Sono costretto a tornare a difendere le scelte operate dalla Proposta di Legge C-2444 (Norme per migliorare la qualità dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con altri bisogni educativi speciali), sostenuta da FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali di Persone con Disabilità) e riguardante il miglioramento dell’inclusione scolastica.
Stavolta l’attacco – invero non nuovo, ma molto efficace – viene dal professor Dario Ianes, con l’articolo intitolato Buoni gli obiettivi, ma sbagliati i mezzi, pubblicato nei giorni scorsi su queste stesse pagine, in cui si afferma che quella Proposta di Legge ha obiettivi condivisibili, ma mezzi sbagliati.
Gli obiettivi condivisibili sarebbero sostanzialmente la formazione iniziale e obbligatoria in servizio dei docenti curricolari sulle didattiche inclusive, apprezzata anche dalla Fondazione Agnelli in una sua recente audizione alla Camera sul Disegno di Legge governativo della Buona Scuola. Il mezzo sbagliato, invece, sarebbe fondamentalmente costituito dalla scelta di una formazione e di ruoli separati per i futuri docenti specializzati.
Il professor Ianes, dunque, dopo avere riassunto i contenuti della Proposta di Legge C-2444, concernenti il curricolo formativo dei futuri docenti specializzati, sostiene che tale separazione faciliterebbe la delega dei docenti curricolari a quelli per il sostegno. E qui non ci siamo.
Infatti, quella Proposta di Legge contiene una serie di misure che tendono a rafforzare sia le competenze degli insegnanti curricolari che di quelli specializzati per il sostegno. Non bisogna dimenticare che nell’articolato di quel testo – ciò che sembra già essere stato recepito nel Disegno di Legge sulla Buona Scuola – sono previsti corsi di formazione obbligatoria in servizio, all’inizio dell’anno, di almeno 25 ore, sulle disabilità o altri bisogni educativi specifici per tutti gli insegnanti, ed è questo, a nostro avviso, il miglior antidoto contro il processo di delega.
Quanto poi alla formazione iniziale, la Proposta di Legge prevede che tutti i futuri insegnanti debbano seguire almeno un semestre accademico, ossia 30 CFU [Crediti Formativi Universitari, N.d.R.] sulle tematiche dell’inclusione. Questo già è previsto per i futuri docenti della scuola primaria e dell’infanzia, ma non per quelli delle superiori, i cui corsi abilitanti all’insegnamento prevedono solo 6 CFU dedicati a ciò.
Una volta rafforzate quindi le competenze dei docenti curricolari, si propone un percorso specifico potenziato rivolto ai futuri docenti specializzati per il sostegno didattico. Nel dettaglio, si prevede un percorso unico o parallelo, di durata triennale, nei corsi di laurea in Scienze della Formazione Primaria. Al terzo anno, gli studenti potranno scegliere se specializzarsi nel sostegno o proseguire nel percorso ordinario.
Senza scendere in specificità tecniche, è intuitivamente comprensibile come alcuni insegnamenti potranno costituire un ulteriore approfondimento per i docenti curricolari, mentre altri serviranno a coloro che vorranno specializzarsi nel sostegno. Per fare un esempio, non sarà certo l’eliminazione dell’esame di “Letteratura italiana” – scorrendo i piani di studio attualmente in vigore – che potrà minare la formazione di un docente di sostegno, ma tale esame potrà continuare a costituire il bagaglio formativo del docente di scuola primaria o dell’infanzia, come oggi avviene.
I docenti specializzati avranno invece approfondito una serie di aspetti che non è possibile affrontare in un corso di base generalista. Riscontriamo infatti l’inadeguatezza dell’attuale preparazione, quando i docenti per il sostegno si trovano a fronteggiare alcune disabilità gravi e/o specifiche. Tale è ad esempio il caso delle disabilità sensoriali (cecità e sordità in particolare), per le quali occorrono preparazioni adeguate (conoscenza del Braille, per dirne una), che non possono essere approfondite in un solo anno di corso insieme a tante altre; oppure il caso dell’autismo o di altre forme di disabilità intellettiva (sindrome di Down ecc.).
Si chiede insomma di approfondire la pedagogia e la didattica speciale (non gli aspetti clinici) in maniera adeguata, senza però tralasciare l’impostazione di base e quell’impianto generale di conoscenze che deve restare patrimonio di ciascun docente. Ciò sarà possibile dal momento che nei primi tre anni universitari tutti studieranno pedagogia generale e didattica delle singole discipline, lingua italiana, lingue straniere, storia e geografia, matematica e scienze, tecnologie ecc. Nei due anni di specializzazione, invece, si dovrebbero studiare didattiche speciali, con una particolare attenzione alla capacità di saper rispondere ai bisogni educativi speciali derivanti da diverse situazioni di disabilità: ciechi, sordi (oralisti e segnanti), alunni con sindrome di Down, con autismo, con disabilità intellettive complesse o con disabilità motorie ecc., mettendosi in condizione di collaborare con i colleghi curricolari per la realizzazione di strategie didattiche inclusive, come l’insegnamento cooperativo, il lavoro per piccoli gruppi, la “classe capovolta” (flipped classroom), la ricerca-azione e così via. Nell’ultimo anno abilitante, infine, essi svolgerebbero tirocinio diretto e indiretto su singoli casi.
Lo stesso, poi, dovrebbe accadere anche per i corsi abilitanti all’insegnamento per la scuola superiore. Dopo la laurea triennale – che fornisce i requisiti di conoscenza della disciplina – seguirà un biennio di specializzazione sulla pedagogia e la didattica speciale, per poi proseguire con l’anno di tirocinio formativo attivo da svolgere in contesti inclusivi. Ciò permetterà a questi insegnanti di mantenere una cultura professionale di docenti e di acquisire un linguaggio e una mentalità che consentirà loro di dialogare con i colleghi curricolari, per saper mediare l’insegnamento delle discipline curricolari e l’apprendimento delle stesse da parte degli alunni con disabilità e tra questi e i loro compagni. I docenti specializzati dovranno insomma anche essere i mediatori a livello didattico dell’inclusione tra gli insegnanti curricolari e gli alunni con e senza disabilità.
Lungi quindi dal facilitare la delega nei loro confronti da parte dei docenti curricolari, e quindi l’isolamento degli alunni con disabilità, essi diventerebbero uno snodo indispensabile e fondamentale per l’inclusione.
La proposta da tempo sostenuta da Dario Ianes [se ne legga ampiamente anche su queste pagine, N.d.R.] circa la restituzione dell’80% dei docenti per il sostegno ai ruoli disciplinari, sembra poco realistica, sia perché, in tempi in cui il Ministero riduce il numero dei docenti, si avrebbe un aumento del 10% circa dei docenti curricolari, anche se specializzati (circa 80.000 docenti per il sostegno su circa 800.000 curricolari), sia anche perché il 90% dei docenti curricolari rimarrebbero del tutto impreparati a gestire direttamente alunni difficili che si erano abituati a delegare ai soli insegnanti per il sostegno.
Credo quindi che solo dopo una generale e lunga formazione seria e approfondita sulle didattiche inclusive dei docenti curricolari, questa ipotesi potrebbe essere presa in considerazione.
Per quanto poi riguarda la parte complementare della proposta di Ianes, di formare con il restante 20% di docenti specializzati gruppi di consulenza itineranti, anch’essa mi sembra poco realistica, stante l’attuale assoluta impreparazione dei docenti curricolari sulle didattiche inclusive, dal momento che tali gruppi potrebbero incontrare le singole classi solo per un paio d’ore alla settimana, con discreti costi di spostamento e con possibili resistenze psicologiche da parte dei colleghi curricolari.
E ancora, c’è l’ipotesi del Coordinamento Insegnanti Bis-abili, cioè con mezza cattedra curricolare e mezza per il sostegno, rilanciata dallo stesso Ianes. Essa, però, mi sembra in palese contrasto con la Proposta di Legge C-2444 da noi sostenuta, che intende realizzare la continuità didattica con i ruoli appositi per il sostegno, ciò che invece verrebbe reso difficoltoso o impossibile se gli alunni con disabilità avessero ciascuno più di un docente per il sostegno e per talune discipline curricolari. Infatti, ognuno sa quanto la presenza di più docenti per il sostegno o curricolari per la stessa disciplina disorienti gli alunni, specie quelli con disabilità intellettive complesse; non per nulla si è riusciti a fare abrogare dall’articolo 15 della Legge 128/13 le aree disciplinari per il sostegno nelle scuole superiori, che comportavano talora la presenza di tre o quattro docenti per il sostegno con lo stesso alunno.
Giustamente osserva Ianes che bisogna guardare più ai risultati (alla buona qualità inclusiva) che ai mezzi (numero delle ore di sostegno). Ebbene, i risultati nell’attuale sistema del sostegno sono in troppi casi negativi per discontinuità e totale delega dei docenti curricolari. Vedremo se la nostra ipotesi riuscirà a produrre risultati migliori per la qualità dell’inclusione, lavorando anche sugli indicatori di qualità concordati tra famiglia, docenti per il sostegno e docenti curricolari, che finalmente prenderanno in carico il progetto inclusivo, ovviamente pretendendo il rispetto del Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) 81/09, che fissa a venti il numero massimo di alunni nelle classi frequentate da studenti con disabilità, proprio per favorire – con un minor numero di alunni – tale presa in carico.
Mi sembra dunque che la figura di docente per il sostegno che emerge dalla Proposta di Legge da noi sostenuta sia pienamente in linea con lo stato giuridico e le funzioni per esso previste dalla normativa vigente. Infatti, quanto allo stato giuridico, essa risponde pienamente al dettato dell’articolo 13, comma 6 della Legge 104/92, secondo il quale il docente specializzato assume a tutti gli effetti la contitolarità della classe e partecipa a tutte le attività di programmazione e di verifica in essa previste. Quanto poi alle funzioni, specie quella valutativa, la Proposta di Legge è in linea con gli articoli 2, 4 e 6 del DPR 122/09 i quali stabiliscono che il docente per il sostegno valuti tutti gli alunni della classe sotto il profilo degli apprendimenti in generale, della crescita nella comunicazione reciproca, della socializzazione e delle relazioni.
A questo punto, in conclusione, vorrei sperare che anche il professor Ianes – preso atto di quanto ho cercato di chiarire – ci aiutasse a fugare vere e proprie “leggende metropolitane”, come quella secondo cui la Proposta di Legge C-2444 vorrebbe un futuro docente specializzato più in aree sanitarie o assistenziali che in quelle della didattica.