Già nel 2009 – come avevamo riferito a suo tempo – l’EDF (European Disability Forum) aveva focalizzato il proprio impegno – in occasione della Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne di quell’anno – sul problema della sterilizzazione forzata di numerose ragazze e donne con disabilità in Europa, rifacendosi anche agli articoli 16 (Diritto di non essere sottoposto a sfruttamento, violenza e maltrattamenti) e 23 (Rispetto del domicilio e della famiglia) della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e sottolineando come la sterilizzazione forzata sia «una forma di violenza che nega i diritti delle persone con disabilità a formare una famiglia, a decidere sul numero di figli che eventualmente vogliano avere, ad avere accesso a informazioni corrette sulla pianificazione familiare e riproduttiva e a vivere la propria fecondità su basi uguali a quella delle altre persone».
Quanto però il problema sia ancora oggi diffuso nel mondo, e non certo solo in Stati in via di sviluppo, lo sottolinea ad esempio una nota pubblicata in questi giorni da «West – Welfare Società Territorio», a firma di Ivano Abbadessa, che parlando nella fattispecie dell’Australia, rivela come in quel grande Paese «molte donne disabili vengano ancora oggi sterilizzate per gestire il ciclo mestruale o per i rischi connessi allo sfruttamento sessuale. Una pratica che contrariamente a quanto si possa pensare è diffusa in altri Paesi, tra cui gli Stati Uniti».
«Poche settimane fa – spiega poi Abbadessa – una Commissione del Senato australiano ha confermato che la sterilizzazione forzata delle persone disabili non sarà vietata. I Parlamentari, però, hanno proposto la creazione di leggi e regolamenti più restrittivi. E una più adeguata formazione del personale medico e dei familiari delle persone con disabilità».
Dopo avere quindi segnalato che la maggior parte delle richieste di sterilizzazione riguarderebbe «adulti e non bambini», il servizio di «West» riferisce di una vera e propria “spaccatura”, tra i genitori australiani, alcuni dei quali riterrebbero «che la sterilizzazione consentirebbe alle proprie figlie di vivere una vita migliore», mentre altri sosterrebbero trattarsi «di una vera e propria tortura per rendere sterili, senza il loro consenso, ragazze o donne con handicap».
Confortante la conclusione della nota, che riporta l’autorevole indicazione arrivata dalla Commissione Australiana per i Diritti Umani la quale «continua a spingere affinché il Legislatore criminalizzi la sterilizzazione forzata, salvo in circostanze di pericolo di vita, nella convinzione che la fertilità è un diritto umano fondamentale anche per le donne e le ragazze con disabilità».
Da parte nostra, nell’apprendere notizie del genere, non possiamo fare altro che riprendere con forza e tornare a dare visibilità a quanto scritto nel 2009 dall’EDF, ovvero che di fronte a ciò che continua ad accadere in molti Paesi, ovvero «alla pratica di sterilizzazione forzata su molte persone con disabilità e soprattutto su ragazze e donne per lo più con disabilità intellettive o psicosociali, senza il loro consenso o la consapevolezza dello scopo specifico di tali interventi, attuati con il pretesto che essi vengano fatti “per il loro bene”», questo costituisce sostanzialmente un «mancato rispetto dei loro diritti umani fondamentali, incluso il diritto all’integrità del proprio corpo e al controllo della propria salute riproduttiva, violati senza che spesso le persone se ne rendano conto».
L’EDF aveva chiesto inoltre a tutte le Istituzioni Pubbliche europee di «rivedere innanzitutto le strutture legali che regolano la sterilizzazione forzata, orientandosi verso istituti quali il “consenso informato” e la “capacità legale”, in pieno accordo con lo spirito e i princìpi della Convenzione ONU, che obbliga i Paesi sottoscrittori di essa a introdurre riforme per far sì che da una parte la casa e la famiglia, dall’altra la dignità e l’integrità delle persone con disabilità siano considerati diritti fondamentali che non possono più essere violati».
Nella fattispecie dell’Australia – vale la pena ricordarlo – il “Paese dei canguri” ha ratificato la Convenzione ONU già il 17 luglio 2008 e il Protocollo Convenzionale di essa il 21 agosto 2009 ed è anche alla luce di questo che auspichiamo una rapida “marcia indietro”, da parte dei rappresentanti politici del grande Stato oceanico, dando pieno ascolto alle stesse indicazioni della propria Commissione per i Diritti Umani. (S.B.)
Ringraziamo Simona Lancioni per la segnalazione.