Amalia mi ha fatto crescere

Non dev’essere tanto semplice interpretare una persona sorda, ma pare che in “Amalia e basta” – pluripremiato spettacolo teatrale, prodotto dall’Associazione Falesia Attiva – a Silvia Zoffoli, che lo ha anche scritto e lo dirige, riesca particolarmente bene. Per questo invitiamo i Lettori ad andarla a vedere – ad esempio il 5 e il 6 marzo a Milano – e nel frattempo a leggere anche la bella intervista che ci ha rilasciato

Tornerà in scena a Milano, giovedì 5 e venerdì 6 marzo, al Teatro Sala Fontana (Via Boltraffio, 21), Amalia e basta, monologo a più voci scritto, diretto e interpretato da Silvia Zoffoli, e prodotto dall’Associazione Culturale Falesia Attiva, del quale già più volte si è parlato in queste stesse pagine.
Lo spettacolo ha ricevuto diversi premi, riconoscimenti e critiche lusinghiere. Amalia, la protagonista, è una donna sorda impegnata in un percorso di autoaccettazione nel quale farà i conti con la propria fragilità e scoprirà il valore di essere una persona unica. Amalia e basta, appunto.
Non dev’essere tanto semplice interpretare una persona sorda, ma pare che a Silvia Zoffoli riesca particolarmente bene. Per questo invitiamo i Lettori ad andarla a vedere e, nel frattempo, a leggere anche questa bella intervista che ci ha rilasciato. (S.L.)

Silvia Zoffoli

Silvia Zoffoli

Cara Silvia, prima di parlarci del tuo spettacolo, raccontaci qualcosa di te. Qual è stata la tua formazione, e cosa ti ha spinto a fare teatro?
«Ho iniziato a studiare recitazione appena finito il liceo. Il mio è stato un incontro casuale, ma amore a prima vista. Ho sempre avuto la passione per la scrittura, per la lettura, per le storie, poi, quando ho cominciato a fare teatro, mi si è aperta la straordinaria possibilità di dare loro vita in scena e di usare, oltre a carta e penna, anche il corpo e le emozioni dell’attore.
Frequentavo una scuola di recitazione e poi workshop, laboratori, mentre nel frattempo scrivevo per le pagine culturali e d’inchiesta sociale su alcuni giornali. Negli anni non ho lavorato solo come attrice, ma anche come assistente alla regia e aiutoregista perché mi piaceva comunque essere “là”, a teatro, ad imparare delle cose, ma ho fatto anche tutt’altro: ho passato un periodo “a bottega” nel campo del montaggio cinematografico e ho lavorato in società di produzione di film e audiovisivi.
Parallelamente mi sono laureata al DAMS [Disciplina delle Arti, della Musica e dello Spettacolo, N.d.R.], dove mi sono appassionata anche alla scrittura cinematografica, alla direzione degli attori e poi, soprattutto, al cinema documentario.
Il mio, dunque, non è stato un percorso lineare o canonico, e del resto non sono cresciuta in un ambiente di artisti, ma con il senno di poi penso che tutto questo mi abbia arricchito da diversi punti di vista, per guardare le cose da prospettive diverse e avere strumenti differenti anche per fare il mio teatro».

Amalia, la protagonista del tuo monologo, è una donna sorda, eppure il tuo non è uno spettacolo sulla sordità. Qual è la differenza?
«Credo che meglio di me potrebbero spiegarlo le persone che l’hanno già visto e che si sono rese conto di come il mio non sia affatto uno spettacolo solamente per addetti ai lavori della sordità, ma davvero per tutti. Del resto io faccio teatro, racconto delle storie e per quanto abbia affrontato la tematica con cognizione di causa e una lunga preparazione dietro, non avevo intenzione di scrivere un saggio scientifico o di realizzare un lavoro di teatro sociale integrato: mi rendo conto che una pièce teatrale che abbia come protagonista in scena una ragazza che è sorda sia una novità, ma ciò non toglie che sia semplicemente un personaggio come tanti altri.
Dire che Amalia e basta sia uno spettacolo sulla sordità è fuorviante, è come prendere la parte per il tutto, mentre quello che ho voluto sottolineare è proprio il contrario: l’importanza del valore del sostantivo sull’aggettivo, della persona prima di tutto, che è sempre un insieme di componenti e non è riducibile ad una sola. Del resto, poi, di fronte a certi sentimenti – ad esempio quando abbiamo a che fare con l’accettazione di noi stessi, con la rabbia, con la tenerezza, o anche con l’amore (e nello spettacolo si parla anche di questo e di quanto in Amalia l’incontro con Luca cambi profondamente la sua visione delle cose) – siamo tutti uguali, disabili e non, eppure, allo stesso tempo, siamo tutti diversi… e questa diversità ci accomuna molto più di quanto possiamo immaginare…».

L’ironia è uno dei tratti salienti del tuo monologo. Quali sono le ragioni di questa scelta stilistica?
«La mia non è stata certamente una scelta a tavolino, anche se confesso che avrei voluto raccontare una storia “positiva”. Spesso chi fa spettacoli teatrali è affascinato da tematiche come la disabilità, perché il dramma sembra “teatralmente” efficace, ma questa secondo me è una scelta che deriva più da stereotipi intellettuali che alla fine rischiano di trasformarsi anche in pregiudizi o addirittura in un certo pietismo da parte di chi guarda le cose dall’esterno.

Silvia Zoffoli in una scena di "Amalia e basta"

Silvia Zoffoli in una scena di “Amalia e basta”

A me, invece, interessa l’essere umano, la sua interiorità, entrare empaticamente in contatto con la realtà. Sembra strano, ma per esperienza personale ho incontrato molte persone sorde, o con disabilità anche di altro tipo, che hanno un alto grado di autoironia. Ad esempio invito tutti a leggere gli scritti del giornalista e presidente del Centro Documentazione Handicap di Bologna, Claudio Imprudente, che ho conosciuto grazie al Premio Teatro e disabilità).
Avere ironia non significa non avere profondità, anzi per raggiungerla bisogna avere vissuto il dolore fino in fondo ed essere riusciti a risalirne, per poterlo infine guardare da una prospettiva diversa. Un conto è il riso della commedia e un conto è il “sorriso della sofferenza”: penso che il secondo sia molto più potente e, se vogliamo parlare di stile, perfino teatralmente più efficace, perché può arrivare allo spettatore a un livello più sottile e profondo».

In un’interessante intervista pubblicata da «UrbanPost», hai raccontato che per calarti nei panni del tuo personaggio hai dovuto «imparare a “sentire” come una persona sorda, che non è solo un fatto uditivo (rapidamente intuibile chiedendo ad un audiometrista di preparare una traccia audio senza determinate frequenze), ma che consiste soprattutto nel cercare di capire quale tipo di sentimenti, di paure, di pensieri possa avere una persona con sordità». Quali sono, in sintesi, i sentimenti, le paure e i pensieri che hai riscontrato con maggiore frequenza?

«In questo percorso di ricerca ho raccolto tante storie, ho osservato molto, ho assorbito tante emozioni e infine ho partorito il mio personaggio, Amalia: non mi sento di generalizzare, posso al massimo parlare di lei, ma allora preferisco invitarvi a conoscerla dal vivo, venendo a vedere lo spettacolo.
Ogni persona è diversa dall’altra, ha il proprio carattere, la propria storia personale, le proprie ferite e questo vale per le persone sorde così come per le persone udenti. Siamo poi influenzati dall’esterno, dall’ambiente sociale in cui siamo vissuti, dalla famiglia che ci ha cresciuto, dagli amici che abbiamo frequentato. Se pensiamo che esistono persone che non hanno nessuna disabilità fisica eppure magari hanno vissuto un piccolo difetto come un grande dramma, solamente perché durante l’adolescenza sono stati presi in giro per quel motivo, possiamo renderci conto di quanto l’animo umano possa essere davvero molto fragile e delicato.

Realizzazione grafica di Massimo Caviglia, Silvia Modigliani e Michele Sala per «DM», giornale nazionale della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) (per gentile concessione)

Realizzazione di Massimo Caviglia, Silvia Modigliani e Michele Sala, in esclusiva per «DM», giornale della UILDM – Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare. Per gentile concessione

Se si aggiungono a tutte queste variabili anche un tipo di disabilità complessa e declinata in tanti modi diversi, che comunque pone la persona in un disagio costante di rumori attorno difficilmente decifrabili (sfatiamo il mito che essere sordi significhi vivere in un mondo di totale silenzio), con l’impotenza e spesso la rabbia di non riuscire a farsi capire dagli altri (contrariamente a quanto si pensi, i sordi non sono affatto muti, semplicemente hanno delle difficoltà di pronuncia o magari si esprimono in un’altra lingua, la LIS, Lingua Italiana dei Segni) e in più con la vergogna di avere una disabilità spesso sconosciuta e “invisibile” alla maggioranza della gente per strada… allora si può intuire almeno un po’ cosa provi una persona con sordità».

Amalia e basta ha già ottenuto numerosi riconoscimenti [si veda nel box in calce, N.d.R.]. Ma quali riscontri hai avuto dalle persone sorde? Si sono ritrovate nella tua narrazione?
«Avevo molta paura del loro giudizio perché in fondo io non sono sorda e quindi poteva risultare presuntuoso da parte mia avere scritto – e soprattutto interpretato in scena – una persona con questo tipo di disabilità. Inoltre, raramente persone sorde hanno potuto vedere il mio spettacolo: in Italia, infatti, non solo Amalia e basta, ma qualsiasi altro spettacolo teatrale di solito non è accessibile a persone con disabilità uditiva, sia per una questione di costi dei sistemi di accessibilità (uno di questi è la sovratitolazione), sia perché non è consuetudine garantire, all’interno della programmazione di uno spettacolo, alcune repliche accessibili anche a spettatori con disabilità sensoriali.
Nel mese di novembre scorso, però, il Pio Istituto dei Sordi di Milano, per celebrare il suo 160° anniversario, ha voluto Amalia e basta in versione completamente accessibile e così sono andata in scena al Teatro Leonardo Da Vinci-Quelli di Grock con una platea composta quasi esclusivamente da persone appartenenti a tutto il mondo della sordità [se ne legga anche nel nostro giornale, N.d.R.]. Con mio stupore e mia immensa gioia, la loro risposta è stata molto positiva. Artisticamente è stata la prova più difficile e una delle più importanti: io faccio teatro per comunicare con la gente e se il mio spettacolo è arrivato a queste persone, se lo hanno unanimemente apprezzato, come è accaduto nel dibattito che c’è stato subito dopo, allora questo è stato per me uno dei riconoscimenti più belli che potessi ricevere».

Cos’hanno in comune Silvia e Amalia?
«Spettacoli come questi sono un vero e proprio parto: l’ho scritto, l’ho diretto, l’ho interpretato, quindi è inevitabile che ci sia oramai un po’ di me in Amalia e un po’ di Amalia in me. Il percorso che ho fatto con questo personaggio ovviamente mi ha un po’ “cambiata”, ha rappresentato l’incontro con persone che mi hanno arricchito profondamente, ha fatto nascere nuove amicizie alle quali oggi tengo molto, mi ha aperto punti di vista sulle cose prima a me sconosciuti, è stato anche e soprattutto un viaggio interiore all’interno delle mie fragilità interiori, mi ha permesso di crescere come persona oltre che come professionista: resterà per sempre un’esperienza unica e significativa della mia vita».

La presente intervista è già apparsa nel sito del Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), con il titolo “Amalia, persona come le altre”, e viene qui ripresa, con alcuni riadattamenti al diverso contesto, per gentile concessione.

Amalia e basta
«Un soggetto intrigante e poco frequentato (l’ipoacusia), sviluppato con toni di verità e una partecipazione emotiva che rivela una sorprendente, simpatetica contiguità col tema trattato, attraverso un’apprezzabile modulazione dei diversi registri verbali».
Così si sono espressi i componenti di una delle giurie che hanno finora premiato lo spettacolo teatrale di Silvia Zoffoli Amalia e basta, classificatosi secondo, ad esempio, al premio per la drammaturgia Teatro e Disabilità del 2011, vincitore, nel 2012, sia nella categoria dei monologhi a Sipario-Autori Italiani, sia tra i testi teatrali a InediTO Colline di Torino e più recentemente trionfatore anche nell’àmbito di OFFerta Creativa 2014, progetto della Regione Emilia-Romagna a cura di Teatrinrete (Teatro delle Temperie, Teatro dell’Argine e Compagnia Gli Incauti), comprendente una rassegna di dieci spettacoli realizzati da giovani professionisti emergenti.
Amalia, protagonista della storia, lavora come hostess di museo e una giornata in cui le sembra che il tempo non passi mai diventa l’occasione per ripercorrere le tappe fondamentali della sua vita, quelle cioè di una giovane come tante, che però è sorda dalla nascita. Ed è con la sua disabilità “invisibile” – diversità con cui confrontarsi sia rispetto agli udenti, sia rispetto agli altri sordi – che Amalia si misura, facendo emergere vari risvolti, talora tragicomici, e riuscendo infine ad accettarsi appunto come “Amalia e basta”. (S.B.)

Per approfondire ulteriormente:
° Alcuni testi
dedicati ad Amalia e basta e a Silvia Zoffoli dal nostro giornale «Superando.it», elencati nella colonnina qui in alto a destra.
° Pagina Facebook dello spettacolo Amalia e basta.
° Pagina del Teatro Sala Fontana di Milano, con informazioni sullo spettacolo Amalia e basta (in programma il 5 e 6 marzo).
° Claudio Arrigoni, Nel silenzio. A teatro la disabilità invisibile, in InVisibili, blog di «Corriere della Sera.it», 10 novembre 2014.
° Claudio Imprudente, Amalia e basta, in Inchiostro – La rubrica di Claudio Imprudente, in «SuperAbile INAIL.it», 7 ottobre 2014.
° Corinna Garuffi (a cura di), intervista a Silvia Zoffoli, Amalia e basta” torna a teatro: intervista esclusiva a Silvia Zoffoli, l’attrice che si immedesima in una ragazza sorda, in «UrbanPost», 3 ottobre 2014.
° Claudio Arrigoni, Amalia e basta. Il mondo diviso del silenzio, in InVisibili, blog di «Corriere della Sera.it», 23 ottobre 2012.

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