Ci eravamo già occupati, qualche tempo fa, del progetto denominato Raccontiamo noi l’inclusione, attuato nelle Marche dal Gruppo Solidarietà, a partire dal novembre del 2012, e basato su un’idea fondamentale, ovvero «la necessità di rimettere al centro la voce delle persone e i loro volti, per poter dire con forza che le persone con disabilità non sono solo portatori di bisogni, ma anche attori di processi di cambiamento». Il tutto tramite una serie di racconti di persone con disabilità e dei loro familiari che confluiranno presto in un volume intitolato appunto Raccontiamo noi l’inclusione. Storie di disabilità. In tale quadro rientra anche l’intensa intervista a Rita Rossetti, che qui di seguito presentiamo. (S.B.)
Rita Rossetti ha 58 anni e vive a Jesi (Ancona). Ha due figli, uno dei quali, Giorgio, è una persona con grave disabilità, che abita con lei e con il padre Antonio nella città marchigiana. «La mattina – spiega raccontando la sua giornata – mi alzo presto, alle 5 e 45 e mi lascio una mezz’ora per me, colazione, piccole faccende, poi mi occupo di Giorgio, lo alziamo, gli facciamo fare colazione, lo prepariamo e, una volta uscito, mi prendo dieci minuti per me. Poi esco per le commissioni, o per la spesa. Ho anche l’impegno di mia madre che non sta troppo bene. Il pomeriggio, a giorni alterni, ho mia nipote o vado in palestra. Poi torno a casa e faccio la cena… le solite cose. La palestra è l’unica cosa che mi regalo. Faccio un corso di corpo libero, è da diciotto anni che ci vado, mi fa bene, mi aiuta, ci divertiamo oltre che fare movimento. Cerco di andarci perché mi fa bene sia fisicamente che psicologicamente, poi però non ho tempo per leggere, niente televisione e dopo cena crollo presto. Il tempo libero è la palestra. Mi piacerebbero tante altre cose… andare anche per vetrine, leggere, passeggiare, coltivare delle amicizie, ma non ci riesco più».
Lei lavorava?
«Io ho lavorato fino a sei anni fa, poi la ditta ha chiuso, ero impiegata in un negozio di vernici, dalle 8.30 alle 12.30 la mattina, e gestivo Giorgio e tutto il resto, ma all’epoca mamma stava bene e non c’erano nipoti. Adesso mi impegna anche sapere che mio marito Antonio è sempre occupato: prima era molto più presente a casa, e questo alla fine mi pesa e sto sola molto. Mi piacerebbe partecipare a diverse attività, ma non ne ho il tempo. Ma lui ha la sua vita e io la mia.
Da quando vado dalla psicologa, ho scoperto che mi piace anche stare all’aria aperta, in giardino e nell’orto, strappare l’erba con le mani, è terapeutico, mi aiuta tantissimo. Io sono nata in campagna, ma non mi faceva effetto, adesso, se posso, vado, mi fa bene; oggi, purtroppo, non ho più neanche questo sfogo, essendo cambiate le condizioni a livello abitativo.
Con Antonio siamo sposati da 37 anni, Lorenzo (l’altro figlio) ha 35 anni, Giorgio ne ha 30; avevo 21 anni quando mi sono sposata, Antonio ne aveva 28, è una vita che siamo insieme, ma già stavamo insieme da quando avevo 16 anni. L’ho visto trasformarsi, Antonio è cambiato. Lui si interessa anche di politica e in questo ha cambiato anche me. Io, infatti, non ero interessata, ma ora ha portato anche me a interessarmi di politica, rendendomi più responsabile e partecipe della vita sociale e pubblica. Io però sono molto presa dalla vita e dai problemi personali e quotidiani».
Chi è Giorgio?
«Giorgio è mio figlio, il mio secondo figlio, nato trent’anni fa, dopo sette anni che eravamo sposati e dopo che il primogenito Lorenzo era nato dopo due anni di matrimonio. Giorgio è stato voluto più dal padre che da me, che ero preoccupata per un’altra gravidanza, poi però ero contenta. Anche Lorenzo aveva chiesto molto un fratellino e a volte gli dico che se c’è Giorgio “è colpa tua, ma anche merito tuo”; poi anch’io l’ho fortemente voluto.
Giorgio è nostro figlio, è parte di me, è tutto, sia nel bene che nel male, è sia una gioia che un peso. Giorgio ha un grave ritardo intellettivo, associato ad epilessia farmacoresistente, cosa che ha influito molto nella sua disabilità; ed è proprio a causa di questa malattia che non è mai riuscito a uscire dal suo grave ritardo. Le continue e numerose crisi epilettiche giornaliere gli hanno infatti impedito qualsiasi progresso. Nei primi anni di vita qualche piccolo progresso c’era stato, anche grazie a degli insegnanti di sostegno; poi, come ho detto, la malattia, con le sue crisi sempre numerose, ha bloccato ogni progresso ed è rimasto un “bambino piccolo”.
Noi ce n’eravamo accorti già alla fine del primo anno di vita; mi ricordo che stava seduto nel seggiolone, era meno grintoso rispetto al fratello, era indietro rispetto alle piccole cose fatte dai bambini. Abbiamo allora fatto i primi controlli all’Ospedale Salesi di Ancona, dove all’inizio avevano diagnosticato un ritardo; la diagnosi specifica è arrivata solo dopo molto tempo. Abbiamo consultato molti medici, ci hanno consigliato di far fare tante attività, vedevamo piccolissimi progressi, mentre cominciavano le prime crisi e anche i medici hanno scoperto questa malattia farmacoresistente.
Per tanti anni Giorgio è stato in cura dal primario di epilessia dell’Ospedale di Torrette ad Ancona, che confidava di poter sconfiggere le continue crisi anche con la somministrazione di molti farmaci. Anche adesso può avere minimo tre crisi al giorno. Altre persone riescono ad avere soluzioni dai farmaci, ma lui, nonostante ne assuma molti, non ha troppi benefìci. Nelle crisi ha urla improvvise anche di notte e forse ha allucinazioni; i farmaci che assume sono molto pesanti».
Come ha vissuto questa presenza il fratello?
«Io a Lorenzo ho chiesto solo pochi anni fa se si è sentito trascurato. Ad esempio, quando facevamo frequenti ricoveri, lo lasciavo con mia madre. Lui mi ha detto che non si è sentito trascurato. Aveva i suoi amici, era scout, frequentava diversi corsi. Ho aspettato che diventasse grande per fargli questa domanda.
Per me è stato un impegno grande e anche nel lavoro sono stati sempre comprensivi, mi hanno dato i permessi per l’assistenza e per i frequenti ricoveri. Mia madre mi ha aiutato tantissimo. Antonio è riuscito ad ottenere un orario flessibile per e poi ha cambiato il suo lavoro, impegnandosi in àmbito sindacale, così da poter essere più presente a casa per assistere Giorgio; lui è entrato come operaio e poi è andato avanti.
La nostra vita, insomma, è cambiata radicalmente, anche se noi non ci siamo mai chiusi in casa e siamo sempre usciti con Giorgio. Ora è tutto più complicato perché Giorgio adesso non vuole più uscire; quando è in poltrona non si vuole più muovere, mentre prima bastava dire “andiamo fuori o andiamo in macchina” che saltava di gioia; adesso non vuole più uscire. La nostra vita è legata a lui, tutto dipende da lui, prima viene lui, poi le nostre esigenze».
Avete conosciuto tante persone che si sono “occupate” di Giorgio?
«Sì, molte persone, medici, insegnanti di sostegno, terapisti. Già all’età di tre anni andavamo da fisioterapisti e logopedisti, poi abbiamo fatto ippoterapia e musicoterapia nel periodo delle scuole elementari e medie. Molti sono stati gli insegnanti di sostegno, gli assistenti domiciliari e gli operatori del Centro Diurno. Da piccolo era facile da gestire; infatti, anche se aveva le crisi, una persona da sola riusciva a gestirlo e a “portarlo fuori”; ora però è diventato alto, robusto e una persona da sola non ci riesce più; soprattutto nelle crisi, può cadere improvvisamente. Lui può stare in carrozzina, che usiamo se dobbiamo andar fuori, ma ha bisogno di camminare anche per non farlo stare sempre fermo. Antonio cerca spesso attrezzature per farlo stare in piedi e camminare in modo che possa essere protetto ed evitare cadute nel momenti di crisi. Mi dispiace non poterlo portare a passeggio fuori, anche in due è difficile accompagnarlo, perché nei momenti di crisi si irrigidisce, cade ed è difficile sorreggerlo.
Giorgio ha avuto le crisi nei posti più impensabili, anche nelle porte girevoli degli ospedali o dentro gli ascensori; oggi usiamo la sedia a rotelle che risolve il problema delle crisi».
Giorgio è andato a scuola fino alle medie?
«Sì, dopo la scuola dell’obbligo è entrato nel Centro Diurno. Alle materne e alle elementari si è trovato bene. Era accettato e ben voluto sia dai compagni, sia dalle insegnanti (ha frequentato il tempo pieno), sia dal personale ausiliario. Alle medie, invece, non si è instaurato questo rapporto. Spesso Giorgio rimaneva da solo con l’insegnante di sostegno in una stanza a parte, cosicché quell’esperienza ci ha fatto decidere di toglierlo dal mondo scolastico; infatti abbiamo avuto la sensazione che venisse trattato come un peso».
Come è stato il rapporto con i servizi? È stato un rapporto di fiducia?
«Non ho avuto questa sensazione di presa in carico da parte dei servizi. Il rapporto è stato molto blando, non c’è stata tanta collaborazione, forse anche noi non abbiamo chiesto troppo aiuto. Da parte loro non c’è stata grande collaborazione e non vedo tanto interessamento, se non che alle pratiche burocratiche. Ci incontriamo appunto per queste.
Specie negli ultimi anni, poi, il progetto educativo è sempre lo stesso, ma forse anche da parte nostra non c’è stata fiducia; ci limitavamo a firmarlo, ma non ci credevamo molto. Adesso, negli ultimi due anni ci incontriamo al Centro Diurno con la psicologa e l’assistente sociale ed è già diverso; prima ci si incontrava all’ASL in modo più freddo. Anche Giorgio collabora sempre di meno».
Com’è la giornata di Giorgio che da tanti anni frequenta il Centro Diurno? E ha frequentato sempre lo stesso Centro?
«Giorgio ha frequentato diversi Centri Diurni. Come dicevo prima, io mi sveglio alle 5 e 45 e lui alle 7 perché lo chiamo. Il padre deve fargli alcune cose, altre le devo fare io. È una prassi giornaliera sempre uguale, io mi occupo della colazione, della pulizia dei denti e di portarlo al bagno. Antonio si occupa del bagno per la seconda volta e di lavarlo, vestirlo e accompagnarlo al pulmino. Lui parte alle 8,35 ed è il primo a salire nel pulmino che va al Centro Diurno. Lì fanno cesti di vimini, attività di ascolto di racconti, vedono filmini, fanno attività motoria. Ma mi dicono che lui partecipa poco. C’è un diario che giornalmente viene aggiornato dagli operatori e noi lo leggiamo, così vedo se ci sono state le crisi e come è andata la giornata. Ad esempio, mi dicono che ha sorriso durante un’attività o quanto partecipa. Alle 17 è a casa (ora dopo i tagli al sociale, è a casa alle 16, in quanto il Centro chiude un’ora prima).
Noi abbiamo potuto continuare a fare la nostra vita grazie al Centro Diurno. Quando poi Giorgio è a casa per le vacanze o per le ferie, uno di noi (o anche insieme) è sempre con lui, o a casa oppure con Antonio che lo porta fuori in macchina. Io riesco comunque a fare delle faccende di casa. Solitamente di notte dorme, ma a volte ha le sue crisi. Ora, comunque, sono più tranquilla e non accorro più ad ogni suo problema. Infatti, ci siamo organizzati con tutte le protezioni nel letto e abbiamo evitato le frequenti corse di notte. Da quando si è sposato Lorenzo, Antonio dorme in camera con Giorgio, ma adesso la notte è certamente meno pesante rispetto al passato.
Ultimamente, però, si sveglia più volte, sia perché disturbato dalle crisi o per esigenze di bagno. Lo alziamo, lo accompagniamo al bagno, ma capita di trovarlo o bagnato oppure che sta seduto sul water per un po’ di tempo, senza fare niente».
Adesso che Giorgio ha 30 anni, iniziate a pensare a una comunità, a una casa?
«È da tempo che sia Antonio che io pensiamo alle prospettive future e abbiamo anche visto qualcosa, ma si tratta di strutture che, per quanto trattino bene le persone, sono comunque un problema. Non è facile, infatti, accettare le condizioni delle strutture residenziali e finora l’unica cosa positiva è stata la convinzione che “l’avrei presto riportato a casa”.
Ma bisogna pensare a questa soluzione. Antonio sogna di realizzare una struttura dove anche la famiglia sia presente, ad esempio ad un appartamento vicino, una “casa alloggio” che possa essere sia per i genitori che per i ragazzi, con un supporto continuo di operatori, ma con la presenza o la vicinanza della famiglia che possa magari controllare ed essere vicina. Questo è un sogno cui aspirare, per evitare di avere la sensazione di abbandonare un figlio se non si riesce più a gestire la situazione a casa.
Forse con questi discorsi potrà sembrare sembra che si voglia “abbandonare un figlio”. Il cuore di mamma difficilmente si rassegna a questa ipotesi, ma penso che dovrò rassegnarmi a farlo, specialmente quando non riusciremo più a gestirlo. Quando Giorgio ha fatto delle vacanze d’estate insieme a delle Associazioni, è stato sempre tranquillo, l’abbiamo sentito tutti i giorni è stato sempre allegro e noi ci siamo molto rilassati. A casa tutto è condizionato dalla sua presenza e dalle sue necessità, è poco il tempo che dedichiamo a noi, finisce presto. Il tutto è sicuramente gioia e peso, è un bel “macigno”. Trascorrere delle giornate senza Giorgio è come vivere un’altra vita, significa avere del tempo per noi, godere delle piccole cose quotidiane senza l’assillo continuo delle sue esigenze».
Voi nel tempo siete stati aiutati da qualcuno anche come coppia?
«In un periodo ci avevano consigliato di frequentare una psicologa a Falconara, facevamo incontri, ma è stato più utile per Antonio che per me. Per il resto ci hanno supportato i familiari, ma ormai anche loro si stanno invecchiando. Ricordo solo quell’esperienza di Falconara, dal momento che come coppia ci siamo molto aiutati da soli. A noi è servito il contatto con il gruppo di auto mutuo aiuto, poi con questo gruppo abbiamo fatto nuove amicizie, frequentiamo altri gruppi e altri genitori con handicap, anche per le vacanze. Sicuramente è importante, soprattutto come scambio di esperienze, di vedute, anche per avere persone vicine che ti capiscono meglio di altri che non conoscono il problema. Noi le amicizie che avevamo da giovani le abbiamo perse tutte. I rapporti maggiori sono con i nostri familiari, ma ora, come dicevo, anche questi contatti sono minori.
Certo, con Giorgio i rapporti esterni sono difficili, bisogna continuamente occuparsi di lui e tutto è difficile, anche le conversazioni con gli altri. Antonio è molto impegnato nell’ANFFAS [Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o relazionale, N.d.R.], nella quale spesso è solo, i genitori sono molto anziani e c’è poca partecipazione. Non possiamo quasi mai partecipare insieme alla vita dell’Associazione poiché uno deve stare sempre a casa ad accudire Giorgio. Io cerco di aiutare Antonio solo quando ci sono iniziative pubbliche, ma l’Associazione è più una cosa sua. Lui ha creato una fitta rete di genitori e di rapporti, ma le difficoltà sono tante».
Il ricordo più bello rispetto a Giorgio e la cosa più difficile e più dura per lei?
«Il più bello quando era piccolino. Giorgio ci ha insegnato tante cose. Con lui abbiamo conosciuto il mondo dell’handicap che prima non conoscevamo, era una cosa lontanissima. Questo ci ha aiutato a crescere, ci ha fatto capire il prossimo, a capirlo e anche ad aiutarlo, se possiamo. Il mondo dell’handicap è vario e ricco perché ci sono persone che, nonostante i problemi, hanno una grande umanità e bellezza interiore. Se Giorgio fosse stato un ragazzo come tanti, la nostra vita non sarebbe stata la stessa, lui ci ha cambiato veramente la vita e forse questa è una cosa positiva.
Giorgio, poi, ci fa stare tranquilli perché ce l’abbiamo sempre “sotto gli occhi”; e qui penso ai problemi che hanno le famiglie che alla domenica mattina aspettano i figli, che non si sa dove siano andati la sera, mi rendo conto che anche quelli sono problemi grossi. Questo problema non l’ho avuto neanche con Lorenzo, che è stato sempre molto disciplinato. Giorgio, insomma, questo problema non ce l’ha e almeno noi la sera andiamo a dormire sereni, perché ce l’abbiamo qui con noi. Questa potrebbe essere un’altra cosa bella.
Per il resto non saprei… Adesso la cosa difficile è il voler fare tutto e non riuscirci, non riuscire a trovare del tempo, maggior tempo per me. Anche adesso che stiamo parlando, sto pensando alle cose che devo fare. Ci sono delle priorità, devo accudire mia madre che ora non sta bene e ha bisogno di aiuto. Poi Giorgio ci impegna anche se non c’è. Ad esempio devo fare due lavatrici, organizzare tutti i lavori di casa, accudirlo per tutte le sue necessità quotidiane. È un esercizio di pazienza. A volte mi dispiace non capire le sue esigenze, quando cerco di comprendere, di indovinare se ha fame, sete, sonno o freddo; queste cose non le esprime, non sai mai se gli fa male qualcosa e questo è logorante. Una volta aveva una caviglia gonfia e non ci siamo accorti di niente. Quando è contento si capisce, forse è il dolore che non riesce ad esprimere perché lui è sempre un po’ dolorante, ma non riesci a capire dove possa essere il dolore.
Lui è sempre metodico; ad esempio, quando sparecchio al mattino dopo la colazione e Antonio prende una pasticca, se io non la metto sul tavolo, lui se ne accorge e si arrabbia. Come altre cose semplicissime che si devono sempre ripetere. Si capisce bene quando si arrabbia, soprattutto per cose che si devono perfettamente ripetere e questo naturalmente mi fa molto arrabbiare, ma lui non cambia. Si arrabbia per le piccole cose che vengono spostate. E quindi posso dire che siano proprio le piccole cose a condizionarmi: ad esempio, ho l’abitudine di lasciare a casa le ante dei mobili aperti, ma già so che se Giorgio torna a casa e le trova aperte, la prima cosa che fa è andarle a chiudere e non fa quello che deve fare, fino a che tutti gli sportelli non sono chiusi. Non gli sfugge niente, ogni cosa dev’essere come dice lui. Perfino i cuscini devono stare sempre allo stesso posto, lui deve stare seduto sempre nello stesso posto, e anche quando va in bagno, deve rimettere a posto ogni cosa, anche i più piccoli particolari. Questo col tempo è molto pesante».
Chi è oggi Rita?
«Una persona alla quale il tempo è volato. Con il senno del poi dico che avrei dovuto godermi maggiormente tutto ciò che la vita aveva riservato per me, tralasciando alcune cose superflue e materiali, impegnandomi magari di più nel coltivare amicizie e passioni, senza rimandare sempre.
Sì, certo, mi sento stanca, ma un po’ di entusiasmo e di speranza – grazie soprattutto ad Antonio, a Lorenzo e ai nipotini – ci sono ancora. Nonostante le difficoltà, a volte mi dico di essere fortunata e quindi… accetto la mia realtà e cerco di viverla al meglio».