Comincia già a dare i primi frutti concreti la campagna itinerante denominata Sono malato anch’io – La mia salute è un bene di tutti, iniziativa avviata la scorsa settimana dal Tribunale per i Diritti del Malato di Cittadinanzattiva, in occasione del trentacinquennale dalla sua fondazione che – come abbiamo ampiamente riferito in altra parte del giornale – attraverserà tutta l’Italia, facendo tappa in ventitré diverse città – Campobasso, Napoli, Taranto, Ascoli Piceno, Sulmona (l’Aquila), Prato, Roma, Genova, Acqui Terme (Alessandria), Aosta, Varese, Terni, Bolzano, Trento, Vicenza, Udine, Bologna, Cagliari, Potenza, Catanzaro, Messina, Catania e Palermo – sino alla fine del mese di ottobre.
In questi giorni, infatti, che vedono Napoli al centro dell’iniziativa, si è avuto modo di verificare la situazione a dir poco carente dell’Ospedale San Giovanni Bosco, rispetto alla quale il Tribunale per i Diritti del Malato, con le parole del suo coordinatore nazionale Tonino Aceti, ha chiesto «un immediato intervento agli Ispettori del Ministero della Salute, ai NAS (Nuclei Antisofisticazione e Sanità) dei Carabinieri e ai Vigili del Fuoco, per verificarne la sicurezza, l’effettiva igiene e il rispetto dei diritti dei cittadini».
È effettivamente «una situazione che supera ogni immaginazione», quella denunciata dall’organismo di Cittadinanzattiva, che in una nota parla di «un servizio di pronto soccorso svolto senza alcun triage [smistamento dei pazienti a seconda della situazione di gravità, N.d.R.], con un flusso di accesso gestito da un numero notevole di guardie giurate private».
«Le barelle e le persone – prosegue la nota – sono accalcate in uno spazio esiguo, senza alcuna attenzione alla dignità della persona e i pazienti sono separati, nella migliore delle ipotesi, da teli sistemati alla meglio tra i letti e le barelle stesse. E ancora, le provette degli esami del sangue sono alla mercé di chiunque, e sin dall’ingresso, ove si trova una pavimentazione danneggiata e rischiosa, sembra che i cittadini siano “ospiti sgraditi”. Oltre a tutto ciò, nei reparti gli operatori sanitari non sono identificabili perché, nonostante una legge li obblighi, non hanno alcun cartellino di riconoscimento, così come è del tutto intollerabile che gli operatori fumino nei reparti stessi».
«In generale – concludono dal Tribunale per i Diritti del Malato – la struttura sembra a rischio, vista la presenza di numerose crepe, macchie di umidità dovute a infiltrazioni di acqua, fili elettrici scoperti, nonché muri esterni picchettati, per evitare che gli intonaci possano cadere sui pazienti o sui visitatori. Non è accettabile, infine, che i gas medicali, nel Reparto di Psichiatria, non siano collegati all’impianto di distribuzione, ma garantiti con bombole “parcheggiate” all’interno del reparto, in cui tra l’altro, come detto, si fuma».
Cittadinanzattiva non ne fa menzione, ma da parte nostra non vogliamo nemmeno pensare come, in situazioni di tale degrado – che purtroppo non sono nemmeno rarissime – si potrebbe far rispettare un documento come la Carta dei Diritti delle Persone con Disabilità in Ospedale, presentata nel 2013 e che alcune meritorie organizzazioni stanno faticosamente cercando di diffondere nelle strutture sanitarie del nostro Paese…
Ma tornando alla denuncia riguardante l’Ospedale San Giovanni Bosco di Napoli, «dopo tutto quello che pagano in termini di ticket, IRPEF e servizi non erogati – annota Aceti – non è accettabile che i cittadini campani debbano ricevere un’assistenza qualitativamente così scarsa e pericolosa. E pertanto, mentre le Regioni e il Governo si preoccupano di come gestire i tagli che loro stessi hanno deciso, è ora di affrontare le vere emergenze, come queste. Pur apprezzando, poi, l’impegno annunciato dal neo insediato Direttore Sanitario del San Giovanni Bosco di voler garantire il triage entro settembre e anche una ristrutturazione, resta l’urgenza di garantire standard essenziali per la sicurezza delle cure». (S.B.)
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