Viktoria Modesta si presenta quale personaggio sospeso fra Betty Boop [celebre personaggio del mondo dell’animazione americana degli anni 1932-1939, N.d.R.] e Rachel, la segretaria, replicante, della Tyrell Corporation del noto film Blade Runner. Fra una pin-up dei fumetti, sensuale e un pizzico infantile, e una “donna surreale”, elegantissima quanto capace di grande passione in virtù della sua fragilità esistenziale.
Due simboli temporalmente opposti, il primo emblema nostalgico di un’epoca ben definita e l’altro icona di un divenire plausibile quanto irrealizzato. Al centro lei, raffinata e ambiziosa. Convinta di poter cambiare il mondo, non solo quello dell’arte pop, esibendo la sua protesi alla gamba sinistra con la sfrontatezza di For the love of God di Damien Hirst e la naturalezza dell’orologio sul polsino di Gianni Agnelli.
Viktoria nasce nel 1987 a Daugavpils, in quella Lettonia che allora era Unione Sovietica e la cui influenza culturale sembra emergere, per antitesi, nel suo spirito volto alla rivisitazione degli schemi, alla creatività e a una certa forma di provocazione, sottile e intelligente.
A 12 anni la famiglia si trasferisce a Londra. A 15 anni è modella. Più tardi si ferrerà in campo musicale e la sua carriera sarà caratterizzata da un’accurata presentazione del suo corpo nell’affermazione delle sue doti canore, pur mostrando una propensione ad essere aperta a qualunque contaminazione artistica e culturale, come dimostrano la sua abilità nella danza e il suo impegno nel campo della disabilità.
Vittima di bullismo a scuola, la lascia alle superiori, ma la disabilità non ne è la causa primaria. Ai media inglesi rivela che aveva tutto per essere presa in giro: il tipo di pelle, il nome, il fatto di essere straniera e anche la disabilità. Ma quel difetto alla gamba sinistra ha il suo peso. È così dalla nascita a causa di un parto riuscito male. Una manovra compiuta come non si doveva e l’arto resta offeso. Fra i 6 e i 12 anni si sottopone a quindici interventi per migliorare la situazione, ma l’esito non è confortante.
Ancora adolescente, scopre Aimee Mullins, atleta paralimpica statunitense, attrice e modella biamputata che sfila per Alexander McQueen, primo stilista a far sfilare una modella amputata, proprio la bella Aimee. Fiorisce in lei il desiderio di rimuovere la gamba per stare meglio. Insiste e riesce a convincere i medici ad amputare la gamba sinistra, appena sotto il ginocchio. È una nuova vita. Ha 20 anni.
Racconta di essersi sentita subito ringiovanita. Inizia a usare via via diversi tipi di protesi, ma non disdegna di mostrare la gamba amputata e finanche a farsi fotografare nuda in immagini d’autore.
La ragazzina ha testa. Non è una “bambola con parti intercambiabili” che prendi e usi come vuoi. Non è la caricatura di se stessa, tanto meno la controfigura di qualcuno. Non insidia Lady Gaga, semplicemente va oltre.
Recentemente partecipa alla versione britannica di X Factor e il suo pezzo in rete Prototype riceve in poco tempo milioni di clic, consacrandola come pop star di livello planetario. Nel suo sito si vede il video che si presta a suo manifesto. C’è lei che balla con una protesi appuntita. Movenze in cui la punta del suo corpo compasso lascia tracce nette sull’ostico pavimento. Lei lo incide. Lo spacca.
Altrove sfoggia tutta la sua bellezza con classe, davanti ai bimbi, contro le “milizie dell’oscurantismo” che vogliono fermare la rivoluzione che lei ha innescato. E si mostra anche con il corpo nudo, senza protesi, assisa su un letto con lenzuola di seta, “altare di lussuriose avventure”.
Il video inizia con un ammonimento: dimenticate quello che pensate della disabilità. Viktoria, che nel filmato indossa una protesi al neon di altissima fattura della The Alternative Limb Project e altre che spaziano da quella appuntita a quella tempestata di strass, nel 2012 ha partecipato alla cerimonia di chiusura dei Giochi Paralimpici di Londra, ma non pensa a sé come a una persona disabile, semmai come ad una persona con problemi di salute, e questo me la rende definitivamente una protagonista.
Per chi scrive, infatti, che quotidianamente professa i princìpi dell’ICF, la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, non è altro che musica. Finalmente una dimostrazione in carne e ossa di come la disabilità non sia altro che il rapporto fra condizione di salute della persona e ambiente circostante. Viktoria è innanzitutto una persona, poi, almeno per il momento, è nota come una pop star. Che sia anche disabile è una parte del tutto, non la parte che definisce il tutto.
In buona sostanza, Viktoria non guida una rivoluzione, tuttavia la mette in atto. Siamo ancora lontani dai replicanti, meravigliosi agglomerati sintetici di tessuti in luogo di quelli naturali, ma siamo nell’era della modernità, quella delle protesi avveniristiche che si accendono di led, che ti fanno scattare come una pantera lungo la corsia dei cento metri e che non hai paura di toglierle per mostrare il moncherino. È un termine brutto, ma è parte di sé. È il corpo di Viktoria al pari delle parti artificiali. Lo sa e lo vive. Questa è davvero la novità. L’essere se stessi attraverso se stessi.
Questo è il futuro – che è presente – e che spero diventi presto conclamato. Come Betty Boop, passo inevitabile verso quello successivo, lungo un cammino evolutivo ormai avviato.
Approfondimento apparso anche in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “Viktoria Modesta, la novità vera”). Viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.
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