Gentilissima Signora Rosa Mauro [il riferimento è al testo da noi pubblicato nei giorni scorsi, con il titolo “Quel che chiedevo sull’autismo”, N.d.R.], ritengo che lei, come moltissime altre persone genitori o parenti di persone con autismo, non faccia parte attiva di un’Associazione che opera a livello nazionale e regionale, perché se così fosse saprebbe che sul tema dell’inclusione lavorativa e sociale delle persone con autismo e in generale con disabilità, dopo il compimento dei 18 anni, vi sono già da tempo iniziative per migliorare drasticamente il quadro giuridico e la situazione reale.
Personalmente, in rappresentanza della FISH Emilia Romagna (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e in seno alla Commissione Regionale comprendente datori di lavoro privati, cooperative, sindacati ed esperti, ho dato un contributo e una sollecitazione perché le norme sul tirocinio lavorativo prevedessero la possibilità di un rapporto di lavoro speciale, come quello che Enrico Montobbio [coautore, tra l’altro, di “Prova in altro modo. L’inserimentolavorativo socio assistenziale di persone con disabilità marcata”, N.d.R.] aveva attuato negli Anni Settanta, adatto cioè a sostituire le cosiddette “borse lavoro” che in Emilia Romagna e altrove venivano e vengono usate per includere nel mondo del lavoro “normale” persone che hanno bassa produttività e hanno talvolta bisogno di un tutoraggio continuo.
L’assessore della Regione Emilia Romagna Patrizio Bianchi e il suo apparato hanno accolto questa nostra esigenza e hanno provveduto celermente a fornire il quadro legislativo adatto: nell’autunno del 2013, infatti, il regolamento di attuazione della nuova Legge Regionale sul tirocinio lavorativo prevedeva già il tirocinio “di terzo tipo”, nel quale la durata dello stesso è praticamente illimitata, le ore lavorate possono essere anche inferiori alle dieci settimanali e la retribuzione può non essere presente. Le spese del tirocinio vengono poste inoltre a carico del fondo costituito dalle somme pagate dalle imprese che non assumono lavoratori con il collocamento obbligatorio, aumentando di molto – e non sostituendo – le disponibilità rispetto alla condizione precedente, dove Aziende Sanitarie e Comuni già erogavano somme notevoli per le borse lavoro.
Rimini, ad esempio, si è mossa subito e già alla fine del 2014 aveva realizzato oltre mille di questi tirocini, mentre il resto della Regione segnava il passo, accusando la Legge Regionale di «avere imposto troppo lavoro»: infatti, per istituire questi tirocini, è necessario preparare un piano di lavoro personalizzato, dare vita a una posizione lavorativa e ripetere l’operazione ogni due anni.
Proprio dall’Emilia Romagna, ma anche da altre Regioni, è arrivata una proposta alla Conferenza Stato-Regioni di istituire il tirocinio lavorativo “di quarto tipo”, approvata il 22 gennaio di quest’anno la quale, oltre ad accogliere la normativa “del terzo tipo” dell’Emilia Romagna, stabilisce che i compensi eventualmente dati a questi particolari lavoratori non facciano reddito a fini fiscali e non inneschino le procedure fiscali e contributive che si accompagnano al lavoro dipendente, riducendo il carico burocratico dell’Amministrazione e la paura di perdere il beneficio della pensione di invalidità civile.
Le Regioni, sovrane in materia, dovranno dunque accogliere nella loro legislazione l’accordo della Conferenza Stato-Regioni entro la metà di questo 2015.
Per altro, il 22 novembre 2012 la Conferenza Unificata aveva già approvato un Accordo Stato Regioni sull’autismo che prevedeva molte iniziative a favore degli adulti: per ora la Regione Marche ha recepito i contenuti in una Legge che adesso è in via di applicazione e alcune altre Regioni stanno lavorando perché quell’Accordo venga presto recepito con Leggi Regionali ad hoc.
Coloro che non partecipano alla vita delle Associazioni e non si informano rischiano di chiedere di fare norme che già sono esistenti, ma non ancora applicate. Altro rischio è quello di chiedere che una legge comprenda tutto e di più: infatti, il quadro nazionale è composito e dev’essere letto nel suo complesso.
Ad esempio, il Disegno di Legge sull’autismo approvato il 18 marzo scorso dalla Commissione Igiene e Sanità del Senato [Atto del Senato n. 344, “Disposizioni in materia di diagnosi, cura e abilitazione delle persone con disturbi dello spettro autistico e di assistenza alle famiglie”, N.d.R.], e ora verso l’approvazione anche alla Camera, è una Legge Quadro, perché una norma nazionale non può invadere una competenza regionale. E tuttavia, se la sua approvazione sarà veloce, darà modo al Ministero della Salute di definire i Livelli Essenziali di Assistenza specifici sull’autismo (sanitari e sociosanitari ad elevata integrazione) entro il prossimo mese di giugno, obbligando così le Regioni a tenersi al di sopra di quanto ivi stabilito e finanziato con la quota capitaria.
Sarà poi il Disegno di Legge in discussione alla Camera, di cui è relatrice la deputata Elena Carnevali, sul cosiddetto “Dopo di Noi” per tutte le persone con grave disabilità, come anche quelle con autismo, a dover dare una risposta a questa enorme esigenza.
E ancora, il noto Disegno di Legge governativo sulla cosiddetta Buona Scuola ha incorporato il testo che insieme al Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, le Federazioni FISH e FAND [rispettivamente Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap e Federazione tra le Associazioni Nazionali di Persone con Disabilità, N.d.R.] avevano preparato sull’inclusione scolastica e anche quello di cui è relatrice la senatrice Francesca Puglisi sulla “Scuola 0-6” [“Disposizioni in materia di sistema integrato di educazione e istruzione dalla nascita fino ai sei anni e del diritto delle bambine e dei bambini alle pari opportunità di apprendimento”, N.d.R.].
Né vanno dimenticate buone esperienze come quelle promosse dalla Fondazione Agnelli e condotte dall’Ufficio Scolastico Regionale dell’Emilia Romagna, in collaborazione con l’ANGSA (Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici), descritta nel libro recentemente pubblicato da Erickson, con il titolo Il Progetto dei 300 giorni. Autismo in adolescenza tra ricerca e sperimentazione.
Di questo quadro complesso si è data anche notizia nel bollettino dell’ANGSA «Obiettivo Autismo», stampato poco prima dell’approvazione, il 18 marzo, del citato Disegno di Legge sull’autismo.
Voglio infine ricordare che i Disegni di Legge diventano Leggi che poi vanno applicate davvero, cosa non facile in un Paese come il nostro, dove la burocratizzazione dell’apparato pubblico, che vive nel culto della prassi consolidata, rischia di rallentare ogni novità.
In conclusione, riferendomi all’ultima parte del suo testo, Signora Mauro, ricordo che già da dieci anni esiste a Milano il Progetto DAMA (Disabled Advanced Medical Assistance, ovvero “Assistenza medica avanzata per le persone con disabilità”), ripreso in altre città della Lombardia (Mantova, Varese), a Bologna, per l’interessamento dell’ANFFAS (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale), dell’ANGSA, dell’AIAS (Associazione Italiana Assistenza agli Spastici) e di altre Associazioni, e anche in altre parti d’Italia.
Tale iniziativa non si basa su una Legge approvata dal Parlamento, ma sulla buona volontà e sul buon senso. Se applicata ovunque, garantirebbe il buon trattamento delle persone con autismo all’interno dell’ospedale e nell’iter ambulatoriale, fin dal loro ingresso. Va tuttavia sottolineato che ad evitare situazioni come quella da lei descritta [un ragazzo con disabilità ricoverato in ospedale, che non ha mai smesso di urlare per tre notti, senza che nessuno lo aiutasse, con le infermiere che ne parlavano con fastidio e irritazione, N.d.R.], svolgono un ruolo importante la corretta conoscenza e la coscienza. Esistono infatti in molti ospedali protocolli riguardanti la “corretta” accoglienza e degenza della persona con autismo; il problema, semmai, è l’applicazione degli stessi.
Ricordando, per altro, che l’Azienda Sanitaria di Bologna – dopo essersi resa conto che se il DAMA fosse stato esteso a tutte le persone con disabilità grave, sarebbe letteralmente “saltato” il sistema delle prenotazioni degli altri pazienti, già ora sottoposti a lunghissime liste d’attesa – ha deciso di restringere il sistema alle persone con disabilità grave presente sin dall’età infantile e giovanile, escludendo quelle con disabilità sopraggiunta in età anziana (ad esempio da malattia di Alzheimer).