Ancora una volta, come insegnanti di sostegno, sentiamo il bisogno di intervenire nel dibattito, sempre più acceso, sulla futura riforma del sostegno scolastico, sostenuta recentemente da FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali di Persone con Disabilità) e dal sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone.
Nella Proposta di Legge in discussione alla Camera [Atti della Camera C-2444, “Norme per migliorare la qualità dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con altri bisogni educativi speciali”, N.d.R.], si parla di «carriere separate» per il sostegno, di «nuovi ruoli», di «specializzazioni sulle singole disabilità», di «continuità forzata», con l’intento esplicito di scoraggiare i docenti a intraprendere questo tipo di insegnamento, per poi passare su classe comune o sulla propria disciplina nella scuola secondaria.
Noi che ci definiamo docenti “bis-abili” [intesi cioè come “abili” sia nella specifica disciplina curricolare che nella corrispondente attività di sostegno, N.d.R.] siamo da tempo contrari a questa prospettiva e abbiamo ampiamente sostenuto, su queste stesse pagine, la necessità di una trasformazione in senso opposto a quella proposta dalla riforma, attraverso il sostegno alla cattedra mista e alla doppia docenza; siamo inoltre particolarmente delusi del fatto che le parole del sottosegretario Faraone lascino trapelare la percezione di noi docenti di sostegno come di personale non motivato, non adeguato, incapace di affrontare le situazioni problematiche che la scuola offre, perché desiderosi “anche” di insegnare la disciplina per cui ci siamo formati.
Oggi, tuttavia, vogliamo cercare di riflettere insieme su quali possano essere le ragioni che inducono il Ministero a cercare di risolvere una situazione problematica in una direzione sbagliata, che purtroppo significa per noi un ritorno al passato e a una medicalizzazione, di fatto, della figura del sostegno, come di uno specialista formato solo sulla disabilità o sulla didattica speciale.
Riteniamo che, in buona parte, la Proposta di Legge che contestiamo nasca da un bisogno concreto e forte di dare risposta ai bisogni degli studenti con disabilità gravi e gravissime, che necessitano di un sostegno quotidiano per un numero molto significativo di ore, talvolta non riconosciute dall’Amministrazione e per le quali spesso le famiglie sono costrette a fare ricorso in tribunale.
In questi casi, poi, le ore aggiuntive assegnate in deroga sono spesso coperte da personale non specializzato, che si trova in situazioni difficilmente gestibili o che non è in grado di affrontare. Da qui nascono il turn-over altissimo, la demotivazione, il senso di impotenza, sia dei docenti che delle famiglie.
E tuttavia, nonostante noi docenti “bis-abili” riconosciamo la criticità di tali situazioni, riteniamo che la Proposta di Legge abbia cercato una prospettiva troppo rigida per risolvere il problema, senza tener conto del fatto che nella scuola non vi sono solo disabilità gravi e gravissime, ma che la maggior parte degli alunni ha in realtà disabilità medie o lievi, o che ancora vi sono studenti non certificati, ma con BES (Bisogni Educativi Speciali) o DSA (Disturbi Specifici di Apprendimento), che necessiterebbero di attività di sostegno oggi non riconosciuta e per i quali la presenza di un “sostegno alla didattica” in compresenza sarebbe certamente risolutiva per garantire il loro diritto allo studio.
Noi docenti “bis-abili” vorremmo allora far riflettere su come nella nostra scuola esistano situazioni talmente differenti che una sola risposta – quella della carriere separate – non potrà mai essere la soluzione adeguata, anzi avrà l’effetto opposto a quello per cui è nata quella proposta: sempre meno docenti saranno disposti a intraprendere questa professione, se non avranno di fronte a sé prospettive di carriera pari a quelle degli altri docenti, se dovranno occuparsi per la vita solo di disabilità, in un contesto ricco di stimoli come la scuola: i docenti di sostegno, infatti, sono docenti, non assistenti, educatori o medici.
Possono però servire nella scuola, assunti a pieno titolo, anche alcune di queste figure, senza necessariamente “riformare il sostegno”: basterebbe che a un attento monitoraggio delle situazioni da seguire si dessero risposte differenziate.
Noi riteniamo, in buona sostanza, che per venire incontro ai bisogni di ciascuno si dovrebbe formare il personale in modo differente: gli attuali docenti di sostegno, che hanno una formazione disciplinare e una specializzazione successiva, rivendicano da tempo il desiderio di non svolgere “attività assistenziale”, ma “didattica”, di supporto reale a tutti quegli studenti che con un aiuto concreto sarebbero in grado di superare molti ostacoli; questi docenti, a nostro parere, dovrebbero essere impiegati nella scuola su cattedra mista, in compresenza, nelle ore in cui si trattano le discipline di loro competenza. Non ha alcun senso che un docente di filosofia o latino, pur specializzato in attività di sostegno, segua la classe nelle ore di matematica, dal momento che non ha gli strumenti per mediare alcuna conoscenza e lo stesso processo di inclusione non ne trae alcun beneficio.
Concordiamo però sul fatto che per alcuni tipi di disabilità possano servire altre figure: in questo caso, non servono “docenti di sostegno”, come li abbiamo conosciuti finora, piuttosto figure di supporto educativo, che siano a fianco dei docenti in tutti quei casi in cui il tipo di disabilità degli alunni, o la sua gravità, non renda prioritario un intervento di tipo didattico, che di fatto è quello per cui gli attuali docenti di sostegno dovrebbero essere più formati.
Perché pensare a una “classe di concorso di sostegno”? Non sarebbe meglio pensare da un lato a personale educativo a supporto di disabilità gravi e gravissime, personale altamente specializzato sulle disabilità, che operasse come consulente ai Consigli di Classe – secondo la proposta espressa anche dal professor Dario Ianes [nel libro “L’evoluzione dell’insegnante di sostegno”, di cui si legga anche nel nostro giornale, N.d.R.] -, dall’altro lato alla maggior parte dei docenti oggi di sostegno impegnati su cattedra mista?
Se vogliamo superare il binomio “alunno disabile-docente di sostegno” e poi si propone una classe di concorso e una carriera separata, anche il meno addetto ai lavori potrà cogliere la contraddizione implicita in questa posizione.
Vorremmo per ciascuno studente la risposta al suo bisogno, per ciascun docente di sostegno o curricolare la libertà di operare nella scuola in ciò per cui ha studiato ed è competente, per altre figure educative la possibilità di partecipare a pieno titolo al processo di inclusione – ove è necessario -, per alcuni specialisti la possibilità di fornire supporto ai docenti sulle diverse disabilità.
Chiediamo dunque che il Ministero, prima di approvare qualsiasi “riforma del sostegno”, valuti con molta attenzione i rischi che la carriera separata avrebbe sul personale oggi in servizio e su quello che si sta specializzando sulle regole attuali e non compia l’errore di compromettere un’inclusione oggi efficace per molti studenti, attraverso la ricerca di una “separazione di carriera” e di una “vocazione” a priori ad occuparsi di disabilità, che a nostro parere non sono realisticamente realizzabili nella complessità della scuola di oggi.