Ho letto ancora una volta con molto interesse, sulle pagine di «Superando.it», la risposta del Gruppo GRIDS Italy (Gruppo di Ricerca Inclusione e Disability Studies) alle repliche di chi scrive e di Luciano Paschetta a un precedente intervento dello stesso GRIDS sulla Proposta di Legge 2444 – e non solo – riguardante le norme per migliorare la qualità dell’inclusione, sostenuta da FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali di Persone con Disabilità). Data la mia formazione di “leguleio”, mi permetterò alcune banali osservazioni empiriche.
Non entro nella dotta analisi teoretica dei fondamenti della differenza tra visione inclusiva, sostenuta dal GRIDS, e semplicemente integrativa, attribuita sia al sottoscritto che a Paschetta. Infatti, avevo già pubblicamente dato atto che in teoria le argomentazioni del GRIDS sono logicamente ineccepibili.
Per tale Gruppo ciò che conta non è tanto il “deficit” – su cui invece noi ci concentriamo per cercare di renderlo inoffensivo ai fini inclusivi – ma la “differenza” della singolarità di ciascuno di noi. E la scuola, sia per il GRIDS che per noi, dev’essere formata e organizzata per dare risposte a tutte le differenze.
La divaricazione tra noi e loro sta invece proprio nel tipo di formazione dei docenti. Il GRIDS, infatti, ritiene che ciò debba avvenire con una formazione di tutti i docenti, tale da saper rispondere a tutte le diversità, senza bisogno di alcun docente specializzato, mentre noi sosteniamo che, in pratica, ciò sia impossibile, poiché i deficit sono “differenze estreme” cui è impossibile rispondere con una formazione solo generale.
La riprova – devo ribadirlo – è nel fatto che in più di quattro decenni di scuola integrativa non è stato possibile neppure formare un numero sufficiente di docenti che si prendessero cura degli attuali 110.000 alunni con disabilità. Figurarsi formare in tal senso – come vorrebbe il GRIDS – circa 700.000 docenti curricolari!
A questa mia obiezione il GRIDS, nel suo precedente intervento, aveva così replicato: «Qualcuno può pensare che lo sfondo inclusivo qui delineato sia condivisibile ma non realizzabile, facendo, soprattutto, riferimento al qui ed ora, dimenticando che questo qui ed ora è già anticipato dal pensiero e quindi è già superato». Ebbene, affermare che il «qui ed ora è già anticipato dal pensiero e quindi già superato» mi sembra una risposta di tipo idealistico e non fattuale.
E che l’argomentare del GRIDS sia puro idealismo teorico, apprezzabilissimo sul piano dei concetti astratti, risulta dall’affermazione della successiva loro replica, ove si scrive che «il problema di una legge [non sta] nella sua applicazione ma, soprattutto, nei presupposti che la ispirano». E qui sta proprio l’inconciliabilità dei due piani argomentativi. Le leggi, infatti, sono scritte per regolare nella realtà pratica i rapporti organizzativi di una società, cercando appunto di tradurre in pratica i princìpi cui essa si ispira. Noi cerchiamo di ispirarci ai princìpi inclusivi – o, se vuole il GRIDS, “meramente integrativi” – ma teniamo conto della pratica realizzabilità e riteniamo che la presenza di alcuni docenti specializzati possa facilitare la presa in carico del progetto inclusivo dei docenti curricolari, pensando che la specializzazione sulle differenti didattiche inclusive possa favorire la mediazione tra docenti curricolari e alunni con disabilità e compagni.
Nella Proposta di Legge da noi sostenuta, non ci basiamo sulle diagnosi cliniche per affrontare i problemi inclusivi, ma sulle diagnosi funzionali, formulate non solo dagli esperti della riabilitazione, ma anche da tutti i docenti della classe e dalla famiglia.
Nella visione del GRIDS, poi, anche la posizione sviluppata con il suo saggio L’evoluzione dell’insegnante di sostegno da Dario Ianes, il quale ammette comunque una ridotta presenza di docenti specializzati itineranti, dovrebbe cadere sotto la loro affilata mannaia concettuale.
In conclusione, ciò che propone il GRIDS è concettualmente ottimo, ma nel mondo del diritto l’ottimo è nemico del buono.