Sono le alterazioni della mielina, il rivestimento che permette la conduzione dei segnali nervosi, a causare malattie molto gravi, come la sclerosi multipla, e a contribuire al declino cognitivo durante l’invecchiamento. I progenitori degli oligodendrociti – le cellule che generano la mielina – si comportano come cellule staminali e proliferano attraverso una divisione asimmetrica, generando due cellule figlie gemelle, ma già diverse e predestinate alla nascita: una rimarrà “progenitore” e continuerà a dividersi, mentre l’altra procederà verso la produzione di mielina. Agendo dunque sui meccanismi che regolano questa divisione, è possibile ri-determinare il destino delle cellule, “reindirizzandole” allo scopo di aumentare il numero di quelle che maturando genereranno la mielina.
Sono questi i risultati di una ricerca guidata da Enrica Boda e Annalisa Buffo del Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi (NICO) dell’Università di Torino, in collaborazione con i ricercatori dell’Università Statale e del CNR di Milano (rispettivamente Maria Pia Abbracchio e Patrizia Rosa) e dell’Università di Basilea.
«Uno studio importante – sottolineano le stesse ricercatrici – perché offre un nuovo meccanismo bersaglio per interventi farmacologici utili a contrastare l’invecchiamento e le malattie neurologiche come la sclerosi multipla e l’ictus, nelle quali il bilancio tra produzione di “progenitori” e di cellule che possono differenziarsi producendo mielina è alterato e provoca un danno al sistema nervoso».
La ricerca è stata oggetto di pubblicazione da parte della rivista scientifica internazionale «GLIA» ed è stata finanziata dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, oltreché e dalla FISM, la Fondazione che agisce a fianco dell’AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla) e dalla Cariplo. Il lavoro di Enrica Boda, invece, la giovane ricercatrice del NICO di Torino, è stato sostenuto dall’Accademia dei Lincei e dalla Fondazione Veronesi.
Lo studio ha rivelato anche che l’ambiente nel quale la cellula nasce (cervello giovane o anziano, sano o malato) ne influenza fin da subito il destino. Infine, i ricercatori hanno scoperto che la diversità tra le due cellule figlie non dipende – come accade per le staminali vere e proprie – da fattori presenti nella “cellula madre”, ma dalla capacità delle “cellule figlie” di “silenziare” i caratteri ereditati dalla madre e di “accendere” l’espressione di geni associati al differenziamento.
Si tratta certamente di una ricerca che apre la strada alla possibilità di intervenire farmacologicamente su alcuni bersagli molecolari presenti nelle “cellule figlie” fin dai primi istanti della loro vita, indirizzandone il destino prima che la loro identità cellulare – “progenitore” o “mie linizzante” – si fissi irreversibilmente. (B.E.)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Ufficio Stampa e Comunicazione AISM (Barbara Erba), barbaraerba@gmail.com.