«Vorrei essere nato al contrario per poter capire questo mondo storto» (Jim Morrison): certo che Jim Morrison non aveva tutti i torti; infatti, il mondo va spesso al contrario di come dovrebbe essere e per cercare di capire dovremmo andare anche noi storti!
Fra le cose, poi, che tendono spesso ad andare al contrario, vi sono quelle prodotte da chi non guarda al di là del proprio mondo e difficilmente si pone realmente un problema che riguarda i cittadini, soprattutto i cittadini più deboli, che non hanno armi per difendersi, o che comunque le armi che possiedono, chissà perché, non feriscono nessuno…
Della cosiddetta “Legge Delrio” (Legge 56/14, Disposizioni sulle Città Metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni), in molti avranno sentito parlare, ma chissà se sono così noti anche i problemi che essa sta causando ai ragazzi con disabilità i quali hanno, come tutti, il diritto di andare a scuola e di costruirsi un futuro. Quella norma, infatti, ridisegna confini e competenze dell’Amministrazione Locale, superando dunque – nell’àmbito di cui parliamo – il Decreto Legislativo 112/98, che all’articolo 139, comma 1 c, aveva conferito alle Province l’incarico di garantire assistenti educativi e della comunicazione (AEC). Il supporto di queste figure risulta essenziale in caso di alunni sordi, non vedenti, ipovedenti o con pluriminorazioni, e il loro ruolo è espressamente previsto dalla Legge Quadro 104/92. Inoltre, sempre le Province dovevano assicurare in maniera del tutto gratuita il trasporto scolastico ai ragazzi con disabilità nelle scuole superiori.
Ora, con l’abolizione delle Province, sta accadendo che le Amministrazioni si stiano rendendo protagoniste di un “tira e molla” del Decreto e del trasporto scolastico, senza decidere a chi spetti la responsabilità di garantire queste competenze e servizi.
Sembra dunque sia bastata una firma per rischiare di cancellare anni di sacrifici di volontari che seguono i disabili, i sacrifici di chi ha lottato per far valere i loro diritti e per l’integrazione, oltreché degli insegnanti di sostegno, ma soprattutto rischiando di cancellare i sacrifici delle famiglie e dei ragazzi stessi che vogliono gridare al mondo: «Ci sono anch’io!».
«Ci sono anch’io!» nel lavoro, nel mondo della cultura, «ci sono anch’io con i miei sogni!» e «ci sono anch’io nella società!»; un coro di «ci sono anch’io!» troppe volte ignorato, poiché è più facile tapparsi le orecchie che ascoltare: soprattutto quando ascoltare richiede impegno e non solo tempo.
Eppure basterebbero poche ore per mettersi a tavolino e trovare una soluzione, basterebbe che qualcuno con un po’ di buon senso si prendesse l’incarico di gestire questi servizi che non sono capricci, e soprattutto non sono facoltativi, ma sono obbligatori: forse, però, non tutti sanno cosa significhi la parola “obbligatori”…
Quand’è che i cosiddetti “normali” scenderanno dal loro piedistallo e cominceranno a guardare il più debole, non con gli occhi della pietà – perché nessuno chiede la pietà – ma solo con gli occhi di chi si cala nelle difficoltà degli altri e tende la mano senza alcun tornaconto?
Se potesse servire, parlerei di una bambina che conosco e che con i suoi occhi spenti e il suo sorriso illumina chi le sta accanto. Parlerei della sua voglia di scoprire cose nuove, di giocare, della voglia di imparare e di quanta gioia di vivere abbia dentro di sé. Lei che differenze non le fa, che considera tutti quanti uguali, lei che sta imparando a guardare il mondo con le sue piccole mani, non conosce le brutture di cui si rende artefice l’uomo, non sa che ragazzi ora più grandi hanno dovuto chiudere i libri e sogni nel cassetto, sperando che alla fine qualcuno si accorga di loro.
Lei non sa che esiste la “sala dei poteri” dove vivono alcuni uomini, non sa che lì non si respira aria buona, ma solo fame di gloria e menefreghismo.
Ma chissà, forse quando inizierà a diventare donna e abbandonerà i suoi giocattoli in qualche grosso baule, anche la società dei ricchi avrà abbandonato il suo egoismo e avrà smesso di dire e pensare: “Tanto, che importa a me?».