Qualche tempo fa due giornalisti di rango come Massimo Fini e Maurizio Molinari [se ne legga su queste stesse pagine, N.d.R.] sono andati in conflitto, l’uno perché a causa della prossima cecità riteneva di non poter più lavorare, l’altro, più giovane, non vedente e costretto a trovare lavoro all’estero a causa della propria disabilità, perché non ha retto il nesso di causalità tra cecità e impossibilità di lavorare, sottolineato da Fini. «Con la sua scelta – aveva scritto Molinari – il signor Fini legittima quelli che hanno rifiutato di farmi lavorare. Non nasconda dietro l’handicap una sua libera scelta».
La condizione di disabilità, come altre condizioni della vita, mette le persone alla prova e, come detto, due sono le possibili risposte: rinunciare a sperimentare ogni percorso che indichi la via dell’autonomia; o darsi da fare, e molto seriamente.
Fabio Lotti e Marco Andreoli – economista non vedente l’uno, filologo ipovedente l’altro – hanno scelto questa seconda strada, mettendo a disposizione del pubblico le proprie competenze culturali, professionali e umane. In poche parole hanno lasciato che la propria disabilità ispirasse un modello di formazione e consulenza utile a tutti, senza distinzioni. Si tratta del Progetto Yeah!, nato all’interno della Cooperativa Sociale veronese Quid e specializzato sulla disabilità e sull’accessibilità dei servizi.
Qualche giorno fa è stato presentato sul palco del Gardaland Theatre, nell’omonimo parco divertimenti sul Lago di Garda, durante l’evento denominato Lanciati oltre i limiti e a supporto del messaggio sono intervenute alcune persone con disabilità che hanno raggiunto grandi risultati nello sport, nel lavoro e nell’impegno civile, raccontando la propria esperienza e testimoniando che i limiti per chiunque, con o senza disabilità, sono soprattutto mentali.
In particolare sono intervenuti Simone Salvagnin, atleta plurimedagliato di paraclimbing, non vedente e Urko Carmona Barandiaran, trentatreenne spagnolo campione del mondo nella stessa specialità e fortissimo scalatore su roccia, che nonostante l’amputazione di una gamba ha raggiunto risultati straordinari battendo atleti senza disabilità.
Si sono esibiti inoltre anche Elena Travaini e Anthony Carollo, lei che non ci vede e lui che in scena si benda, fondatori del Progetto Blindy Dancing – Danzare a occhi chiusi, maestri e non solo ballerini.
Nel logo del progetto, la lettera iniziale della parola Yeah!, la ipsilon, è stata trasformata graficamente in una fionda, proprio per indicare che quando qualcuno si lancia nella marea della “possibilità” forse rischia, ma sicuramente cresce. Lanciati oltre i limiti, come detto, è stato infatti il titolo della presentazione, perché chi ha una disabilità non è diverso, ma per guadagnare fette sempre più larghe di autonomia, deve sperimentare modalità spesso note solo a chi ha già vissuto l’esperienza (un’altra persona con la stessa disabilità, ad esempio).
Il fine che persegue il progetto, allora, è proprio quello di mettere in contatto la domanda di formazione, istruzione e tutoraggio e l’offerta di corsi (anche a domicilio o via Skype o in formula mista) che divulgano saperi e conoscenze.
Momentaneamente Yeah! Si rivolge alle persone con disabilità visiva, perché i fondatori hanno appunto questa disabilità. Ma nulla vieta che il modello di formazione possa essere replicato per altre forme di disabilità. Il concetto di formazione, inoltre, è rivolto anche a persone senza disabilità che vogliano imparare a mettersi correttamente in relazione con persone con bisogni speciali, tra cui le persone con disabilità . Perché l’accessibilità non si misura solo abbattendo le barriere architettoniche (o percettivo-sensoriali), ma anche rendendo fruibile un servizio.