L’analisi condotta recentemente dalla Fondazione Giacomo Matteotti di Roma, sul rapporto tra media e disabilità [Rapporto 2012 “Disabilità e media. La rappresentazione delle persone con disabilità nel sistema italiano dell’informazione”, N.d.R.], ha scelto come esempi alcuni articoli che riportano storie pubblicate sui quotidiani più diffusi e specializzati, anche quelli on line, in cui sono trattati approfonditamente alcuni tra i temi più significativi ed emblematici raccontati direttamente dalle persone con disabilità, in maniera corretta e senza pietismi o sensazionalismi.
Resta poco approfondita, tuttavia, l’analisi di come e quanto la disabilità e le storie personali vengano trattate a livello radiotelevisivo e sui siti web istituzionali pubblici, oltreché sui social network più diffusi. La televisione e la radio, infatti risultano tuttora i canali di informazione più seguiti e diffusi capillarmente sul territorio nazionale, ciò che accade sia per ragioni propriamente tecniche, sia per il cosiddetto Digital Divide, ovvero, fondamentalmente, il profondo gap che sussiste tra le persone “tecnologicamente scolarizzate” e gli altri, tra cui molti disabili e anche gli anziani, che sono oggi una parte rilevante della popolazione, grazie al miglioramento della qualità della vita e della prevenzione sanitaria.
Il tema della disabilità, purtroppo, non viene ancora trattato del tutto con competenza. Spesso, infatti, le storie proposte sono relative a “supereroi dello sport” o, al contrario, a casi di disagio sociale che suscitano pietà e compassione negli ascoltatori; inoltre, sin troppo frequentemente la modalità di conduzione delle trasmissioni televisive su argomenti delicati riguardanti il tema della disabilità, non è propriamente corretta e all’altezza delle problematiche che si vogliono presentare, cosicché accade che in genere, a causa soprattutto di superficialità, passino messaggi non condivisibili.
La normalità della condizione di disabilità, con le sue sfaccettature sia positive che negative, la quotidianità che viene affrontata con forza, ma anche con spirito di ottimismo e naturalezza, sono ancora aspetti che “non fanno audience” e quindi essi vengono raramente affrontati in radio, in televisione e nello stesso web.
Partendo da un esempio pratico, cerchiamo ad esempio di riflettere sulla responsabilità che hanno i media nella comprensione delle reali capacità di una persona con disabilità. Se una persona non vedente viaggia da sola in treno o in autobus, magari con un iPad su cui legge, scrive e interagisce, chi osserva può non comprendere che le cuffie non servono a sentire la musica, ma ad ascoltare ciò che legge e scrive e che dunque non ci si trova di fronte a un “falso cieco”.
Ma quanti conoscono, ad esempio, la differenza tra cecità e ipovisione? L’ipovisione è anche detta “cecità parziale” o “con residuo”, ed è tale quando si abbia un decimo di vista al massimo, compresa l’eventuale correzione con lenti; un cieco parziale può essere in grado di fare molte cose anche impensabili, ma la comunicazione ufficiale mostra poco o nulla quali siano queste semplici capacità, o piuttosto le demonizza.
Oltre ai contenuti, è necessario poi approfondire anche la modalità di fruizione degli stessi da parte delle persone con disabilità, essendo l’accesso all’informazione e alla comunicazione un diritto sancito sia dalla Legge 67/06 contro le discriminazioni, sia dall’articolo 30 (Partecipazione alla vita culturale e ricreativa, agli svaghi ed allo sport) della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, secondo cui «gli Stati riconoscono il diritto delle persone con disabilità a prendere parte su base di uguaglianza con gli altri alla vita culturale e adottano tutte le misure adeguate a garantire alle persone con disabilità l’accesso a programmi televisivi, film, spettacoli teatrali e altre attività culturali, in formati accessibili».
Ebbene, i suddetti «formati accessibili» sono relativi sia all’aspetto tecnico dei dispositivi per la fruizione – quindi televisione, radio, dispositivi mobili come smarthphone, tablet e tecnologie web – sia ai contenuti e ai servizi erogati (contenuti web, contenuti televisivi e radiofonici, cinematografici ecc).
Nel caso specifico della disabilità visiva, è sottinteso che la mancanza della vista è compensata da tatto e udito, e quest’ultimo è fondamentale per l’utilizzo di strumenti visivi come la TV e i dispositivi elettronici e digitali.
In sostanza, per fruire dei contenuti televisivi, è importante che ci sia un riscontro sonoro esaustivo, cosa che si risolve con le audiodescrizioni, purché siano di facile accesso. Il cosiddetto switch off, ovvero il passaggio del segnale televisivo da analogico a digitale, se da un lato ha offerto la possibilità di istituire il secondo canale audio dedicato alle audiodescrizioni, ha però aperto nuove barriere, legate alla completa ingestibilità del decoder, e in particolare dei menù a video e dei telecomandi che sono pieni di pulsanti incomprensibili da parte di chi non vede, ma anche da parte delle persone anziane e “poco tecnologiche”.
Peccato, poi, che proprio nel menù per la selezione Lingua del digitale terrestre e satellitare, sia “nascosto” il secondo canale audio dedicato alle audiodescrizioni per non vedenti, difficile da scovare, dipendendo da marca e modello di televisore e telecomando.
In tal senso, più volte abbiamo chiesto ai principali operatori televisivi del settore privato e pubblico, invitati in audizioni tenute presso il tavolo del CNU (Consiglio Nazionale Utenti), se tra le iniziative adottate a favore di persone cieche e ipovedenti vi fossero trasmissioni audiodescritte. A nessun operatore privato risulta che la propria emittente eroghi un tale servizio, unica prerogativa della RAI, che in quanto rete pubblica è vincolata dal Contratto di Servizio a un numero non ben definito di trasmissioni audiodescritte, che attualmente non supera le dieci a settimana (di cui sette per una sola fiction), nell’intera programmazione tra film, telefilm e fiction. Audiodescrizioni, tra l’altro, che talvolta sono anche di qualità tecnica discutibile.
Per quanto poi riguarda i sottotitoli, la cosa sembra essere più sentita, sebbene risultino sicuramente pochi e scarsi per i diretti interessati, ovvero le persone sorde.
Vale la pena a questo punto ricordare che – sempre da Contratto di Servizio – la RAI avrebbe dovuto garantire l’accessibilità dei decoder, fin dal momento della progettazione, ciò che invece non è mai stato fatto. A tal proposito, comunichiamo con soddisfazione che siamo stati ricevuti nel gennaio scorso dai direttori responsabili per le tecnologie della RAI e del Centro di Ricerche RAI, ai quali abbiamo sottoposto il problema, richiedendo una soluzione tecnica, ovvero un decoder supportato da un sistema di TtS (Text to Speech), che risolverebbe il silenzio tra la digitazione dei tasti del telecomando e ciò che appare a video.
Il protocollo del TtS fu proposto nel 2009 dal Forum Europeo della Disabilità (EDF) e ci risulta che sia il Regno Unito che la Spagna si siano attivati per la progettazione e realizzazione di decoder parlanti. Non si tratta, del resto, di una soluzione fantascientifica: sia i computer che i dispositivi mobili come smartphone e tablet (o per lo meno alcune marche) sono forniti infatti di tecnologie assistive vocalizzanti, che permettono alle persone non vedenti e ipovedenti di utilizzarli. Ma l’accessibilità e l’usabilità di questi strumenti non è sempre garantita, pur essendo operative sia le sopracitate Leggi che la Legge 4/04, meglio nota come “Legge Stanca”, che definisce regole tecniche per la corretta interazione di tali strumenti con le tecnologie assistive e i contenuti del web.
Il percorso è lungo e c’è, purtroppo, ancora tanto da fare. È tanto importante diffondere informazioni corrette e sensibilizzare tutti i cittadini, e io non finisco di stupirmi di quanti vedenti non sappiano nemmeno che noi, persone con disabilità visiva, siamo in grado di usare un PC, uno smartphone,un tablet ecc.
La corretta comunicazione di tali argomenti a livello istituzionale è certamente fondamentale, ma molto efficace è la pubblicazione ampia delle problematiche sui media più diffusi. Ho avuto prova diretta che quando si porta un documento a un tavolo tecnico, esso viene letto dai membri del gruppo di lavoro e da pochi altri, e le cose restano ferme per molto tempo. Mentre invece quando una notizia viene data in televisione, in radio o esce su un quotidiano molto diffuso, allora può accadere che qualcuno si senta punto nel vivo delle proprie competenze e il problema venga affrontato a livello generale una volta per tutte.
Un’ultima riflessione riguarda la responsabilità dei media rispetto alle informazioni concernenti le persone con disabilità, e più esattamente quale sia il messaggio che passa nelle case degli italiani. Mi riferisco in particolare al modo in cui vengono trattate le notizie riguardanti i cosiddetti “falsi invalidi”, tramite vere e proprie “campagne” che, se condotte malamente, rischiano di danneggiare proprio gli invalidi veri, accusati spesso di essere “falsi”, semplicemente perché hanno raggiunto un livello di autonomia tale da riuscire ad attraversare la strada, inserire la chiave nella serratura, mandare e-mail, avere un account Facebook, vivere da soli, prepararsi da mangiare o riuscire a innaffiare il piccolo giardino di casa. Spesso si tratta di persone cieche con residuo visivo, anche minimo o laterale, che comunque permette loro di svolgere delle piccole attività con tanta fatica e coraggio, e che si trovano costrette ad andare in tribunale a dimostrare la loro innocenza. La notizia dell’eventuale loro assoluzione “perché il fatto non sussiste” non viene però mai resa pubblica nei TG e neppure sui giornali né tanto meno con gli stessi titoli ad effetto con cui erano stati sbattuti in prima pagina.
E concludo con un’ultima provocazione: i “veri falsi invalidi” hanno ottenuto certificati fasulli e benefìci economici grazie all’appoggio di Commissioni Medico-Legali corrotte presso le ASL e l’INPS: perché allora non vengono mai menzionati i nomi dei medici e dei funzionari che hanno firmato e sono stati complici di malefatte?
Consigliera dell’ADV (Associazione Disabili Visivi), con delega per le Problematiche ITC (Information and Communication Technology) per la stessa ADV e per la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), presso i tavoli del Consiglio Nazionale Utenti, AgCom, Sede Permanente del Segretariato Sociale RAI e Commissione Parlamentare di Vigilanza RAI. Il presente testo costituisce il riadattamento della relazione intitolata “I media: strumento di inclusione e di esclusione sociale per le persone con disabilità visiva” e presentata il 10 marzo 2015 a Roma (se ne legga anche su queste pagine), durante l’incontro dedicato al Rapporto 2012 “Disabilità e media. La rappresentazione delle persone con disabilità nel sistema italiano dell’informazione”, curato dalla Fondazione Giacomo Matteotti di Roma, con il contributo della Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo.
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