La risposta alla prima domanda è già una sorpresa: «Esistono ancora le scuole speciali?». Sì. E non si tratta nemmeno di un fenomeno così residuale, come si potrebbe pensare. Solo in Lombardia, ad esempio, sono attivi 16 plessi, all’interno dei quali sono presenti 24 scuole speciali di cui cinque dell’infanzia, 17 primarie e 2 secondarie di primo grado. Esse sono frequentate, in totale, da quasi 900 tra bambini e ragazzi e nella maggior parte dei casi si tratta di scuole annesse a Centri di Riabilitazione, con la sola eccezione di un Istituto di Seregno, in provincia di Monza e Brianza. In totale, sempre parlando della Lombardia, si tratta del 3,8% del totale degli alunni con certificazione.
Sono questi alcuni dei dati che emergono dal libro L’attrazione speciale. Minori con disabilità: integrazione scolastica, scuole speciali, presa in carico, welfare locale (Maggioli Editore), pubblicato da Giovanni Merlo, direttore della LEDHA, la Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, che costituisce la componente lombarda della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).
Al centro del racconto, una storia fatta di assenze e presenze, di frustrazioni e speranze, la storia dei bambini che (ancora oggi) frequentano le scuole speciali in Lombardia. E anche la storia dei loro genitori che, nella maggior parte dei casi, valutano questa decisione come “la scelta migliore” per i propri figli, e non come “il male minore”. Una storia in cui lo sfondo risulta avere la stessa importanza dei personaggi in primo piano: a partire dall’immagine di quella “scuola per tutti” prevista ormai da quarant’anni dalla normativa italiana, che evidentemente così “per tutti” non è.
Il saggio – arricchito da diversi contributi, tra cui quelli di Salvatore Nocera, già vicepresidente nazionale della FISH della quale è oggi il presidente del Comitato dei Garanti, dello storico Matteo Schianchi e di Pietro Barbieri, già a lungo presidente nazionale della FISH e attuale portavoce del Forum Nazionale del Terzo Settore, che ne cura la prefazione – racconta un mondo poco conosciuto e dai contorni sfuggenti, quello delle scuole speciali, fenomeno opaco di cui si fatica a conoscere i contorni, anche legislativi, a partire dal fatto che non esiste una norma chiara e precisa che ne definisca obiettivi e finalità. Le scuole speciali, infatti, sono in un certo senso “fuori dalla legge”.
C’è poi una seconda domanda, attorno a cui ruota la costruzione stessa del libro: perché i genitori scelgono la scuola speciale per i propri figli? Una scelta che contrasta con quell’idea di “scuola per tutti” prevista dalla normativa italiana, una scuola in cui i bambini e i ragazzi con disabilità hanno il diritto di sedersi nelle stesse classi frequentate da tutti i loro coetanei. Una scuola che sperimenta con successo un modello inclusivo che ha anticipato quanto poi previsto dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, mettendo al centro il tema dell’inclusione e della partecipazione piena alla vita sociale.
Parole cui, però, non seguono sempre i fatti. Attraverso il racconto e le testimonianze dei genitori che hanno scelto la scuola speciale intervistati da Giovanni Merlo, emergono come elementi cruciali che determinano la “scelta speciale” fattori quali il peso della mancata presa in carico globale della famiglia, l’inerzia dei servizi specialistici, la fatica della scuola a mettersi in discussione.
In altre parole, si sceglie la scuola speciale perché viene percepita come la miglior soluzione possibile per rispondere alle esigenze del proprio figlio. La presunta inadeguatezza del sistema scolastico ordinario rispetto alle esigenze dei bambini e dei ragazzi con disabilità – oggi giustificata anche dai tagli alle risorse – rappresenta un’ulteriore spinta a scegliere questo tipo di istituti. Che, per altro, registrano regolarmente liste d’attesa.
«Il crescente successo e suggestione dei percorsi di educazione separata – spiega Merlo – sta mettendo a rischio alcuni diritti umani fondamentali dei bambini e ragazzi con disabilità. Certifica una graduale regressione della capacità della nostra comunità e del nostro sistema sociale di garantire a tutte le persone con disabilità la loro piena inclusione e partecipazione nella società. Si tratta di una regressione che è importante fare emergere, di cui prendere atto. Non per accettarla come un fatto ineluttabile, ma per poterla definire come un’inaccettabile lesione di quel principio di progressività, tipico della dottrina dei diritti umani, che ci vincola a far sì che nel nostro contesto, sociale e professionale, vi siano solo “passi in avanti” nel rispetto e nella promozione dei diritti delle persone con disabilità. Una lesione dei diritti che riguarda tanto il presente, quanto il futuro di questi bambini e ragazzi, per i quali è stato preparato un percorso di vita “separato”, all’interno di contesti speciali dedicati esclusivamente alla loro assistenza e custodia».
Attenzione però, avverte Merlo, a «non confondere il sintomo con la malattia». Le scuole speciali, cioè, rappresentano un tentativo di risposta «seppure distorta e con effetti negativi sull’intero sistema sociale» a una situazione di lesione dei diritti dei bambini e ragazzi con disabilità che riguarda una platea di persone molto più ampia di quelle che ricorrono alle scuole speciali o ad altre forme di educazione separata.
«Questo libro – commenta Tommaso Vitale, docente di Sociologia all’Università SciencesPo di Parigi – riuscirà nel suo intento se sarà preso dal movimento delle persone con disabilità, non fatto proprio, ma letto e usato per riflettere, proporre e agire, rispetto al rapporto fra scuola pubblica e disabilità, ben al di là delle comunità professionali degli operatori sociali e degli operatori scolastici». (I.S.)
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