Dario vive da quattro anni a Berlino. Ci è capitato un po’ per caso. Al rientro da un viaggio, anzi, dal viaggio, si ritrovava spaesato nell’Italia che aveva ritrovato al suo ritorno. Era il 2010. Piena crisi, un vero “bagno di sangue”. Non aveva la minima intenzione di tornare a fare il suo vecchio lavoro, il designer a Milano. Infatti, pur essendo stato un lavoro stimolante per anni, ora sapeva di immobile, di fermo, e non poteva dare nuovi brividi alla sua vita professionale. E allora, dopo essersi guardato intorno e aver fatto qualche altro “giretto”, come il Cammino di Santiago di Compostela, fatto così, giusto per chiarirsi le idee, decise di andare da un amico, che viveva a Berlino.
Il 2010 sta finendo, e la Germania lo rimette in moto, con una bella infusione di entusiasmo. Torna in Italia, recupera le sue cose e dopo tre mesi, eccolo nella capitale tedesca a cercare un impiego.
Salta anche fuori un lavoro in ufficio. Un po’ di ritmi regolari, di sana stabilità e di prevedibile routine, ora Dario quasi li desiderava, dopo anni spesi ad esplorare e a vivere l’immenso che circonda il nostro periferico stivale. Un po’ di vita a ritmi scanditi che lo aiutasse a riposizionare il proprio baricentro, permettendogli di avere quella quiete necessaria a rielaborare ciò che aveva vissuto intensamente e a far maturare i frutti delle tante esperienze fatte proprie, scoprendo e vivendo il mondo.
Perché Dario, questo è certo, il mondo non lo ha solo assaporato: lo ha preso davvero a morsi!
Dal 2004, infatti, è stata tutta una scoperta e una sfida tra se stesso, il mondo e una scomoda “compagna di viaggio”. Partito per l’Australia, ha lavorato lì qualche mese, in modo da potersi ambientare. Con un amico, poi, in un pomeriggio di caldo e sudore, ha deciso di partire per 16.000 chilometri di esplorazione del continente rosso, durante i quali gli incontri non sono mancati.
Ha fatto woofing, sempre in Australia e in Nuova Zelanda [il “woofing” è un modo alternativo di viaggiare, che consente anche di riscoprire un contatto originale con la natura, di apprendere nuove cose e di finanziare in qualche modo il viaggio stesso, N.d.R.], dove ha potuto stringere amicizie preziose, uniche, di quelle che durano nonostante ci si veda ogni dieci anni e si viva a ventisette ore di volo di distanza.
Quindi è stata la volta del Sudafrica. Tre mesi in cantiere navale. Si doveva sventrare e ricostruire un imponente vascello il Research Vessel Heraclitus, con tre maestosi alberi e altrettante vele.
Questa insolita barca solca le acque di tutto il mondo dal 1975: solo il Mare Artico non ha ancora visto il suo scafo, abitato da studiosi, ricercatori e appassionati al lavoro per salvaguardare la nostra biosfera e per studiare i mille caratteri nascosti della gente di mare. Periodicamente, vascelli di questo materiale vanno letteralmente smantellati e riportati a nuova vita. E Dario era li, con mazzetta e sudore, a ridare corpo a quella “fenice oceanica”.
Ma la politica, quella dei burocrati, sempre si mette di traverso, come una nuvola solitaria che vela il sole nella prima giornata di tepore all’uscita da un rigido inverno. Della serie: calma, non ti lanciare, che in un attimo ti faccio tornare al freddo! E così, scaduto il visto di novanta giorni, Dario decide di levare le tende, per esplorare il continente africano, direzione Mozambico, dove un amico missionario gli può dare ospitalità in cambio di aiuto.
Dario vuole andare a dare una mano e a insegnare l’italiano in quel villaggio. Parte e attraversa il Malawi, terra non proprio semplice. Deve fare attenzione e pianificare ogni viaggio e spostamento in modo accurato. «Per esplorare il mondo – dice – non servono troppi denari. Hai bisogno di tempo, tempo per organizzare gli spostamenti e tempo per spostarti. Il resto è stupore per quello che scopri».
Ogni tappa deve concludersi con l’arrivo alla meta, prima che il sole abbia mosso oltre l’orizzonte. Serve luce, per orientarsi e trovare un riparo per la notte.
Arriva al confine tra Malawi e Mozambico. Scende dal bus di fortuna che, insieme ad altre venticinque persone, stipate come sarde in scatola, li ha portati sino alla dogana. È un brulicare di gente che per vivere trasporta turisti con le bici oltre i limiti dello Stato. Nemmeno se ne accorge, che si ritrova lo zaino imbragato su un portapacchi e le chiappe di traverso su una bici che lo sta scarrozzando su polverose strade arrossate, in direzione Mozambico.
Arriva oltre confine che è notte, però, e questo vuole solo dire una cosa: Dario ora è disorientato, smarrito, e il suo disagio viene colto da un poliziotto, che gli chiede se necessita di aiuto. I due si parlano e in men che non si dica si ritrova di nuovo ad essere scarrozzato per vie sterrate. Questa volta, però, è su un furgoncino, l’uomo in divisa lo sta portando diretto verso una guest house, che provvederà direttamente a pagare per Dario, il quale si ritrova in Mozambico con in tasca denaro malawese, ancor meno prezioso della polvere che gli sta colorando gli scarponcini da camminatore.
«Una volta ero in Marocco – mi racconta – e girando per Marrakech davo evidentemente l’idea di essere piuttosto spaesato, perché un omone grande e grosso, con la pretesa di farmi da guida, aveva preso a starmi addosso. Poi abbiamo parlato e gli ho spiegato come funzionano le cose, e lui mi ha preso per mano e non mi ha lasciato più. In Marocco, come in molti altri Paesi africani, anche gli uomini possono andare in giro tenendosi per mano, senza temere un “linciaggio omofobo”».
Dalla capitale del Mozambico, Maputo, si muove per tornare in Sudafrica, giusto in tempo per salpare: la nave che aveva contribuito a riportare a nuova vita stava per prendere prendeva il largo. Direzione Brasile.
Due mesi per l’Atlantico, lavorando alla pari con un equipaggio multiculturale, la cui missione era quella di documentare la vita in mare, alla ricerca di sfumature del mondo che potrebbero sfuggire ai più, ma che, per loro, non sono un segreto.
Un’esperienza che non si racconta. Tutto quel tempo in mare ti cambia. Il rollio ti entra dentro, il sole che sorge e tramonta ogni giorno sull’acqua, acqua che insieme alle nuvole e al blu del cielo sono gli unici arredi del tuo intorno quotidiano. «Da quell’esperienza – dice Dario -, ogni volta che vedo il mare la commozione affiora repentina».
Dal Brasile è poi la volta dell’Argentina. Un amico dell’equipaggio della barca lo attende per dargli qualche buona dritta. Si vive con poco in Argentina, 3-4 euro al giorno e stai bene.
Dopo tre mesi si muove verso Trinidad e Tobago, dove si gode finalmente i Caraibi. Portorico lo attende, e qui ritrova l’equipaggio della nave con cui ha percorso la rotta epica.
Giamaica e Cuba sono le ultime tappe, prima di esaurire i risparmi e il tempo che aveva stanziato per l’impresa. Si rientra in patria…
Dario ha fatto tesoro di come ha visto il mondo, e di quello che ha visto. Quando si viaggia, ogni luogo che conosci, ogni persona, ogni scoperta finisce per cambiarti nel profondo, aprendo nuovi possibili scenari per il futuro.
E così, insieme a Olga Gerstenberger, e con il supporto dell’Associazione Pro Retina tedesca e del Gruppo NoisyVision, Dario mette in atto a Berlino un grande progetto, The Visionary Europe, un laboratorio per giovani ipovedenti di tutta Europa, mediante cui condividere esperienze ed emozioni e durante il quale esplorare la città e la sua accessibilità. Un progetto finanziato dalla Comunità Europea, che ha già avuto un seguito ad Helsinki lo scorso anno.
Ma come detto all’inizio, Dario è un viaggiatore, ed eccolo in marcia per la sua nuova avventura che lo vede, proprio in questi giorni, procedere verso il campo base dell’Everest, nel cuore dell’Himalaya, per un trekking – patrocinato da Retina Italia ONLUS – che lo sta portando a sgambettare fino a quota 5.500 metri. Tre settimane col naso all’insù, in cerca del tetto del mondo.
Sì, perché Dario non può “dargliela su”, come si dice in gergo. Nessuno dovrebbe mai “dargliela su”, perché non ci si guadagna nulla nel rinunciare a vivere.
Troppo spesso siamo vittime della normalità. Non si può non vivere, semplicemente perché ci si sente in colpa, ci si sente in condizione di svantaggio. Cosa è normale, chi è normale, e cosa non lo è, al punto da non meritare una vita con la V maiuscola?
La condizione di non normalità ha senso solo se la si rapporta a un’ipotetica situazione di normalità che, di fatto, non esiste. È solo un concetto relativo, l’essere normale. Niente è normale in questo universo. Tutto è unico, con i suoi pregi e difetti.
Giusto, quasi me ne dimenticavo… Dario Sorgato ha 36 anni e la sindrome di Usher. Ad oggi ha perso il 95% del suo campo visivo. Dario, per la Germania, è un cieco civile. Ma Dario è contento e io, personalmente, conosco tante persone che si definirebbero normali e che contente non lo sono proprio.
Nella pagina Facebook di NoisyVision si può seguire l’attuale viaggio di Dario Sorgato nell’Himalaya. Si può anche consultare il blog NoisyVision. Cliccando qui, si può anche contribuire con donazioni a Yellowtheworld, campagna di sensibilizzazione sulla sindrome di Usher e sulla retinite pigmentosa e ai progetti di NoisyVision.