Storia di camion e di amicizia, che fa stare bene

di Antonio Giuseppe Malafarina*
«Così è nata - racconta Antonio Giuseppe Malafarina - l’allegra, sincera e un po’ scanzonata amicizia fra una grande azienda automobilistica, ovvero alcuni suoi dipendenti, un camionista che non guida (Alberto Di Naso) e una famiglia piccola, ma enorme. Sono le persone che fanno le cose e quando le persone sono attente, le etichette svaniscono. Conta che c’è del bene. Che si fa del bene e questo fa stare bene»
Camion Mercedes e carrozzina vuota di Alberto Di Naso
Il “mastodonte della strada” che ha fatto felice Alberto Di Naso e la carrozzina vuota di Alberto, ai piedi del veicolo

Questa è una bella storia. Una storia di vita. Anzi, senza storia. È un bell’aneddoto. È il racconto di quanto è accaduto unendo una grande azienda, ovvero alcuni suoi dipendenti, e un ragazzo con disabilità inserito in una bella famiglia. Una di quelle famiglie dove la fatica dell’arrivare a sera si sente ma dove il sorriso è duro a morire. Certi sorrisi hanno la faccia tosta.

Mesi fa ho conosciuto Alberto Di Naso, ventiduenne della provincia lecchese, appassionato di camion. Anche di altre cose, ma per i camion la passione ha i canoni di una veemente “storia d’amore”. Alberto ha una famiglia fatta di due genitori e qualche zio. Ha studiato fino alle superiori e adesso lavora nella Cooperativa Florovivaistica Chopin.
A volte per muoversi usa la carrozzina, a volte non la usa affatto perché non ne ha bisogno o perché è letteralmente bloccato a letto per una delle crisi dell’emiplegia alternante, la rara malattia neurologica che lo accompagna dalla nascita [se ne legga una scheda in calce, N.d.R.]. Lo prendono così, lui le chiama “bloccamenti”, e se la passa maluccio per un tempo che può variare da alcuni minuti ad alcuni giorni.
Lui dice dell’emiplegia che è «una malattia molto rara e molto bastarda, che mi provoca molte difficoltà, motorie, visive e intellettive». E quando lo dice ci mette quella manciata di ironia che mi conquista. Ad Alberto bisogna stargli dietro. E la sua famiglia lo fa magnificamente.

Intervistando Alberto, l’anno scorso, mi resi conto che potevo fare qualcosa per lui. Così ho sentito Franco Gorletta, mio contatto in Mercedes-Benz che si occupa di veicoli commerciali, chiedendogli se avesse potuto mandargli del materiale illustrativo dei loro mezzi.
Passa del tempo e il buon Franco mi informa che ha scomodato i vertici del suo ramo dell’azienda che, nella persona di Enrico Ferraioli, responsabile del settore Marketing Trucks, faranno ad Alberto un regalo natalizio particolare.
Regalargli un TIR non è possibile, ma un modellino sì. A casa Di Naso Babbo Natale porta un modellino, alcuni volumi informativi e la promessa che non appena possibile faranno fare un giro al giovane camionista di fatto su uno dei loro camion migliori.
Alberto è entusiasta e la famiglia in festa. Diranno che è stato il più bel Natale mai vissuto. Ma non finisce qui. La generosità è un sentimento che non si estingue facilmente. Per chi lo pratica.
Qualche settimana, infatti, ed è il momento di mantenere la promessa. Uno sfavillante, nuovo quanto enorme, camion che in Mercedes usano a scopo dimostrativo, si troverà in Lombardia a fine gennaio. Per Ferraioli e Gorletta l’occasione è buona per portarlo da Alberto. Fra costi e difficoltà di manovra sulle piccole strade non è una leggiadra intrapresa. Ma ostinato è il desiderio di arrivare ai fatti.

È pomeriggio, piove ed Alberto non sa nulla. I suoi sì e non stanno nella pelle. Per l’emozione Alberto potrebbe avere uno dei suoi “bloccamenti”. Escono in strada con la scusa di una passeggiata e ad ogni autotreno in arrivo schiamazzano così tanto che Alberto immagina qualcosa di strano.
Finalmente il mastodonte giusto e Alberto racconta: «Ma che bello! Che grande che era! E poi si è fermato proprio davanti a me! Altissimo! Quel camion così grosso era arrivato proprio per me! Ero contentissimo, ma anche un po’ preoccupato, perché quando sono troppo emozionato mi può partire un “bloccamento”. E stava per arrivare, però, chissenefrega mi sono detto, non potevo certo farmi fregare dall’emiplegia alternante e perdermi quello spettacolo di camion!».
Mentre gli altri pensano a come issarlo in cabina Alberto monta come uno scoiattolo. Conosce il mezzo nei dettagli perché quando è amore è amore sul serio: lui sa tutto dei camion dove sale. Quello equivalente della Fiat, per esempio, è stato il pretesto per il suo libro Il convoglio di camion, dove racconta di un viaggio immaginario fatto in Sicilia a bordo del mezzo.
Roberto Spelta, istruttore di guida per questo tipo di veicoli, si mette al volante e insieme ci sono Enrico, un’amica di Alberto, e mamma Rosaria. Alberto se la prende comoda, chiede di stendere i piedi sul cruscotto, permesso concesso e mamma che inorridisce, lei che sulla sua macchina glielo vieta severamente (parola di figlio).

Il giro scorre agile, tanto che a terra Franco e il papà di Alberto se ne tornano in casa a prendere un caffè.
Qualche giorno dopo Franco mi racconterà del suo piacevole stupore per la lunghezza del giro, che, in mancanza di telefonate d’avviso, doveva star andando meravigliosamente. Enrico mi dirà dopo: «Non pensavamo fosse possibile ottenere un effetto così forte su una persona con il nostro lavoro. La mamma di Alberto mi ha scritto che lui non si dimenticherà mai del pomeriggio passato con noi… beh, neanche noi ce ne dimenticheremo mai. Non mi dimenticherò mai del momento in cui Alberto ha raccolto le forze ed è riuscito a salire da solo sul camion e del modo in cui ci ha detto “sono felice!”. Gli è uscito così dal profondo ed era così forte che mi si è impresso per sempre nella memoria e nel cuore».
Roberto confesserà: «Con la mia attività incontro tantissima gente, ma vedere Alberto quando siamo arrivati è stato emozionante. Spero di rincontrarlo e scambiarci opinioni sui veicoli perché in questo argomento è davvero fortissimo!».

Immensa la gratitudine dei Di Naso e »Un pensiero troppo global per quelli che distruggono a prescindere. Per quelli che devastano fra mazze ferrate e indifferenza.

P.S.: Ormai Alberto è invitato a tutte le manifestazioni che riguardano veicoli commerciali dove il marchio è presente. E lui non se ne perde una, naturalmente.

Il presente testo è già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “Un atteggiamento global è fare del bene”). Viene qui ripresa, con alcuni minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

Di Alberto Di Naso e anche del suo libro Il convoglio di camion, il nostro giornale ha già avuto più volte occasione di occuparsi (si vedano gli articoli segnalati qui in alto a destra).

La sindrome di emiplegia alternante
Grave malattia neurologica molto rara, cronica e invalidante, la sindrome di emiplegia alternante (AHC) è caratterizzata dall’esordio precoce di attacchi ricorrenti di emiparesi e tetraparesi, che vengono scatenati da fattori vari, come lo stress, le emozioni o i cambiamenti di temperatura. In tutti i pazienti è presente anche una disabilità motoria e intellettiva di grado variabile; nel 30% dei casi, inoltre, si riscontrano anche crisi epilettiche.
Patologia ancora assai poco conosciuta, scarsamente studiata e significativamente sottodiagnosticata, se n’è individuata nel 2012 l’origine genetica, consistente in un gruppo di mutazioni specifiche del gene ATP1A3. Per essa non esiste ancora una cura ed è una delle tante Malattie Rare non ancora riconosciute ai sensi del Decreto Ministeriale 279/01, ciò che comporta tuttora la mancanza di un codice di esenzione, necessario per la presa in carico dei pazienti da parte del Servizio Sanitario Nazionale.
Nel nostro Paese è attiva ormai da parecchi anni l’AISEA (Associazione Italiana per la Sindrome di Emiplegia Alternante).

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