Anche se in Italia c’è una sola Direttiva Nazionale – le Linee di Indirizzo per l’Assistenza alle Persone in Stato Vegetativo e Stato di Minima Coscienza, approvate il 5 maggio 2011 dalla Conferenza Stato-Regioni – nelle singole Regioni le persone in stato vegetativo o di minima coscienza – i cosiddetti “disordini della coscienza” – seguono percorsi terapeutici e di cura anche molto diversi: è quanto emerso dai dati presentati qualche tempo fa, nell’àmbito del progetto nazionale CCM INCARICO: Sviluppo di un modello di integrazione socio-sanitaria nella presa in carico di persone con disordini della coscienza, iniziativa-pilota coordinata dalla Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Besta di Milano e voluta per fornire al Ministero, alle Regioni e soprattutto ai familiari di persone in stato vegetativo e di minima coscienza una rappresentazione dettagliata sui luoghi di cura nella fase acuta, postacuta e cronica del percorso di presa in carico, con il numero di posti letto disponibili, le prassi e i servizi offerti.
Tra i vari risultati raggiunti, INCARICO ha dunque permesso di realizzare una vera e propria mappa, sinora assente, di 2.542 strutture dedicate anche a questi pazienti in 11 Regioni.
Sostanzialmente, lo scopo del progetto è stato quello di rilevare i percorsi di cura e di presa in carico presenti in diverse realtà regionali, analizzandone i fattori positivi e le criticità, anche in riferimento al percorso previsto a livello nazionale dal citato Accordo Stato Regioni del 2011. Inoltre, è stato analizzato il percorso di cura realmente seguito da novanta pazienti nelle differenti Regioni, per capire se e di quanto si è scostato da ciò che è stabilito dalla normativa nazionale e regionale.
Come sottolinea Matilde Leonardi, neurologo dell’Istituto Besta di Milano, che ha coordinato INCARICO, «a un bisogno, potremmo dire a un “diritto alla cura”, dettato dalla necessità di rispettare la dignità delle persone con disordini della coscienza e i bisogni dei loro familiari, deve corrispondere un “dovere di presa in carico” da parte delle Istituzioni. Questo progetto vuole quindi fornire gli strumenti per supportare le Istituzioni nell’attuare e nel farsi carico di questo “dovere necessario”. Non si propone un nuovo modello di presa in carico, ma – approfondendo il significato di cura e presa in carico in diverse realtà italiane e valutando come esso venga attuato in differenti Regioni – si intende identificare, alla luce del modello ideale di presa in carico, i punti di forza e quelli di debolezza che possono portare a una presa in carico realmente attuabile in Italia».
L’iniziativa è stata avviata a partire dal 2012, in collaborazione con i centri di riferimento di Calabria, Campania, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Puglia, Sicilia, Umbria e Veneto, con le ventinove Associazioni dei familiari del Coordinamento La Rete (Associazioni Riunite per il Trauma Cranico e le Gravi Cerebrolesioni Acquisite) e della FNATC (Federazione Nazionale Associazioni Trauma Cranico, aderente alla FISH-Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), con il Centro di Ateneo di Bioetica dell’Università Cattolica di Milano, con la Regione Lombardia e con la Regione Emilia Romagna.
Stati vegetativi e di minima coscienza
Le rilevazioni più recenti oggi a disposizione stimano che in Italia le persone in stato vegetativo siano circa 3.000, mentre mancano dati certi di quanti pazienti siano in stato di minima coscienza. È tuttavia possibile stimare che siano almeno tre volte tanti, circa 10.000.
Lo stato vegetativo è una condizione clinica che insorge dopo una situazione di coma, causata da un evento acuto (trauma, ictus, anossia cerebrale ecc.) e caratterizzata da mancata coscienza di sé e mancata consapevolezza dell’ambiente circostante e dalla conservazione del ritmo sonno-veglia. Secondo i più recenti studi neuroscientifici, tra cui quelli del Coma Research Center dell’Istituto Neurologico Besta, non è possibile parlare in assoluto di irreversibilità della condizione e tuttavia, quando la persona in questa condizione raggiunge la stabilità clinica ed entra in una fase di cronicità, dev’essere considerata persona con “gravissima disabilità”.
Lo stato di minima coscienza, invece, è una condizione clinica caratterizzata da una grave compromissione della coscienza nella quale, tuttavia, possono essere individuati comportamenti finalizzati e volontari.
I risultati del Progetto INCARICO
Tutte le Regioni che hanno partecipato al Progetto INCARICO dimostrano di avere recepito – seppure con modalità differenti – le indicazioni presenti nell’Accordo Stato-Regioni del 5 maggio 2011. È emersa tuttavia la necessità di semplificare la normativa: infatti, per applicare una linea guida nazionale, undici Regioni risultano avere ben 106 norme legislative locali!
Dieci tra le Regioni studiate hanno adottato la Direttiva con Delibere dedicate, mentre la Sicilia ha espresso l’intenzione di farlo in un prossimo futuro.
L’applicazione di queste normative nella pratica clinica ha gradi diversi: nella cura delle persone in fase acuta la normativa è seguita da tutte le Regioni, mentre solo sette Regioni su undici hanno creato strutture dedicate a pazienti post-acuti.
Anche per i pazienti nella fase degli esiti, per coloro che non sono più in pericolo di vita e che hanno terminato una fase di recupero, la situazione è disomogenea: solo quattro Regioni, infatti (Calabria, Campania, Sicilia e Veneto), hanno attivato strutture di cura dedicate e sei (Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Piemonte, Umbria e ancora il Veneto) hanno avviato centri specifici all’interno di alcune RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali). Le restanti due (Lazio e Puglia) non hanno attivato strutture dedicate per il trattamento dei pazienti nella fase degli esiti.
E ancora, anche guardando al numero di strutture sul territorio per il trattamento dei pazienti e al numero di passaggi in cui si articola il percorso di cura, la situazione nelle Regioni esaminate è molto diversa: Calabria, Campania e Sicilia, infatti, concentrano il flusso dei pazienti in poche strutture e hanno pochi passaggi nel percorso di cura, mentre le altre Regioni (Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Umbria e Veneto) presentano un modello opposto, con molti centri e molti nodi nel percorso.
Pur trattandosi poi un punto di vista parziale, legato a un numero relativamente ristretto di casi, si può comunque ricavare il dato che nella maggior parte delle Regioni ci sia aderenza alla normativa, variando dal 100% dei casi in Lazio al 67% della Liguria. Tale difformità – va per altro segnalato – è legata anche alla mobilità dei pazienti verso centri in altre Regioni o Stati. E tali movimenti mostrano essi stessi alcune particolarità: l’Emilia Romagna, infatti, ha pazienti solo in entrata, mentre Puglia e Sicilia solo in uscita.
Tra le criticità segnalate dai familiari, vi è il tempo intercorso nel passaggio tra una struttura e la successiva, durante il percorso di cura (Puglia, Sicilia, Umbria e Veneto) e anche la poca condivisione dei medici con i parenti nella scelta di questa destinazione.
Infine, un dato di rilievo è la diversa durata media dei tempi di ricovero: per la fase acuta si va dai 18 giorni di ricovero in Liguria ai 102 in Piemonte. Sebbene siano influenzati da numerose variabili – a partire, naturalmente, dalle diverse condizioni cliniche del paziente – questi dati indicano anche da Regione a Regione organizzazioni di cura molto diverse.
Il lavoro svolto dai ricercatori di INCARICO, in conclusione, mostra come la presa in carico globale di una persona che abbia superato la fase acuta (prettamente sanitaria) e debba intraprendere un percorso di recupero quotidiano e di reinserimento sociale, sia il vero snodo dell’intera questione. Il progetto realizzato offre gli strumenti necessari per tradurre i risultati della ricerca in azioni concrete, per una presa in carico efficace e giusta su tutto il territorio nazionale e rispondere in modo tale da supportare le persone con disordini della coscienza e le loro famiglie in tutto il percorso di cura.
Un commento dal Centro di Ateneo di Bioetica dell’Università Cattolica di Milano
Ben volentieri, infine, diamo spazio alle parole di Adriano Pessina, direttore del Centro di Ateneo di Bioetica dell’Università Cattolica di Milano, struttura che, come detto, è stata coinvolta direttamente nell’attuazione dell’iniziativa.
«I 106 documenti legislativi locali analizzati nell’àmbito di INCARICO – sottolinea – hanno una variabilità di pubblicazione differente da Regione a Regione e, complessivamente, l’arco temporale considerato va dal 1999 al 2014. La comparazione sinottica e l’analisi di tutti quei provvedimenti rappresentano il tentativo di comprendere se, e in che modo, le differenti normative regionali condividono gli stessi presupposti etici e antropologici e i medesimi riferimenti normativi nazionali e internazionali (a livello nazionale, il riferimento alla Costituzione e alle Linee di Indirizzo frutto dell’Accordo Stato-Regioni del maggio 2011; a livello internazionale, il modello biopsicosociale proposto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, attraverso l’ICF, la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, e i diritti riconosciuti alle persone con disabilità dalla relativa Convenzione ONU)».
«Per quanto permanga una certa disomogeneità nella legislazione regionale – dichiara dunque Pessina – si fa comunque apprezzare un progressivo distaccamento dal modello prevalentemente medico, verso un modello in cui la persona in stato vegetativo e di minima coscienza è intesa non più unicamente come paziente, ma come persona con disabilità. Proprio per questo, un elemento fondamentale è la questione di un adeguato riconoscimento dei diversi soggetti coinvolti nelle relazioni di cura, tra cui gli stessi caregiver [“assistenti di cura”, N.d.R.]. Nel caso specifico dell’assistenza alle persone in stato vegetativo e di minima coscienza, la costruzione di un sistema a rete integrata Coma to Community è stata fortemente richiesta dalle Associazioni dei familiari, a testimonianza dell’esigenza di una maggiore inclusione dei caregiver nei percorsi socio-assistenziali di riabilitazione e cura. Ricordando come l’operato del caregiver sia interpretato all’interno della letteratura filosofica e bioetica come “lavoro di cura”, il nostro Centro di Bioetica mette in evidenza come proprio per questo esso non necessiti solo di tutele, ma anche di formazione e assistenza specifiche. L’esigenza è quindi che il modello teorico di “presa in carico”, avanzato dal Progetto INCARICO, possa effettivamente tradursi in realtà, orientando le concrete prassi socio-sanitarie». (F.F. e S.B.)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Federico Ferrari (ferrari@secrp.it); Silvia Bressi (centrodibioetica@unicatt.it).