Per Franco non si può usare la parola “spento”

di Simona Atzori*
A un mese dalla scomparsa di Franco Bomprezzi, nostro direttore responsabile, Simona Atzori lo ricorda, ripensando a quella famosa trasmissione televisiva in cui si parlava di disabilità, della quale lei stessa era stata ospite e il cui conduttore «sembrava che si trovasse lì per caso. Ma Franco lo sistemò per le feste...»
Franco Bomprezzi
Franco Bomprezzi

Un mese fa, il 18 dicembre 2014, arrivata dall’altra parte del mondo, appena acceso il cellulare, ho ricevuto uno di quegli SMS che non vorresti ricevere: Franco Bomprezzi si è spento oggi. Il messaggio non usava queste parole, ma è il modo in cui noi spesso comunichiamo la morte di qualcuno, perché abbiamo paura di usare la parola “morte”, ma usare la parola “spento” per un uomo come Franco, proprio non è possibile.
Quel giorno, e nei giorni seguenti, il mio pensiero fu con Franco e per Franco. Non scrissi nulla, perché volevo mantenere il ricordo di lui, stretto a me, nei giorni in cui il ricordo della morte della mia mamma si avvicinava e capisci che puoi parlare di tutto, ma non di morte, e allora scegli il silenzio, che a volte è più forte e rispettoso di mille parole.
Oggi però, caro Franco, penso a te e ti vedo sorridere, e mi ritrovo a sorriderti anche se non sei davanti a me. Sorrido al ricordo di un uomo che ho conosciuto tramite le parole di un nostro caro amico comune, Candido Cannavò, per poi avere la gioia di conoscerti di persona, e di sentire quel tuo sguardo gentile e vero su di me. E mi viene in mente un ricordo particolare e un po’ sfumato perché racchiuso in una sensazione, la mia.

Ero ospite in una trasmissione molto famosa, si parlava di disabilità, ma il conduttore sembrava che si trovasse lì per caso e io dopo poco ho iniziato a chiedermi il perché fossi capitata in quella situazione. Quel giornalista sembrava stesse parlando di un argomento talmente lontano da lui da sentirsi a ogni domanda “fuori posto”. La sensazione che provai fu quella di essere un “animale strano”, al conduttore assolutamente estraneo, mettendo “La Disabilità” all’interno di una gabbia e lui fuori a guardarla come se fosse “qualcosa” che non gli appartenesse.
A un certo punto appari tu sullo schermo, in collegamento da Milano, e i miei occhi si sono illuminati di immenso. Mentre io cercavo di spiazzare il conduttore domanda dopo domanda, con la mia naturalezza di “animale strano”, ma fuori dalla gabbia in cui lui voleva mettermi, appena ti vidi, pensai: «Ora Franco lo sistema per le feste», ed è inutile dire che fu così.
Il conduttore si appoggiò a te, confidando in un collega “esperto dell’argomento”, come se solo chi vive la disabilità possa parlarne con cognizione di causa, dando così un altro messaggio sbagliato, perché quando si parla di disabilità si parla “solo di persone” e, in quanto persone, tutti ne possiamo parlare. Sarebbe come dire che solo chi danza, ha il diritto di parlare di danza.
Fu meraviglioso guardarti così grande su quello schermo, ed essere Franco, il giornalista che sapeva rendere ogni argomento interessante da seguire perché affrontato con quell’atteggiamento che appartiene solo alle persone intelligenti, sensibili, preparate e piene di umiltà e senso dell’umorismo.
Il giorno dopo, al telefono, confrontammo le nostre sensazioni sulla trasmissione e fu bello rendermi conto di essere assolutamente sulla stessa lunghezza d’onda (non che ne avessi avuto dubbio).

Allora oggi penso a te, caro Franco e ti penso così grande su quello schermo, un mese dopo il giorno in cui hai iniziato un altro viaggio… e ti sorrido Franco… e ti dico GRAZIE… semplicemente Grazie. Buon viaggio, grande uomo e fattela una bella chiacchierata con la mia mamma!

Testo già apparso (con il titolo “Franco, uomo mai spento”) in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it». Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al contesto, per gentile concessione.

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