Caro Carlo Hanau, appena poche settimane fa, come ricorderai, abbiamo avuto modo di confrontarci de visu su questioni molto importanti e attuali che riguardano l’autismo in generale, e, più in particolare, la difficile condizione che vivono le persone autistiche adulte.
Apprezzo molto, come sai, la lucidità e il rigore intellettuale dei tuoi interventi. Lo stesso tuo ultimo articolo – pubblicato qualche giorno fa da «Superando.it» [“Non mancano le iniziative per l’autismo in età adulta”, N.d.R.] aiuta, sicuramente, ad accrescere la conoscenza di alcuni aspetti di questa complessa problematica, facilitando una riflessione e un approfondimento che riguardano da vicino tutti noi, nessuno escluso.
Ciò detto, consentimi, in questa breve nota, di rilevare che l’avverbio “infine”, che collochi (come sembrerebbe ovvio) quasi a conclusione del tuo contributo, mi lascia quanto meno perplesso. In altre parole, quando scrivi: «Voglio infine ricordare che i Disegni di Legge diventano Leggi che poi vanno applicate davvero, cosa non facile in un Paese come il nostro, dove la burocratizzazione dell’apparato pubblico, che vive nel culto della prassi consolidata, rischia di rallentare ogni novità», davvero pensi che questa affermazione sia così residuale, rispetto al resto del tuo ragionamento, invece che costituirne quasi la premessa?
No, Carlo, il vero problema – purtroppo – è che molte, troppe, disposizioni esistono solo sulla carta e in questo modo – piaccia o non piaccia ai cultori dei cosiddetti “diritti esigibili” – non possono essere oggetto di rivendicazione “reale, concreta e vera” da parte delle famiglie (e potrei farti un lungo elenco di leggi “stupende”, ma inapplicate o applicate molto parzialmente, in questo originalissimo Paese che è l’Italia. Ma non credo che sia questa la sede giusta per presentare quello che altrimenti si configurerebbe come un vero e proprio cahier de doleances).
Consentimi altresì di sottolineare che non possiamo e non vogliamo accontentarci di leggi applicate (quando applicate) “a macchia di leopardo”. Mi chiedo e ti chiedo: abbiamo fino in fondo chiaro che a fronte di realtà virtuose come quelle che correttamente citi nel tuo articolo, esiste invece, in vaste aree del territorio nazionale – la maggioranza? – una grande arretratezza e un vergognoso abbandono e degrado? Eppure gli autistici, non prenderla come una battuta, non scelgono di nascere (e vivere) in un posto piuttosto che in un altro…
E anche sulla scuola, Carlo, avrei molto da dire. A me questa riforma (?), quella della cosiddetta Buona Scuola, non piace affatto, a cominciare dal nome stesso, e nemmeno per la parte che ci riguarda più direttamente. Sembra poi che non sia simpatica neanche a centinaia di migliaia di insegnanti e operatori scolastici, compresi molti docenti di sostegno. Ci sarà un motivo? E se c’è, la cosa non mi sembra irrilevante, checché ne pensi il sottosegretario all’Istruzione Faraone, che non perde occasione di esaltarne addirittura la “portata storica”.
Ho notato che in internet molti post, soprattutto recenti, recano titoli accattivanti, che quasi sempre mettono al centro la parola “Persona”. Questo deve però interrogarci sulla nostra effettiva capacità di dare contenuto all’espressione e, con esso, risposta concreta ai bisogni delle persone autistiche: tutte le persone, di tutte le età, ovunque siano e qualunque sia la loro condizione.
La sfida che su queste stesse pagine ci proponeva Rosa Mauro era ed è (anche) questa: girarsi dall’altra parte o coglierne solo un pezzo, magari quello meno significativo, costituirebbe a mio parere un macroscopico errore.
Con i più fraterni saluti.
Padre di una persona adulta con autismo, insegnante e scrittore, autore del libro Mio figlio è autistico (Vannini, 2013).
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