione e pari dignità (diritti e doveri) dei disabili. Lui, nato con un corpicino zeppo di fratture, a causa di una malattia genetica (osteoporosi imperfetta), ha saputo dare a tanti il coraggio di vivere.
“La situazione nazionale”, scriveva nella sua rubrica on line InVisibili, “ci restituisce autentici momenti di cinismo, egoismo, cattiveria, insensibilità, ma noi dobbiamo avere il coraggio di vivere, insieme, mai soli, senza urlare, ascoltando e spiegandoci”. Anche se ha trascorso tutta la sua vita su una carrozzina – che considerava come la sua seconda pelle – non ha mai accettato l’etichetta di “diversamente abile”. “Non sono e non sarò mai diversamente abile. Durante la giornata posso essere un giornalista, un comunicatore, un consulente, un amico, un fratello, un amante, un compagno, un tifoso, persino un malato, un rompiscatole, un invalido civile, ma non riesco a capire in che cosa sarei diversamente abile. Faccio fatica a vestirmi da solo, la sedia a rotelle la so usare ma non sono un drago, la pancia rallenta i movimenti, so usare lo smartphone ma faccio fatica con il touch screen, cerco di convivere con la mia disabilità ormai da tanti anni, ma non me ne faccio un vanto. Non voglio essere etichettato per questo. Mi chiamo Franco, penso che basti. E invece è vero: la gente ti guarda e ti etichetta, sempre più. Più di prima, più di dieci anni fa, forse ancor più di trent’anni fa. Forse perché il mondo della disabilità è più organizzato, visibile, combattivo. Forse perché riusciamo a parlarne, a discuterne, anche nelle difficoltà di un welfare che boccheggia. Ma una cosa è certa: non autorizzo nessuno a pensarmi o a definirmi come diversamente abile. Diversamente un corno. Io sono bravissimo per i fatti miei. E lo so. Senza bisogno di concessioni benevole”.
“See the person, non the disability”, guarda la persona e non la disabilità, raccomandava. “Non siamo costretti a muoverci in carrozzina – sottolineava – ma siamo liberi di muoverci grazie alla carrozzina”. Era dotato di una grande ironia: “La disabilità è un rally dell’intelligenza, devi agire sul cambio e tenere a posto le gomme per non sbandare”. Considerando la sua bassa statura, diceva “non posso lamentarmi, in effetti sto meglio seduto che in piedi”. E aggiungeva: “Il vero miracolo non è camminare, ma stare bene con se stessi ogni giorno”.
È con questo spirito che Franco Bomprezzi ha vissuto la sua vita di “giornalista a rotelle” (la definizione è sua), di blogger, di marito, di persona che ha dato valore alla comunicazione sociale e dignità alla disabilità, che pretendeva fosse considerata come una situazione normale nell’esistenza di un individuo.
A Padova ha condotto le sue prime battaglie per l’accessibilità, per i servizi, per il diritto di cittadinanza di tutti. A Milano ha poi continuato la sue battaglie per costruire una città dove ognuno può stare a modo suo, da anziano, da donna, da disabile. Il deficit fisico è “solo mio”, diceva Franco, “ma l’handicap coinvolge tutto il mondo attorno a me”. Il male ha sconfitto il suo corpo ma i suoi ideali e i suoi sogni sono duri a morire. Anzi, non periranno mai.
Valentino Pesci – da “Il mattino di Padova” del 19 dicembre 2014».