Una persona con disabilità, causata probabilmente dalla sindrome di Marfan, tale Niccolò Paganini, di cui si dice fosse un “discreto violinista”, non ripeteva e non amava neppure piantare chiodi.
Di lui fu formulato il giudizio – appiattito verso il basso, non c’erano ancora, infatti, strumenti come la S.Va.M.Di. (Scheda di Valutazione Multidimensionale per le Persone con Disabilità) – che fosse «persona priva di ogni capacità manuale», pura e debole invenzione, quest’ultima, di chi è capace di descrivere le situazioni solo tramite paradossi.
Con un brusco salto nel tempo di quasi due secoli, diventa chiara la preziosità di uno strumento che ti permette di cogliere il profilo del funzionamento della persona. Senza di esso, infatti, si cade nella genericità del giudizio e non riuscendo a far emergere le peculiarità della persona, non si può evitare l’approssimazione e l’appiattimento verso le competenze meno sviluppate.
Ogni tanto mi vado a rileggere il verbale da Legge 68/99 (Norme per il diritto al lavoro dei disabili) di mia figlia, redatto circa dieci anni fa: «Nessuna possibilità di inclusione lavorativa».
Un analogo verbale è stato redatto in revisione due anni fa, riportando invece un quadro corrispondente alla sua situazione attuale, quello cioè di un’apprezzata archivista, chiamata a prestare la sua opera anche al di fuori del posto di lavoro.
È stata insomma sufficiente una “valutazione de noantri”, come si potrebbe dire a Roma. Figuriamoci i benefìci che può portare un approccio seriamente scientifico, come quello della citata Scheda S.Va.M.Di., adottata dalla Regione Veneto e ora in via di adozione anche nel Lazio!